Sinossi:
Milano dei giorni nostri, inizio d’estate, giusto a pochi giorni dalla fine
della scuola.
Il
maestro Angelo (Angelo Pintus) è in classe, quinta elementare, intento nella
interrogazione-quiz “chi non vuole essere bocciato”. La posta in palio è
altissima per chi deve recuperare prima dello scrutinio finale, ma i
concorrenti sono motivati ed è ancora attivo “l’aiuto del secchione”.
La tensione si taglia nell’aria, il clima giocoso, il preside (Antonio Catania), persona di buon senso, guarda con un po’ di scetticismo, ma segue l’evento a distanza ravvicinata, con curiosità, direttamente dietro le spalle di Angelo, un po’ inquietante. Angelo ci sa fare con i bambini, ma vuole impegnarsi anche con i bambini futuri, quelli “in arrivo”.
È per
questo che con il massimo impegno, a fine lezione, si lancia in bici per le
strade di Milano, saltando acrobatico dal naviglio al Duomo, sgommando a tutta
birra fino al bosco verticale e allo studio dove lo aspetta la sua psicologa
nonché moglie Marta (interpretata dalla comica Marta Zoboli): pronto per sfruttare al
volo e al meglio la “finestra di fertilità” che si è miracolosamente aperta.
Marta
è dolcissima ma anche un po’ un generale e non è saggio fare tardi.
Il
tempo è da record su tracciato e sterrato, la tecnica di guida migliore di
Brumotti, ma la finestra si chiude anzitempo. Tutto da rifare, ma “sempre
pronti!” come il motto dei lupetti, anche per non scontentare il suocero
carabiniere in pensione (Tullio Solenghi), che non crede troppo alla virilità
di Andrea e ogni tanto lo sottolinea.
La
coppia è motivata e aspetta solo che prima o poi la cicogna venga a trovarli,
sperimentando tra specialisti, vasetti e influenze lunari sulle maree. La
notte, Andrea cerca una “carica” leggendo a letto gli speciali di Focus Junior,
mentre Marta cerca al suo fianco “soluzioni”, sfogliando qualche giallo di Grisham.
Il “bandolo della genitorialità” è alle porte.
Poi
arriva una doccia fredda e crudele, certificata da ecografie e
statistiche.
Il cuore di Marta per un attimo si spezza ma dura poco: c’è Andrea (il comico
Andrea Perrone), il migliore amico, infermiere di famiglia, nonché l’addetto a
trovare le soluzioni migliori ai problemi concreti. Prospetta un viaggio
all’estero, in una terra più “caliente”, in cerca di dottori /maghi. Siccome i
dottori/maghi poi non esistono, questi propongono alla coppia qualcosa di un
po’ ardito, non legalissimo, che può portare tutti su una strada pericolosa ma
che può essere risolutivo ai problemi immediati di Angelo e Marta. Una madre
surrogata, giovane e disposta a fare tutto senza alcun compenso: la giovane e
bellissima, ma un po’ incasinata Luce (Beatrice Arnera). Giusto l’intervento
costa sui 20.000 euro e fino alla nascita Luce vivrà con loro a Milano. Al loro
ritorno in Italia Marta fingerà di essere incinta, portando delle pance finte
progressive in offerta su Amazon, mentre giustificheranno la presenza di Luce
come quella di una nuova “donna alla pari”, qualsiasi cosa sia oggi una “donna
alla pari”.
L’inganno
è pronto, ma non sarà facile gestirlo per nove mesi, anche per via del fiuto da
poliziotto del suocero. Ad aiutare la coppia interverrà anche una esperta di
gravidanze “non convenzionale” (Maria Amelia Monti), che tra yoga, canzoni
spirituali e proposte di “parti in acqua tutti nudi” per lo più seminerà il
caos.
Marta sente già di essere pure lei incinta per davvero, empatizzando a mille con Luce, al punto da replicarne in simultanea i momenti di crisi. Angelo si fa un po’ travolgere dagli eventi. Vincerà il desiderio di avere un figlio tutto loro “nonostante tutto”, anche con la tecnica surrogata, oppure nascerà in loro il desiderio di diventare persone importanti anche della piccola e un po’ disastrata Luce, che giorno dopo giorno sta cambiando le loro vite?
Sapranno
diventare dei bravi genitori?
Cine-Pintus:
è da molto tempo che Pintus corteggia il cinema. In principio fu un piccolo
ruolo nel surreale Tutto molto bello del 2014, per la regia di Ruffini. Seguì
una particina nella commedia Ma tu di che segno 6 dello stesso anno, per la
regia di Neri Parenti. Nel 2015 Pintus diede la voce al “signor Principe” nel
meraviglioso Il Piccolo Principe animato di Mark Osborne. Fu poi di nuovo in
sala per una particina in On Air, nel 2016, autobiografia simpatica del dj di
105 Mazzoli. Otto anni dopo e moltissimi spettacoli di stand-Up commedia,
special natalizi con Malika Ayane (bellissima) e una mini-serie Amazon Prime
autobiografica dopo, Angelo Pintus torna al cinema, da protagonista, in una
pellicola diretta dal veterano Fausto Brizzi. Al suo fianco ci sono Marta
Zoboli e Andrea Perrone, attori comici con i quali condivide spesso degli
spettacoli, ma il cast vede anche la presenza di grandi attori comici come Tullio
Solenghi e Maria Amelia Monti.
Brizzi
iniziava come sceneggiatore di serie tv nel 1998 per poi diventare anche autore
di molti film comici (Tifosi, The Clan, Nessuno mi può giudicare), tra cui
molti “cinepanettoni” (Natale in crociera, Natale a New York, Natale a Miami,
Natale in India). Arrivava alla regia nel 2006 con una delle pellicole
“adolescenziali” più riuscite di sempre: Notte prima degli esami. In breve,
passava a raccontare i difficili rapporti tra uomini e donne “di età più
adulta”, raccontando il complesso di Peter Pan in pellicole come Ex, Maschi
contro Femmine, Come è bello far l’amore, per poi arrivare a dirigere, spesso
con De Sica, quelli che sono a tutti gli effetti dei “cinepanettoni 2.0”:
Poveri ma Ricchi, La mia banda suona il pop.
Nel 2019 dirigeva forse la sua opera più strana e originale, quasi una favola moderna: Se mi vuoi bene. Tratto dal suo sesto libro, edito da Einaudi, il film vedeva con protagonisti d’eccezione Claudio Bisio e Sergio Rubini e raccontava della ri-scoperta di un senso di comunità e mutuo aiuto attraverso un piccolo bar / libreria aperto a tutti, specie ai più fragili, nonché gestito da volontari amabilmente disperati.
Parlare
di genitorialità oggi, attraverso una commedia con Pintus: quest’anno abbiamo
avuto alcuni film interessanti che ci hanno parlato a varie “latitudini” di genitorialità.
Abbiamo
avuto il tenero Vittoria, di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, che ci ha
raccontato, con un linguaggio quasi documentaristico, del desiderio inconscio
di una madre di adottare: per condividere “un di più d’amore”, con qualcuno che
magari è stato sfortunato nella vita, nonostante non si sia più giovanissimi.
Abbiamo
avuto il film storico Il treno dei Bambini, di Cristina Comencini, sulle madri
di un sud Italia poverissimo nel dopoguerra che si “affidavano” a delle donne
del nord iscritte al partito comunista e disposte a diventare madri per
accudire i propri figli, in attesa di giorni migliori.
Abbiamo
avuto Maria Montessori - La nouvelle femme, di Lily D’Alengy, che ci ha
raccontato, con la biografia, di in epoca in cui avere figli al di fuori di un
matrimonio era una “condanna sociale”, così come abbiamo avuto il road movie Il
più bel secolo della mia vita, di Bardani, sulla legge, reale, che impedisce
tuttora ai figli non riconosciuti di sapere l’identità della propria madre,
fino al compimento dei 100 anni di vita.
Volendo
potremmo trarre, tra le mille sfumature surrealiste del fantascientifico The
Substance, di Coralie Fargeat, anche un film sul rapporto a volte tossico tra
genitori e figli: la difficoltà di prendersi cura di chi di fatto è “parte di
noi”.
Poter essere o diventare genitori, al meglio (o al peggio) delle proprie volontà, è un tema ancora oggi molto forte, divisivo, in grado di muovere importanti corde emotive. Se vogliamo corde emotive che si adattano alla perfezione alle opere più care a Brizzi: quelle che affrontano temi generazionali e sociali affidandosi ad attori comici in grado di “stemperare” la materia.
Comici
“a tutto tondo” ma che grazie a Brizzi si cimentano così in ruoli più
“sfaccettati del solito”, come nel caso del Giorgio Faletti di Notte prima
degli esami: un ruolo da genitore e al contempo insegnante, spesso costretto a
indossare la maschera più severa rispetto a quella amichevole; regalando solo
un piccolo “sorriso di intesa”, nascosto dal fumo di una sigaretta, per
certificare una vicinanza con i suoi figli e alunni “più giovani”.
Pensando
a Brizzi e al ruolo di Pintus in questo film arrivano echi proprio al
personaggio del professore del mai dimenticato Faletti (personaggio che in
Brizzi ha rivissuto “tre volte”, sempre in opposizione a Vaporidis, in un
instant-sequel, ma anche trasformandosi in un vero e proprio villain, in un
thriller-action non convenzionale come Cemento Armato… ma questa è un’altra
storia).
Certo
Faletti impersonava un terribile insegnante del liceo e Pintus è un maestro
delle elementari giocoso, pronto a travestirsi da Asterix (anche se lui
puntualizzerebbe “Vercingetorige”), “più amico che minaccia”. Faletti era padre
di una ragazzina che stava per affrontare, come il giovane protagonista di
Vaporidis, la famigerata “notte prima degli esami”, uno dei momenti più belli e
drammatici dell’esistenza umana. Viveva così questa esperienza “due volte”. Pintus
non è ancora padre e sta cercando di promuovere la sua classe di alunni in
vista del primo anno di scuola media, che rappresenterà anche il suo distacco
da loro come insegnante, assistito (o forse bonariamente intralciato) dal
personaggio del preside, del bravo Catania, che racconta con la sua parte della
grande gioia e malinconia di un ruolo educativo “a tempo determinato”, che ogni
tanto può avere di fatto molte sfumature genitoriali.
Pintus
funziona benissimo come insegnante: favorito da un cast di giovani attori molto
riuscito, una fotografia super colorata e una trama “scolastica” molto
divertente, riesce in queste scene cariche di azione e gag a offrire il meglio
del suo repertorio da intrattenitore surreale e quasi slapstick.
È il Pintus “futuro genitore” che è più contratto, forse “irrisolto”. La genitorialità, tematica che presto scalza della maternità surrogata
dall’obiettivo principale della pellicola (forse perché oggi ancora troppo
difficile), sembra travolgere come un’onda un po’ tutti i protagonisti sulla
scena, a parte Pintus.
La
Zoboli incarna una Marta particolarmente in crisi, emotiva, a volte dispotica
ma tenerissima: alla continua ricerca di un equilibrio tra le sue
irrinunciabili esigenze di cura e controllo e la possibilità di accettare la
vita “così come viene”. Il personaggio di Luce, di Beatrice Arnera, è una
madre-bambina controvoglia, infantile quanto un po’ “scroccona”, ma che ha alle
spalle un vissuto molto complicato che ne giustifica molti atteggiamenti
contraddittori. Solenghi è un poliziotto integerrimo fino allo sfinimento, quasi
caricaturale, ma mostra dietro l’armatura di poter essere, anche e pur sempre,
un padre. Il folle e divertentissimo personaggio di Maria Amelia Monti è cosi
innamorato del suo ruolo di “levatrice new age”, da far intendere di accettare
di operare anche in contesti non del tutto legali, “pur che nasca un nuovo
bambino”.
Tanto
la Zoboli, la Monti, Sonenghi e la Arnera, dimostrano con i loro personaggi una
trasformazione emotiva importante nel corso della storia.
Il
personaggio di Pintus no. O per lo meno dimostra, tra le righe, quanto per lui
sia difficile “abbassare la maschera”: per esprimere liberamente delle emozioni
diverse dal buffo maestro elementare “tutto battutine, pose da supereroe e
sguardi buffi” che impersona.
Tra le
righe, Angelo ci racconta di essere un personaggio che ha vissuto molte
situazioni di fragilità emotiva, fino ironicamente a scegliere di poter vivere
solo con la sua analista. Tra le righe, lo vediamo leggere Focus Junior e
guardare solo cartoni animati, forse un po’ con un complesso acuto di Peter
Pan, buffo ma preoccupante.
Avremmo
voluto davvero vedere Pintus almeno per un istante, almeno di sfuggita, magari
nascosto nell’ombra, “commuoversi”. Abbassare per un istante la sua “maschera
comica” e rivelare un personaggio più complesso anche in ragione del tema
portante del film: il desiderio di diventare padre.
Forse
è un desiderio anche questo implicito, in quanto il personaggio possiamo dire
che viva l’insegnamento come già una forma di genitorialità, ma avremmo voluto
qualcosa di più.
Anche
il personaggio di Fantozzi di Villaggio indossava una maschera comica: ma
quando questa “calava”, vedevamo un uomo ricco di dignità, lucidissimo davanti
a un mondo crudele. Sotto la maschera buffa di molti personaggi da cinepanettone
di Boldi c’è una voglia di tenerezza non espressa in modo deciso. Dietro le
maschere dei più cattivi anti-eroi di De Sica c’è la paura del “vuoto”, il
timore che non esista nulla di lui oltre la maschera stessa.
Quando
“cade la maschera” ognuno di questi personaggi si eleva in qualcosa di nuovo e
unico: ci accorgiamo che un film comico più darci qualcosa “di più” che
l’esecuzione di un lungo sketch comico.
Chi
c’è qui dietro la maschera del maestro Angelo di Pintus? Forse è troppo fragile
e agisce emotivamente per lo più solo “di supporto” a un desiderio espresso da
altri personaggi, esprimendosi con un paio di pacche sulle spalle? Nasconde sul suo Focus Junior tutte le verità sul destino umano?
Un bravo comico come Pintus può sicuramente diventare un grande comico, se prima o poi riuscirà ad abbassare quella maschera, senza ridurci a indagare sui sentimenti del suo personaggio come dei detective. Forse sarà per la prossima volta.
Finale:
Dove osano le cicogne è un film che riesce ad affrontare con molta leggerezza e
ottimi interpreti un tema molto complicato come la genitorialità, di fatto
cercando di parlare, molto a latere, “andandoci con i piedi di piombo”, anche
un tema ancora più complicato, difficilissimo, come la maternità
surrogata.
È un’opera
colorata, pieno di bambini e di gag divertenti, perfino qualche scena d’azione,
che possiamo ritenere perfetta come intrattenimento per tutta la famiglia, in
queste feste natalizie. Adatta a tutti i bambini e a tutti i tipi di genitori.
Molto bravi tutti gli interpreti e divertentissimo Pintus, anche se forse non riesce ancora ad abbassare la maschera comica che lo ha reso un personaggio tanto amato, per raccontarci personaggi con qualche sfumatura in più.
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