giovedì 1 marzo 2018

Puoi baciare lo sposo: la nostra recensione





-Premessa, inizia la fase due del "gay cinematic universe". Con una recente legge di riforma del diritto di famiglia, la 20 maggio 2016 n. 76, approvata con larga maggioranza, ha trovato coronamento un dibattito politico (e giurisprudenziale) che ha mosso i primi passi istituzionali con un disegno di legge dell'8 febbraio 2007. Sulla base anche di una interpretazione innovativa degli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione, relativa ai diritti inviolabili dell'uomo e alla pari dignità sociale senza distinzioni di sesso, sono state approvate anche per l'Italia le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Parliamo di unioni civili, che è un termine in cui possono rientrare anche casi diversi dalla relazione omosessuale e non di "matrimonio gay", perché questa espressione rimane di fatto ancora un tabù nel nostro paese anche se nel resto del mondo, Germania in primis, non sussiste più. A seguito della approvazione di di alcuni formulari, dell'intervento di un decreto-ponte e di altri ammennicoli burocratici il primo agosto del 2016, verso le ore 17.00, si è celebrata a Reggio Emilia la prima unione civile di una coppia omosessuale, officiata dal sindaco Luca Vecchi. Il quotidiano Repubblica riporta un dato, oggi pure un po' datato, che calcola, dall'agosto del 2016 al maggio 2017, 2.800  unioni civili. Viviamo in un paese che si interroga ancora molto (e spesso non è chiaro a che titolo) sul fatto di "accettare o meno" la libertà sessuale di una persona, ma le istituzioni sono già arrivate di fatto alle unioni civili. Per questo per una volta arriva un film che muove i passi proprio dalla accettazione di questo passaggio storico, mettendo anche coraggiosamente e incoscientemente  in secondo piano una riflessione su come  debba essere "accettata socialmente l'omosessualità in sé". Ed è esattamente, per parlare con il linguaggio nerd più caro a questo blog, come quando siamo  entrati nella seconda fase dell'Universo Cinematografico Marvel. Prima, nella fase uno, abbiamo conosciuto singolarmente  i supereroi e il modo che hanno scelto di vivere la loro esistenza dopo che si è manifestato in loro un superpotere. Poi nella fase due li abbiamo visti interagire, combattere insieme al di là delle loro divergenze per uno scopo comune, abbiamo soppesato gli effetti di questa loro unione sulla società (Gli Avengers!!), abbiamo visto come l'opinione pubblica si è mossa di conseguenza e quali leggi sono state richieste per integrarli nel tessuto sociale al meglio, nel rispetto anche della loro autodeterminazione. La legge Cirinnà come i patti di Sokovia in Captain America: Civil War. E come nella fase uno Marvel abbiamo conosciuto i nostri eroi attraverso pellicole action ma con influenze mutuate da generi cinematografici diversi (Captain America mutuava il War Movie, Thor il para-peplum epico, Hulk quasi il territorio psicanalitico, Spiderman il genere adolescenziale ecc...), anche i film che hanno trattato dell'omosessualità hanno scelto di esprimerla in contesti narrativi variegati. Il Legal-Drama di Philadelphia, il musical di Rent, Priscilla e in parte Billy Elliot. Il film storico di La finestra di fronte o Happy Together (e in parte anche Furyo), il western di Brokeback Mountain, la commedia de Il vizietto, In & out, il genere adolescenziale  di Vita di Adele e Sognando Beckham, il dramma di Dallas buyers club e Belli e dannati, i film sulle rapine come Quel pomeriggio di un giorno da cani, l'horror con Insidious 2. Il genere biografico annovera poi molti ritratti di persone omosessuali. L'elenco è sterminato e qui ne ho riportato solo una minima parte, ma ci sono anche dei festival annuali dedicati al cinema a tematiche omosessuali, presenti un po' ovunque e il mercato asiatico è particolarmente ricco di produzioni di questo tipo. Ma nel nostro paese sembra che servano ancora e ancora pellicole per conoscere ancora di più e ""accettare"" di più questi strani "supereroi". Puoi baciare lo sposo, almeno per molti spettatori in sal,a ho notato che sarebbe dovuto essere ancora come un film della fase uno Marvel, un film ancora necessario per accettare un tipo di "diversità" che di fatto dovrebbe essere già stata accettata da anni. Pertanto considerate questa pellicola come un film della fase due di un ipotetico gay cinematic universe. Se volete recuperare qualcosa della fase uno vi invito invece a spulciare uno dei titoli qui sopra. Se poi qualche titolo vi piace, fatemi sapere.


-Sinossi fatta male: Antonio (un Cristiano Caccamo allegro e dagli occhioni sognanti) è un ragazzo italiano, magrolino, originario di Civita di Bagnoregio, che vive e lavora in una Berlino assolata, moderna e felice, dividendo un appartamento con alcuni ragazzi che ha conosciuto mentre faceva parte del cast di un musical. Antonio si sente realizzato e innamorato perso proprio di una delle persone con cui divide l'appartamento berlinese e con cui vuole continuare a vivere il resto della sua vita, Paolo (un Salvatore Esposito incredibilmente allegro e incredibilmente dagli occhioni sognanti, lontanissimo dal suo Genny Savastano di Gomorra quanto comunque credibile, una bella prova d'attore). Saranno le "guanciotte" e gli occhioni castani, saranno l'espressione e i modi protettivi un po' da Bud Spencer è un po' da Cannavacciuolo, Antonio chiede a Paolo di sposarlo. La cosa non è troppo strana per chi vive come loro a Berlino e Paolo subito accetta, ma a una condizione. Riuscire a comunicare questa scelta ai rispettivi genitori rimasti in Italia. La ricerca di questa approvazione non si presenta certo facile, ma entrambi la sentono ad ogni modo necessaria, motivo per cui la coppia decide di intraprendere il viaggio per l'Italia. Ad accompagnarli ci sono anche Benedetta (una sempre stramba ma dolcissima Diana del Bufato), loro amica e proprietaria dell'appartamento di Berlino, e Donato (un surreale ma umanissimo Dino Abbrescia, in una parte da Jared Leto), il nuovo coinquilino che non vuole rimanere da solo a casa per via di una grave crisi depressiva (i suoi figli lo hanno scoperto mentre si vestiva da donna e lo hanno allontanato dalla loro vita). Se il viaggio nella terra d'origine della coppia può essere pesante, Benedetta e Donato, con le loro mille stranezze comportamentali e sociali fungono da autentiche "armi di distrazione di massa" e il gruppo può quindi trovare in loro una forza di supporto emotivo inaspettata. Da Berlino a Civita di Bagnoregio di primo acchito sembra di aver buttato l'orologio indietro di 500 anni buoni. La cittadina è una rocca medioevale scavata sul culmine di una montagna, granitica nei secoli, con tradizioni religiose che contemplano per Pasqua una via crucis cittadina con figuranti e questuanti incappucciati che si prendono a cinghiate. Antonio ogni anno torna a casa per Pasqua e interpreta nel corteo Gesù, si prende croce di legno e cinghiate e gira così per per tutte le ripide strade della cittadina per un ora. Tuttavia Civita di Bagnoregio non è "medioevale"come all'apparenza, dalle sue mura secolari, la si dipinge. Roberto (Diego Abatantuono, in uno dei suoi recenti e ormai collaudati ruoli di "uomo di potere"), padre di Antonio, è il sindaco del comune ed è da sempre fautore di una politica progressista volta alla integrazione delle minoranze etniche, accolte in città anche senza il consenso della giunta. La madre di Antonio, Anna (una Monica Guerritore molto decisa e portatrice del "vero" ruolo di comando della donna nella propria casa e oggi sempre più anche fuori casa), conosce da sempre i sentimenti del figlio e vuole fare di tutto per supportarlo, perché vede che adesso è felice e trova che Paolo sia una bella persona. Il curato Don Francesco (un Antonio Catania molto divertente che in una scena gioca pure a fare San Francesco, cercando conversazioni con mosche e pecore), anche lui molto progressista, non ha problemi ad accettare la diversità di orientamento sessuale del suo pupillo Antonio e si offre di celebrare l'unione, anche se in un territorio non collegato all'esercizio liturgico per questioni di "etichetta" (sfumatura che tornerà anche più avanti nella pellicola), perché è convinto senza troppi problemi che la Chiesa dovrebbe occuparsi di amore e non ci devono essere ostacoli (ne ce ne dovrebbero mai essere) a sancirlo con una unione. Anche il resto del paese, tra cui gli incappucciati figuranti della via crucis pasquale, non hanno nessun problema ad essere dei felici invitati al matrimonio di Antonio e Paolo, ma ci sono un paio di aspetti che potrebbero inficiare il generale clima di festa che sta salendo per gioia e frenesia quasi al ritmo di un musical di Bollywood, supportato dalla presenza di una icona "camp" moderna come il gran cerimoniere di matrimoni televisivi Enzo Miccio. La mamma di Paolo potrebbe non arrivare alla festa e a Roberto "non piacciono i musical". 


- Da Broadway a Civita di Bagnoregio con la benedizione delle associazione Diversity: A Broadway è in scena da alcuni anni un musical di grande successo, My Big Italian Gay Wedding, che un giorno ha incuriosito lo sceneggiatore e regista Alessandro Genovesi al punto da convincerlo a portare quella storia anche da noi, adattandola a un contesto italico più contemporaneo e spogliandola di tutti gli stereotipi "spaghetti, pizza, baffi, mandolino" sugli italiani che all'estero divertono ma da noi non piacciono troppo. Ricordo una delle prime scene di Happy Family, film diretto da Salvatores tratto da uno spettacolo teatrale proprio di Genovesi, che ne ha curato personalmente l'adattamento. C'è protagonista Fabio de Luigi (che nei lavori cinematografici seguenti Alessandro Genovesi proverà a "tradurre in Ben Stiller"), sdraiato sul lettino di una massaggiatrice erotica cinese nascosto tra le viuzze di Milano e accessibile attraverso numeri telefonici provenienti da siti e riviste ambigue. De Luigi è massaggiato da una bella ragazza in un contesto socialmente un po' discutibile, ma non c'è carica erotica o tensione peccaminosa nell'aria. La ragazza è più occupata a rispondere al telefono ai clienti che di continuo cercano notizie sul massaggio erotico da lei offerto a listino ed è furibonda in quanto per problemi di lingua nessuno riesce a capire dove si trovi la via in cui esercita. È arrabbiata, ripete a macchina la stessa frase più volte perché non viene capita e di conseguenza si arrabbia di più, al termine di ogni chiamata butta giù il telefono con un impeto furibondo. A un certo punto De Luigi, che non ce la fa più, le chiede di prendere lui le chiamate, spiega a sconosciuti tariffe, servizi, le migliori zone di parcheggio, la disponibilità oraria. Ed è una scena dissacrante quanto divertente, che capovolge e svuota di senso tutta la cornice peccaminosa della scena, rendendola un po' patetica, surreale e grottescamente (e molto probabilmente) realistica. De Luigi, da spettatore, ti rimane in bilico tra essere una persona andata a fare "una cosaccia" e un povero sfigato che sta vivendo una situazione miserrima proprio per via di quella stessa "cosaccia". Genovesi ama fare questo tipo di satira sociale, ama che la comicità delle sue opere fuoriesca dalle situazioni "più assurde della vita comune" e arrivi ad impattare sul pubblico, a confonderlo in modo costruttivo. Certo gli piace anche riempire i suoi racconti di vita comune di simpatici alieni totalmente "fuori dal mondo", come lo sono in questa pellicola il divertente duo composto da Catania e dalla Del Bufalo (così amabilmente complicati e belli nella loro relazione per "accumulo di stranezze" da non essere definibili), ma il focus rimangono i costumi, il giocare con e sul "sentire"comune. Con Puoi baciare lo sposo Genovesi si prende il rischio e gran divertimento (con una incoscienza alla Aronofsky) di satireggiare tantissimo (pure troppo) con il pubblico. A un certo punto diventa palpabile l'impressione che il regista volesse che il film dialogasse / provocasse il pubblico più che limitarsi a rappresentare un contrasto tra i personaggi in scena. Davanti a un contesto narrativo che richiede funzionalmente, a livello meramente "dialogico", la presenza di bigotti, Genovesi li cerca nella sala più che nel racconto. Cercate di trovare una sala bella piena e divertitevi anche voi a sentire le reazioni degli spettatori, fate per una volta gli screen tester e godete il più possibile di questa esperienza. Perché probabilmente sarete in sala con un pubblico che ha già fatto una scelta di campo, cioè ha comprato il biglietto di un film che parla di unioni civili tra omosessuali, ma che si aspetta dalla pellicola una certa meccanica causa/effetto che Genovesi ha provveduto a disinnescare pezzo per pezzo. La nostra coppia di promessi uniti civilmente incontrerà problemi nel comunicare ai genitori la loro omosessualità? No! Troveranno da parte della cittadinanza obiezioni? No! E dalla chiesa? Nemmeno! Certo, narrativamente qualche intoppo per esigenze minime di intreccio c'è, ma il film ha un animo "operativo", nel senso che le unioni civili in Italia sono consentite per legge e vuole indagare come l'italiano medio percepisca questa circostanza. Anche se la gente lo sa, molti credono che siano eventi sporadici e che di fatto si svolgano nelle grandi città e non certo nei paesini e province (come satireggia in uno dei passaggi del film l'uomo-politico Abatantuono). Senza andare a scavare nei più oscuri pertugi dell'animo umano, molti spettatori possono empatizzare per una storia d'amore ma cassarla all'origine con il presupposto che è "tragica" perché il mondo (il "loro"mondo) non dovrebbe andare in una certa direzione. Se togli a questi spettatori dei "prevedibili paletti narrativi" (Chiesa in primis) volti a rendere impossibile una situazione che in fondo, interiormente, trovano socialmente inaccettabile (pur empatizzando con i protagonisti), crei in loro un corto-circuito che li fa uscire di testa. Genovesi mette quindi in atto, all'interno di una commedia comunque rivolta al grande pubblico, una comunicazione aggressiva sul tema della diversità di genere all'epoca della istituzionalizzazione delle coppie di fatto, centrando uno dei punti che si prefiggeva un partner del progetto come la associazione Diversity, che si occupa di garantire e tutelare una rappresentazione responsabile delle persone LGBTI (sigla internazionale come termine collettivo per rappresentare persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali e Intersessuali). Diversity vuole far conoscere la realtà di queste persone e stimolare il dibattito costruttivo. È un impegno forte, che la produzione Colorado film e Genovesi si sono sobbarcati con molto coraggio e il cui effetto mediatico sarà interessante da valutare nel tempo. Anche perché è una strada che apre a un rischio altissimo dovuto all'infrangersi implicito del primo peccato capitale cui può incorrere un qualsiasi prodotto di intrattenimento: "mai far sentire il pubblico parte di una critica". Le opere che incorrono in questo peccato, anche se hanno molto da dire, verranno sempre nella maggior parte dei casi respinte dagli anticorpi emotivi dello spettatore. Soprattutto le realtà non interiorizzate possono attivare questi anticorpi.


-Only The brave? Ho apprezzato le interpretazioni degli attori, Salvatore Esposito su tutti per la grande versatilità dimostrata, ho apprezzato una cornice suggestiva e di rara bellezza come Civita di Bagnoregio, ho apprezzato il fatto che il focus fosse sull'accettazione dell'Unione tra i due protagonisti e non sulla classica storia di amore omosessuale, mi sono piaciute molte scelte musicali e Diana Del Bufalo, soprattutto Diana Del Bufalo. La vorrei vedere dappertutto, in un film di Wes Anderson o di Kauffman, in un film sulla resistenza o in Guerre Stellari. Dovrebbe essere impiegata di più in cartellone perché è solare e gioiosa nelle forme e nei movimenti, carina in un modo inconsueto, stralunata, sa cantare  in un modo che ti incanta (il film ha degli inserti musical che non sono niente male e lei ne è giustamente l'epicentro) e... taglio corto... abbiamo un bisogno folle di persone così al cinema. Ho apprezzato anche il coraggio narrativo della pellicola di cercare le reazioni della sala, scontentare per muovere a una riflessione nel modo forse più difficile ma non per questo poco proficuo. Sarei interessato ad una visione con seguente dibattito come nei cineforum di una volta. 
E poi arriva il "ma"... pur nei mille pregi sopra citati il film ha una struttura narrativa un po' contratta e sdrucciolevole, che rischia in alcuni momenti di confondere lo spettatore. Le ragioni del personaggio della Guerritore e di quello di Abatantuono in alcuni momenti appaiono contraddittorie più per problemi di scrittura che per intenzione degli interpreti. Considerata la natura di musical dell'opera da cui il film si è ispirato e il modo in cui di conseguenza può essersi evoluta la sceneggiatura mi sarebbero piaciuti personalmente molti più momenti musicali, anche se ammetto che tali innesti potevano di fatto disinnescare la carica comunicativa a cui l'opera ambiva. Puoi baciare lo sposo riesce a far parlare la sala, anche se in modo animato. È un pregio che non riesce a molte delle pellicole comunemente in cartellone. 
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