martedì 25 febbraio 2020

Il richiamo della foresta - la nostra recensione!




Buck è un cagnone irresistibile, enorme e buffissimo, che vive da principino viziatissimo in un piccolo paesino nella provincia americana. Essendo il cane del giudice (Bradley Whitford), tutti lo viziano e tutti lo temono, tutto gli è permesso e tutto rompe, mangia tutto, sbava su tutto, fino a che un bel giorno arriva una bella sgridata, una notte al freddo e al gelo per punizione e un bruttissimo tiro della sorte fa finire la pacchia del tutto. Rapito da uomini senza scrupoli, Buck arriverà nel Klondike, dove i cercatori d'oro usano le slitte trainate dai cani per percorrere le lande ghiacciate, spesso rimettendoci la pellaccia. Buck imparerà con il tempo a vivere a contatto con altri cani in quella natura selvaggia, incontrerà più padroni, tra cui il simpatico Perrault (Omar Sy) e presto sentirà il richiamo dello spirito di un enorme lupo nero (forse il leggendario Fenrir dei miti vichinghi?), con grandi progetti per il suo futuro. Se Buck compie un viaggio che lo spinge sempre più verso la natura selvaggia, in quel mondo di confine ci è già invischiato il solitario John Thornton (Harrison Ford), forse in fuga da se stesso più che dal mondo. L'incontro tra John e Buck cambierà la vita di entrambi.
Chris Sanders, regista e sceneggiatore di Lilo e Stich, Dragon Trainer e i Croods, ma anche sceneggiatore di cartoon Disney indimenticabili come La bella e la bestia, Aladdin, Il Re Leone e Mulan, riadatta per il grande schermo del 2020 The call of the Wild, classico dei classici di Jack London (papà anche di Zanna Bianca), una delle opere letterarie più seminali di tutti i tempi, scritto nel 1903 e ancora oggi famosissimo, adattato al cinema già 14 volte. 


La tecnologia recente permette una effettiva "recitazione" degli animali, tanto che il cagnone Buck è "interpretato" da uno straordinario attore di performance capture di nome Terry Notary, che si è fatto le ossa creando le movenze per la scimmietta Rocket (nella recente saga del Pianeta delle Scimmie), per lo scimmione King Kong (Kong: Skull Island), per l'amabile uomo-pianta Groot (Avengers: Infinity War). Buck è  un amabile pasticcione che durante la pellicola cresce, scopre le sue qualità, interagisce attivamente con i personaggi umani e al contempo salta e corre in paesaggi innevati resi iper-realistici e vorticosi come montagne russe dal meglio della tecnologia digitale odierna. Il film è un autentico prodigio visivo vicino per complessità e messa in scena a Revenant di Inarritu e 1917 di Mendes. Insieme a Buck siamo anche noi ad immergerci sempre più in una foresta che ci chiama, sospinti dalle musiche del veterano John Powell, nella cui sconfinata carriera figurano perle come Happy Feet, Dragon Trainer e L'era glaciale. Se il comparto visivo e sonoro è stellare, la sceneggiatura di Michael Green (Logan, Blade Runner 2049) funziona molto bene nella prima e seconda parte, per poi perdersi un po' in un finale troppo repentino. Facendo un parallelo con l'interessante ma un po' diabetico War Worse di Steven Spielberg, Il richiamo della foresta si può idealmente dividere in capitoli caratterizzati dal rapporto tra il cane Buck e i differenti padroni che si sono susseguiti nella sua avventura. Ogni capitolo in qualche modo ci porta delle "suggestioni narrative" che sono proprie dell'opera di London ma che il Cinema ha scisso e declinato in diverse pellicole. È un overture interessante. La vita con il giudice impersonato da Whitford ha echi della commedia leggera Beethoven di Brian Levant, il periodo con Omar Sy è un ottovolante infinito con curve a gomito che richiama il cartoon action Balto di Simon Wells, la storiaccia brutta con Dan Stevens dura poco ma ha i toni horror de La cosa di Carpenter e la follia di un Urlo dell'odio di Lee Tamahori. Poi arriva Harrison Ford è Buck è subito Chewbecca, la pellicola si distende tra magnifichi quadri naturalistici alla Revenant e delle felici contaminazioni in area Alba pianeta delle scimmie di Rupert Wyatt. Questo "c'era già tutto in London e torna a London", per mezzo di Disney, insieme alla mitologica figura del lupo nero che aleggia su tutta la narrazione e che per i più piccini assomiglierà tantissimo al Mufasa del Re Leone (1998) o al Grande Cervo di Bambi (che comunque è del 1942). Omar Sy è travolgente per simpatia e umanità, Whitford indossa bene la maschera comico silente e lunare, Harrison Ford quando arriva in scena si divora tutto, diventa il "suo film", una delle sue interpretazioni più belle, sofferte e malinconiche, diventa il "suo" Revenant, orso compreso. È molto commovente e non pensiamo per un attimo che stia parlando con un cane digitale. Dan Stevens purtroppo non ha un personaggio ugualmente ben scritto e il suo tempo su schermo è poco convincente, con delle ricadute sul finale, se vogliamo il momento in cui la pellicola non è proprio al top, che arriva come una mannaia mentre saremmo stati ancora una buona mezz'ora in compagnia di Buck. Pur con questo piccolo difetto, Il richiamo della foresta è una pellicola meravigliosa, elegante, divertente e malinconica. Personalmente lo ritengo il più riuscito film Disney live action dai tempi de Il libro della giungla di Farvreu. Come Revenant, è un viaggio visivo nella natura da gustare a pieno su grande schermo, con il miglior impianto sonoro disponibile. 
Davvero un paio d'ore niente male. 
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