Sinossi: Ci troviamo
tra le magnifiche foreste della Tanzania, poco dopo gli eventi raccontati ne
Il Re Leone (film uscito nel 2019, diretto da Jon Favreau).
Simba (in originale con
la voce di Donald Glover e in italiano con quella di Marco Mengoni) e Nala (con
la voce di Beyoncé Knowles-Carter e da noi di Elisa), ormai diventati i nuovi
re e regina, devono lasciare momentaneamente la Rupe dei Re per recarsi lontano
dal territorio. La piccola “principessa leoncina” Kiara (con la voce in
originale di Blue Ivy Carter, figlia di Beyoncé) viene affidata alle cure di
uno strampalatissimo duo di babysitter: il cinghiale Pumba (Seth Rogen, da noi
Stefano Fresi) e il suricato Timon (Billy Eichner, da noi Edoardo Leo).
La notte è particolarmente buia, spaventosa e tempestosa. Le storie raccontate dal duo sono assurde quanto sconclusionate e manca l’ispirazione per una bella canzone che sollevi il morale. Per placare la paura dei tuoni è richiesto a gran voce l’intervento di un vero “raccontastorie professionista”: il saggio mandrillo Kafiki (John Kani, da noi Toni Garrani). Kafiki ha in mente una storia vera, grandiosa, di molti anni prima: una storia di quando il nonno di Kiara, Mufasa, era poco più che un cucciolo della sua stessa età.
Era un giorno come
tanti altri quello in cui Mufasa ascoltava dai suoi genitori la grande leggenda
di Melene: una terra lontana e rigogliosa, dove regnava la pace tra gli animali.
Il territorio dove vivevano era da mesi arido, spoglio, con il letto del grande
fiume ormai prosciugato e forse era giunto il momento di iniziare il viaggio
verso questa “terra promessa”, quando all’improvviso dal cielo arrivò la
tempesta.
La gioia durò il poco
tempo che bastò al fiume per ingrossarsi, fagocitare ogni cosa, rompere gli argini
e abbattere la grande diga. Gli animali che non erano riusciti a mettersi in
fuga, arrancando tra pioggia e fango, venivano inghiottiti dalle correnti. Tra
questi dispersi c’era anche il piccolo Mufasa, strappato letteralmente dalle
zampe dei suoi genitori dalla forza dell’acqua, per finire a fare lo slalom tra
tronchi, elefanti e sassi aguzzi, fino a cadere in immersione, diventando una
specie di palla da flipper sospinta dalle correnti sottomarine, fino a fermarsi
immobile, a galleggiare privo di sensi.
Poi una luce dall’alto
e l’aiuto di un piccolo tronco lo riportarono in superficie.
Il bel tempo si era
ristabilito e il leoncino era ora in un luogo del tutto nuovo, rigoglioso ma in
qualche modo minaccioso. Non Melene ma una “terra d’altri”, piena di
coccodrilli affamati, dove lui era solo un “randagio”.
Tuttavia, tra tanti
denti aguzzi pronti ad azzannarlo, incontrò un cucciolo come lui, avventuroso
quanto gentile, curioso quanto fragile: il “principe leoncino” Taka. Nonostante
il parere contrario del suo aristocratico e scostante padre, re Obasi (con la
voce in originale di Lennie James e da noi di Pasquale Anselmo, doppiatore di
Nicolas Cage) Taka fin da subito decise che Mufasa sarebbe diventato a tutti
gli effetti “suo fratello”. Con in passare del tempo i due divennero grandi
amici, inseparabili. Obasi però dispose che Simba vivesse lontano da lui, nel
branco delle femmine: imparando a svolgere incarichi di “basso profilo regale”
come “la caccia”, sotto la guida della dolce ma severa regina Eshe (con la voce
in inglese di Thandiwe Newton e da noi di Daniela Calò, doppiatrice di
Evangeline Lilly).
Presto tra i due
fratelli arrivarono le competizioni, volute dal sempre più tirannico Esche per
dimostrare che Taka (da adolescente con la voce inglese di Kelvin Harrison Jr.
e in italiano di Alberto Malanchino), suo figlio, era l’unico degno erede del
trono, in virtù della sua discendenza di sangue.
Mufasa (da adolescente
con la voce in inglese di Aaron Pierre e da noi con quella di Luca Marinelli)
era più forte e anche senza volerlo vinceva ogni confronto: alimentando
l’insicurezza di Taka e l’odio nei suoi confronti di Esche.
Poi un giorno
arrivarono nel territorio i leoni bianchi, da tutti soprannominati gli “Emarginati”
(The Outsiders, in lingua originale). Creature più grosse e forti del normale,
già espulse dai vari branchi della savana in quanto “strane” e ora molto
numerose, unite sotto la guida del minaccioso e imponente Kiros (in originale
con la voce di Mads Mikkelson e da noi interpretato da Dario Oppido, doppiatore
di Raoul in Ken il Guerriero), ben disposto a sterminare tutti i gruppi fino a
diventare l’unico e solo re leone. Taka
e Mufasa sarebbero fuggiti insieme per salvarsi dallo sterminio, alla ricerca
della leggendaria Melene, incontrando nel loro viaggio molti personaggi che
forse Kiara già conosceva. Come sarebbero riusciti a salvarsi? Ma soprattutto,
chi era o dove si trova ora un leone di nome Taka? Pumba è così confuso dal
racconto di Kafiki che è quasi convinto che Taka potrebbe essere in realtà lui…
La costruzione del
secondo capitolo del Re Leone del 2019: A metà degli anni ’90 la Walt Disney
Pictures iniziò a sperimentare dei veri e propri remake di alcuni dei suoi più
fortunati film di animazione, scegliendo un approccio più “realistico e moderno”.
Attori in carne e ossa, creature digitali frutto della più moderna computer
grafica e storie e canzoni “al passo con i tempi”, andavano ad affiancare così
disegni, musiche e racconti realizzati anche una cinquantina di anni prima:
spesso allontanandosi molto dal modello di riferimento, ma comunque destando
grande interesse e curiosità da parte del pubblico.
Antesignano di questa
nuova onda fu il divertente live action de Il libro della giungla di Stephen
Sommers, uscito nel Natale del 1994, cui seguirono nel 1997 e nel 2000 due
pellicole che riprendevano ed espandevano anche il classico Disney La Carica
dei 101, con mattatrice assoluta una Crudelia di eccezione interpretata da
Glenn Close. Nel gruppo non c’era The Lion King, ma nel 1997 il film animato
ispirò un incredibile musical, che il 13 novembre arrivò anche a Broadway, vincendo
negli anni tantissimi riconoscimenti a livello internazionale e che oggi fa ancora il tutto esaurito nei molti teatri del mondo in cui viene allestito.
Dal 2010 Disney ha
invece iniziato a produrre remake e riadattamenti di sue opere classiche in
modo quasi sistemico, con la media di uno o due all’anno, con la punta di ben
quattro pellicole a tema nel 2019.
Il re leone del luglio
2019 era il secondo live action Disney firmato dal regista di Iron Man Jon
Favreu, dopo l’ottimo Il libro della giungla del 2016, ma anche se vogliamo uno
dei remake più singolari: la prima pellicola di questo tipo in cui erano
completamente assenti attori in carne e ossa. Il primo impatto non era
dissimile a uno special sui leoni prodotto dal National Geographic, ma dietro a
un così elevato grado di realismo, frutto anche del talento dei maghi degli
effetti speciali della Moving Picture Company (premiati con l’oscar per Jungle
Book ma anche per Life of PI), Favreu
era forse riuscito a produrre il remake più dinamico e interessante: quello che
tradiva di meno l’opera originale grazie alla sua spettacolarità e anzi
riusciva a rilanciare in pieno alcuni dei personaggi Disney più amati.
Nel settembre 2020
entrava già in produzione il secondo capitolo, scritto ancora una volta dallo
sceneggiatore Jeff Nathanson (Prova a prendermi, The Terminal). Tornavano le
voci originali, i maghi della Moving Picture Company, la colonna sonora firmata
da David Metzger (Frozen, Moana), questa volta accompagnato da canzoni
nuovissime realizzate ad hoc del premio Oscar Lin-Manuel Miranda (Hamilton, Oceania, Encanto).
Per la regia veniva
scelto Barry Jenkins, nel 2016 vincitore del premio Oscar per il miglior film
con il drammatico Moonlight, che da Moonlight portava qui anche il suo
direttore della fotografia James Laxton, la montatrice Joi McMillion, il
musicista Nicholas Britell, la produttrice Adele Romanski.
Segni di stile: “Al
chiaro di luna i ragazzi neri diventano blu”. In questa frase, poetica quanto volutamente
provocatoria, frutto di una ardita e quasi sognante “suggestione cromatica”, si
poteva forse sintetizzare tutto il complesso messaggio alla base del bellissimo
film Moonlight, scritto e diretto nel 2016 da Barry Jenkins. Una pellicola che invitava a guardare oltre
alle apparenze di una pelle “più scura”, che per qualcuno veniva percepita
quasi intrinsecamente “più pericolosa”: il blu al chiaro di luna sembrava avere
il potere di mettere in luce i tratti più dolci e vulnerabili anche di chi,
all’apparenza, nei suoi stessi lineamenti, sembrava sempre dover indossare, per
sopravvivere, la più forte delle corazze emotive. Il blu “smontava l’inganno”,
svelando come “l’etichettamento” delle persone può essere solo un punto di
vista o di luce, fallace quanto mutabile: raccontandoci la storia di un uomo
che fin da bambino ha dovuto costantemente combattere in virtù di come gli
altri lo percepivano dall’esterno. Degli “altri” che non arrivavano mai
ragionare su come, sotto la superficie, a partire dal colore del sangue fin su
nell’animo umano, siamo di fatto tutti uguali, con i nostri sogni e fragilità.
Una persona poi, per la prima volta, lo “riconosceva blu”, di fatto
permettendogli di cambiare per sempre la direzione della sua esistenza.
Il Mufasa di Jenkins,
con i suoi leoni bianchi “Outcast”, il leoncino “randagio” e il leoncino
“vittima delle aspettative di sangue del padre”, non distano troppo lontano dal
mondo dei “non accettati” di Moonlight. Allo stesso modo in cui i “supereori
senza dimora” di The Eternals di Chloe Zhao non si distanziava molto dagli
homeless, fuori dal tempo e dallo spazio, del suo precedente film drammatico,
Nomadland. Ancora una volta Disney ha scelto di avvalersi di un grande autore
per reimmaginare i suoi cinecomics e classici animati in una chiave molto
speciale, quasi unica.
Il classico The Lion
King ci parlava di debiti di onore difficili da estinguere. Ci raccontava del peso
della eredità e del sanissimo bisogno, ogni tanto (alla Cowboy Bebop), di
staccare la spina e la testa dalle preoccupazioni: Hakuna Matata! Una fuga e un
ritorno al cerchio della vita, cantato da Ivana Spagna, in ragione di un'armonia universale più grande e difficile da capire.
Jenkins riprende questi
temi e li amplifica, raccontandoci un mondo spietatamente ancora più cinico,
drammaticamente attuale. Ci racconta, attraverso il viscido personaggio di
Obasi, di come il massimo dei poteri di chi detiene il comando politico stia
nella capacità di mentire e ingannare il prossimo. Kiros è un re potente e in
grado di unire le persone (come il Raul di Hokuto no Ken, doppiato forse non a
caso sempre da Oppido), ma il cui ego è tenuto insieme unicamente dalla volontà
di una vendetta, pur comprensibile ma del tutto incompatibile con ogni forma di
convivenza. Il futuro per Kiros non può e non deve esistere. Taka è un
anti-eroe in cerca di affetto costante, che vive ogni tipo di legame come una
catena rigidissima e immutabile, di fatto confondendo i sentimenti con i
doveri. Sono tutti personaggi difficili quanto “umani”: accomunati e avvelenati
dalla medesima sfiducia nei rapporti interpersonali; poco propensi a credere in
un utopico mondo felice come Melene.
Poi naturalmente ci
sono “i buoni”, ma anche loro si sentono spesso vittima di un ingranaggio
sociale dal quale non gli è permesso fuggire fino in fondo. Mufasa non sente di
poter essere un leader, in quanto concepisce quel ruolo adatto solo a persone
come Obasi e Kiros ed è ormai “troppo abituato” a mettersi da parte in favore
degli altri.
Molto belli e
sfaccettati, forti quanto tragici, sono i personaggi delle leonesse Eshe e
Sarabi, quest’ultima interpretata vocalmente dalla cantante Elodie. Combattive
quanto purtroppo spesso destinate a stare nelle retrovie, parlando sottovoce o
sacrificandosi nel totale silenzio come molte donne del passato.
Anche un amatissimo
personaggio storico della serie rivela un passato in cui è stato preso “per
pazzo”, in virtù di una positività e fiducia che forse non sembrano più abitare
questo mondo. E che dire di quanto sono pazzi e super positivi di solito i
divertentissimi e immancabili Pumba e Timon?
Ogni interprete vocale
ha lavorato con molto impegno anche nella versione italiana, al netto di
qualche piccola increspatura nel tono. Davvero encomiabili le interpretazioni
di Marinelli e Malanchino, che insieme sono riusciti a dare molta personalità e
tenerezza al complesso legame tra Mufasa e Taka. Molto belli anche i momenti in
cui Adriano Trio, interprete per la parte delle canzoni di Mufasa, affianca
Elodie in un duetto molto riuscito.
Jenkins disegna per ogni personaggio percorsi difficili e tortuosi, a volte amari quanto messianicamente “ironici”, ma riesce a ricoprire tutta la pellicola di colori sgargianti, momenti genuinamente divertenti e un grandissimo senso dell’azione. Le canzoni di Liu-Manuel Miranda riescono ad essere sempre precise, ritmante quanto coinvolgenti nella narrazione. Mufasa diviene così a tutti gli effetti un classico Disney, moderno quanto nel suo sviluppo narrativo familiare.
Finale: Il film è
bellissimo da vedere, viaggia veloce, intrattiene tra tanta azione e
divertimento, ma riesce anche a far riflettere attraverso personaggi non banali.
Uno spettacolo quindi adatto a ogni età, molto colorato e accompagnato da
magnifiche canzoni. Disney conferma di avere un occhio di riguardo per la saga
del Re Leone ed è possibile che questa non sia certo l’ultima pellicola a
parlarci di Simba, Pumba e Timon.
La scelta di puntare
su un Barry Jenkins e i suoi collaboratori è stata davvero vincente.
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