lunedì 12 marzo 2018

Il giustiziere della notte di Eli Roth: la nostra recensione






"Dovrete portarmelo via dalle mie mani fredde". Era questa la frase che era solito pronunciare, sollevando un fucile coloniale, l'attore Charlton Heston alla fine dei suoi interventi nei convegni della National Rifle Association, di cui era anche presidente. Nel 2008 aveva sfidato anche Al Gore, con la stessa veemenza, a strappare il secondo emendamento dalle sue "mani fredde", ribadendo fino alla morte il diritto di ogni americano a impugnare un arma. Probabilmente è stato pure seppellito con in mano un fucile coloniale e il secondo emendamento nell'altra. Negli anni '60 Charlton Heston è stato però di fatto anche un attivista dei diritti civili, che lottò a fianco di quel Martin Luther King che abbiamo ricordato di recente nel post su Black Panther. Da questa parte del mondo a volte sembra contraddittorio vedere insieme il diritto di armarsi e la voglia di difendere le minoranze etniche, ma questo modo di ragionare è un tratto tutto suo della logica americana che spunta in modo sarcastico anche nell'ultima pellicola di Eli Roth. Eli Roth è americano, ma forse perché nato in una famiglia ebraica di origini austro-russo-polacche, riesce ancora a sorprendersi e sorprenderci di queste strane manie americane. C'è nella pellicola a un certo punto un uomo anziano di ritorno dal funerale di sua figlia, forse il momento più doloroso che l'esperienza umana può immaginare. È in macchina, sta guidando e parla con il personaggio di Bruce Willis, distrutto come solo può essere distrutto chi ha subito un lutto così importante, inaspettato e crudele, per colpa di ferite inferte da uno sconosciuto criminale armato. Questo padre di famiglia si sta sfogando con dei fiumi di parole mentre avanza piano per una stradina sterrata al volante di un carcassone americano tipo. A un certo punto si ferma. Si ricorda qualcosa. Dice a Bruce Willis: "Mi sono dimenticato di fare una cosa importante". Fa inversione a "u" con il suo veicolo sgommando e si dirige come una furia verso i suoi campi che, rimasti incustoditi per via del funerale della figlia, ora sono diventati sicuramente preda dei ladri di bestiame. E infatti il vecchio arriva a destinazione e li trova. Subito estrae un fucile a doppia canna dal cruscotto con lo stesso spirito con cui si cerca un cd dei Pink Floyd da mettere nel lettore o si cerca l'ombrello dietro al sedile. Scende dall'auto e inveendo tutto incazzato inizia a sparare a caso. Parole e palle d'odio metallico all'indirizzo dei briganti in fuga. Giù pallettoni, ricarica e giù pallettoni. Normale come passare con la scopa il vialetto per togliere le foglie. Torna in auto e torna a parlare con Bruce Willis del suo dolore. 


Il giustiziere della notte di Eli Roth è così. È tutto così. Un'atmosfera vintage calda e soffocante che assimila la Chicago di oggi alla San Francisco di 48 ore di Walter Hill, lo sguardo cattivo da western urbano di Carpenter, una colonna sonora Tarantino -deluxe (nel senso di cool e curata), lo splatter esagerato da rape'n'revenge mutuato da robe come I Split on your grave, la tensione dell'uomo normale caduto in una situazione folle che di recente abbiamo ritrovato in Death sentence di Wan ma soprattutto l'ironia, tanta ironia cattiva a pacchi sull'esigenza dell'americano medio di armarsi e scendere in campo "quando la situazione lo richiede", finendo per rimetterci le penne. L'originale film con Charles Bronson rispondeva con "la seduzione delle armi e della giustizia" al desiderio di combattere e abbattere i criminali da strada in quelli che anche da noi erano chiamati gli anni di piombo. Eli Roth ribalta tutto e senza nemmeno nasconderlo troppo tra le righe fa vedere come molte sparatorie della pellicola si potevano di fatto evitare senza la smania tutta americana di giocare ai cowboy e l'ossessione di giocare la partita fino a che dovranno togliere il fucile dalle loro fredde mani. Il plot è quindi simile, con al centro un personaggio che diventa giustiziere a seguito della morte della moglie per mano di una banda di delinquenti. Ma gli esiti e le premesse sono decisamente diversi. Il Paul Kersey di Charles Bronson è un architetto che ama sparare ed è di base un ottimo cacciatore, con la polizia che lo tallona stretto. Il Paul Kersey di Bruce Willis è un medico che non ha mai toccato un'arma circondato da un mondo felicemente e pesantemente armato. Quando diventa un giustiziere e inizia a far salire con il pallottoliere il numero dei criminali morti ammazzati quasi gli danno la medaglia, la società esulta, la polizia stima, alcune voci sono dubbiose ma non vengono ascoltate. Le radio locali sostengono che è una figata questo tizio, è come nel videogioco del Gran Ladro d'Auto e poi "serve", svolge un compito sociale di smaltimento rifiuti! Il look da giustiziere che sceglie Bruce, con felpa da ginnastica con calato il cappuccio sulla testa che gli fa guadagnare il nome di "mietitore" (il  grim reaper classico è infatti la morte con il cappuccio e falce), diventa subito virale e a un certo punto tutti gli everyman sfigati di Chicago iniziano ad andare in giro così agghindati, come in una scena di V per Vendetta, pronti a farsi crivellare di colpi dalla prima mezza tacca di quartiere. "Armarsi" in questo film è poi visto in un modo così gioioso e sopra le righe da non sembrare vero. Un paio di giorni e ti porti a casa un mitragliatore cromato oro dal punto vendita più figo di zona, gestito da commesse ultra-sexy, in modo totalmente legale e garantito. Si nota ed è un bel vedere la sceneggiatura sulfurea a firma Joe Carnahan, uno che ha creato il pazzo dittico degli Smokin'Aces e il cupo The Grey, uno che è dietro alle puntate migliori della serie TV Blacklist. Carnahan sa giocare con l'eccesso come maneggia bene la grammatica dell'azione e questo sodalizio con Eli Roth funziona a più livelli, dall'intrattenimento allo splatter alla satira, come alcuni dei gioiellini anni '80 di Paul Verhoeven. L'azione è sempre divertente e strutturata, il ritmo indiavolato, alcune sequenze così sulfuree che pare di leggere il Punisher di Garth Ennis. Finalmente vediamo in forma Bruce Willis dopo troppo, troppo tempo. Ed è una vera gioia, inaspettata. Finalmente vediamo Eli Roth tornare ai tempi d'oro dopo un paio di film simpatici ma un po' opachi e lo vediamo tecnicamente quasi più in forma (anche se gli ultimi minuti del primo Hostel ancora non si battono e stanno di diritto in cima al suo cinema). Quindi tutto bellissimo e tutto fantastico? Questo Giustiziere della Notte formato 2018 diverte e intrattiene, fa sorridere in modo amaro, ogni tanto come si conviene sa giocare con la tensione e infine vola via veloce. Peccato che nel frattempo siano arrivati i The Raid di Gareth Evans, gli Atomica Bionda e i John Wick di Stahelski e Leitch, le Notti del giudizio di DeMonaco e, perché no, il Baby Driver di Wright. L'opera di Roth, pur coccolando il fan medio del revenge/action movie, non riesce a essere altrettanto sovversiva e incendiaria, nuova come linguaggio e altrettanto sexy. Però è di sicuro una bella bombetta, come lo era ai suoi tempi Payback con Mel Gibson. Sia chiaro che se mi annunciano un seguito io sono già in sala a vederlo in prima fila. Questo ultimo Roth non è affatto male. 
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