Napoli dei giorni nostri.
Per Mimmo Sannino (Marco d’Amore), un giovane ex insegnante diventato educatore da strada, che va in giro con in tasca tanti nasi da clown, combattere la dispersione scolastica è simile a togliere “le perle ai porci”. Ottenere il tanto vituperato “pezzo di carta” che fa accedere al liceo, superando l’esame di terza media, può essere concretamente per i ragazzi dei quartieri più poveri la speranza di affrancarsi da una vita difficile, che con troppa facilità li può portare al servizio della criminalità, per offrirgli grazie alla scuola una prospettiva di futuro migliore.
I ragazzi vanno motivati a “studiare e sognare” e la strategia di Mimmo parte fin dalla mattina presto: prendendoli direttamente da casa, prima che i genitori li mettano già a lavorare davanti a un banco di frutta o li lascino senza problemi già sulla strada e “a se stessi”, nelle mani di “amichetti più grandi” che già trafficano con i motorini e le “bustine”. Mimmo li porta a scuola e poi nel suo regno, una biblioteca un po’ “sgarrupata” ma che apre su un grande giardino, dove ha luogo il dopo scuola e poi per il suo grande progetto: “le lezioni di circo”.
Perché è importate studiare, ma pure imparare già a lavorare insieme attraverso il “gioco”.
Compiti, ripassi ed esercizi di memoria, si mischiano qui alla giocoleria, clowneria e l’allestimento di scenografie da realizzare con colori e cartapesta. La lettura de “Il barone Rampante” di Italo Calvino prelude la merenda e diventa quasi un mantra: la guida per imparare l’arte della fantasia. I ragazzini imparano a studiare come a camminare sui trampoli insieme, assimilando la matematica come l’equilibrismo. Diventano loro stessi insegnanti “alla pari” ma forse anche qualcosa di più: arrivano a sentirsi quasi come fratelli, a dispetto dell’appartenenza a “quartieri diversi”.
Jack Black insegnava il rock, Mimmo l’arte circense.
I suoi alunni crescono sognando di portare un naso rosso da pagliaccio per fare felice il pubblico nelle feste di piazza. Tutto questo “non piace”, a chi pensa ormai che la vita debba essere vissuta solo come una continua lotta di sopravvivenza, nei confronti di un destino già segnato che non ha senso sfidare.
Fare “i giullari” va poi contro alla “educazione alla violenza e al cinismo” richieste ai “nuovi soldati della criminalità”: tutti devono crescere sentendosi soli, in un mondo cattivo e competitivo. Uno contro l’altro, divisi rione per rione, famiglia per famiglia, per sempre, come “tradizione vuole”. Mimmo “crea pagliacci” e anche alcuni dei suoi ex alunni, passati presto “ai motorini” per mancanza di alternative, lo chiamano “pagliaccio” in strada, pur senza la forza di guardarlo negli occhi.
Mimmo è aiutato dall'assistente sociale Anna, che lo segue fiduciosa, ma pure un po’ spaventata e un po’ preoccupata, nella sua scelta di vita. Cerca con lui di fare qualcosa usando le armi spuntate dello Stato, favorendo i “dialoghi possibili” con istituzioni spesso distratte, arrabbiandosi con lui quando lo vede sempre più al centro di minacce e ritorsioni, a volte portandolo a terra dai suoi sogni più pindarici.
Ma Mimmo sogna in grande, nonostante la sua biblioteca si riempia sempre più di scritte d’odio, animali morti appesi, muri che chiudono i passaggi costruiti in piena notte in cemento. Anche un solo ragazzino portato via dalla “strada”, verso un istituto superiore, è un piccolo successo, ma Mimmo non è uno che si accontenta e tira dritto.
C’è da aiutare la ragazza che vende al mercato i carciofi, Daniela. C’è la piccola parrucchiera Margherita, il già troppo adulto per la sua età Ciro, Bruno che ama il parkour e forse non è più neanche così piccolino, ma che il padre già vede all’interno della sua organizzazione criminale.
Tante sfide, alcune troppo difficili da vincere. “Sorridere”, con un naso da pagliaccio, svilisce troppo “il terrore” che tutti vogliono in fondo preservare: un terrore su cui faticosamente si è per anni investito, per comandare un territorio ricchissimo di “perle preziose”.
Primo film non documentaristico della regista Cecile Allegra, ispirato alla storia vera dell’educatore Giovanni Savino, fondatore della comunità “Il tappeto di Iqball”,nel quartiere di Barra, dove si pratica con la pedagogia alternativa il circo sociale, il teatro e il parkour.
Una storia, costruita meticolosamente sulla base di molte interviste a educatori e giovani, che la regista definisce “di “ricomposizione dei valori e dell’identità”: nella ricerca di metodi concreti per cambiare le sorti di un territorio che spesso si chiude troppo su se stesso.
Entriamo così in un viaggio di 97 minuti che vuole trasmettere con più precisione possibile, attraverso tutte le potenzialità del cinema, il cambiamento emotivo vissuto dai veri ragazzi di Savino: dal cinismo al senso di impotenza e vergogna, fino al ritrovamento del coraggio, grazie alle esperienze educative del gruppo, che gli ha permesso di dare un nuovo corso alla loro vita.
Marco D’Amore dai tempi di Gomorra è cambiato anche fisicamente, si è fatto ancora più “grosso e rassicurante” nell’aspetto, riuscendo così a padroneggiare al meglio un personaggio grosso e generoso come Mimmo. È interessante che parallelamente anche il co-protagonista di Gomorra, Salvatore Esposito, stia realizzando su Netflix da protagonista una nuova incarnazione di Piedone. È come se D’Amore ed Esposito si siano ora sdoppiati in due magnifici Bud Spencer.
Il film della Allegra è forte, carico di mille sfumature, in grado di passare in pochi minuti da commedia a tragedia, cavalcando in modo sorprendente anche alcuni momenti onirici quanto sognanti.
Il paragone con Io speriamo che me la cavo, nel senso del libro quanto del successivo adattamento con protagonista Paolo Villaggio, risulta calzante in quanto Criature va a raccontare, a distanza di anni, quasi una “tappa successiva” dello stesso viaggio sullo stesso territorio: la scuola che cerca con tutte le forze si porsi come alternativa concreta al cinismo dei tempi moderni. Forse in Criature c’è “meno favola” e più tragedia: con sequenze anche dal forte significato “simbolico e pittorico”, che reinterpretano la pietà michelangiolesca. Ma ci sono anche “scorci visivi“ che ci riportano alle atmosfere del celebre dipinto “Il pallone”, di Paul Klee, c’è il “calore” del mondo del circo, bellissimi pagliacci sorridenti (sempre che non vi terrorizzino i pagliacci, con i tempi che corrono). Non mancano momenti d’azione quanto commoventi, momenti dove Napoli si mostra in tutte le sue sfumature: dalla bellezza del mare al tramonto al calore e colore delle feste rionali.
Ottimo tutto il cast, con menzione d’onore per i bravissimi piccoli interpreti.
Molto bella la fotografia e le scelte scenografiche, adeguata la colonna sonora.
Bella l’intuizione di alternare la storia alla descrizione di precisi quanto accurati momenti formativi, che possono essere stimolanti anche per un pubblico di insegnanti delle scuole.
Un bel film su una storia vera, per quanto a tratti drammatica. La bella testimonianza della possibilità di cambiare il mondo, iniziando a guardarlo da un punto di vista diverso: truccati da pagliacci.
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