lunedì 3 febbraio 2020

1917 - la nostra recensione del nuovo film di Sam Mendes, basato sui racconti di guerra di suo nonno Alfred



6 aprile 1917, Francia, tra i prati e fiori ai margini di un campo di soldati inglesi, con classico elmetto a padella in testa. Siamo nel primo pomeriggio, è passato il postino ma il rancio ancora no, quando il giovane e gioviale caporale Blake (Dean-Charles Chapman ), esperto mappatore, è richiesto per una missione urgente dal generale Erinmore (Colin Firth) e decide di prendere con sé il taciturno soldato Schofield (George MacKay), un commilitone che ha già conquistato sul campo una medaglia al valore. L'incarico è rischioso e coinvolge Blake personalmente. Suo fratello (Richard  Madden) fa parte di una compagnia che secondo le nuove fotografie aeree all'alba finirà massacrato in una maxi-trappola ordita dai tedeschi, che dopo aver finto la fuga e lo smantellamento delle trincee esterne stanno spingendo gli inglesi verso un avamposto fortificato pieno di cannoni. I ragazzi dovranno in gran segreto percorrere qualcosa come 15 chilometri, valicare le trincee nemiche (che si ritengono essere) abbandonate, lanciarsi tra fango, fiumi e detriti di città diroccate, per raggiungere il contingente e consegnare a chi è al comando una lettera del generale che ordina di annullare l'attacco. Sono a rischio le vite di 1600 soldati. I nostri due eroi, prima sbattendo continuamente contro la colonna dei commilitoni, e poi inciampando in fili spinati e interiora di cadavere, si incamminano così in quello che, passo stentato dopo passo stentato, sembra essere sempre più un cammino verso l'inferno. Tra paesaggi apocalittici sinistramente deserti, corpi ammassati e sparsi come decorazione un po' ovunque, bossoli giganti, carcasse di mucche e cavalli morti, cunicoli stretti e spettrali, topi grandi come cinghiali e chiese infuocate, riusciranno a portare a termine il loro incarico?  


Sembra di essere tornati ai tempi del Signore degli Anelli, con Sam e Frodo che si inerpicano tra gli anfratti sconnessi e mostruosi di Mordor, mentre sullo schermo esplodono mille giochi cromatici e una colonna sonora spettacolare, da vera epica, travolge ed emoziona a ciclo continuo. La "storia" raccontata uno dei milli episodi della "Storia" del conflitto con la "s" maiuscola in una dimensione su scala al contempo piccola quanto grande. Due uomini hanno in mano il futuro di 1600 soldati e oltre al viaggio dovranno anche convincere a ritrarsi dai giochi degli ufficiali troppo incazzati e troppo esauriti per ascoltarli. I nostri soldatini sono piccoli, coraggiosi, simpatici ragazzini. Blake è ultra-ciarliero ed emotivo, racconta storie dense di humor nero e sbatte contro feriti e cadaveri nella foga di arrivare prima al fratello, ma è anche incredibilmente altruista. L'altro quasi non parla, assomiglia a Ron di Harry Potter, non sprizza simpatia e si prende un sacco di ferite, è perennemente depresso e agisce con spirito tanto coraggioso quanto a volte suicida. Li conosciamo in poco meno di due ore di una pellicola che mette in scena una missione che si svolge quasi in tempo reale, con la telecamera che sta sempre ossessivamente su di loro, in un gioco di prestigio visivo alla Birdman che "non stacca mai" dai nostri eroi, anche se corrono tra i boschi, salgono su di un'auto, nuotano ed entrano in una casa diroccata. L'effetto generale è pazzesco per la fluidità con cui le immagini descrivono l'azione, ma forse rende tutto lo spettacolo un po' plasticoso e ovattato. Non è esattamente cinema che nasce dalle improvvisazioni del "mettersi nei panni" di un personaggio, è più un seguire con tutte le forze uno storyboard leggendo ogni espressione quando ogni passo all'interno di uno schema strettamente predefinito, un elegante orologio svizzero. Sembra di assistere a una specie di eterno balletto che coinvolge tutti gli elementi in scena, dagli attori agli effetti speciali, passando per le scenografie e le luci. Tutto danza insieme alla telecamera che sale, scende, gira, si immerge, rincorre e si fa seguire dai protagonisti. Forse per le riprese avranno usato dei droni-anfibi-militari-sperimentali, alla faccia di Sam Raimi che per gli inseguimenti de La casa montava una telecamera sulla sua moto e pregava che non si rompesse contro un albero o colpisse Bruce Campbell uccidendolo... Altri tempi, ormai le telecamere compiono acrobazie più articolate e precise del volo di un falco pellegrino. 1917 è in sintesi il modo più spettacolare concepibile di descrivere lo spostamento di due personaggi da un punto "a" ad un punto "b" che, stringi stringi, è tutto quello che accade a livello narrativo. Poche le interazioni con gli altri attori in scena, al punto che i più giovani e chi avrà visto il nuovo Jumanji li scambieranno per personaggi non giocabili di un videogame di avventura o sparatutto. Poche le linee di interazione dei due protagonisti, per lo più intenti a correre, saltare, accucciarsi e sparare, tanto che per i più giovani e per chi ha visto Jumanji, complice il fatto che la telecamera non stacchi mai da loro due, sembrerà a tutti gli effetti di guardare al cinema un videogame in terza persona. Pur con questi limiti strutturali, che rendono la narrazione più epidermica che effettiva, più sensoriale che cerebrale (ma forse è a tutti gli effetti un segnale di come muterà il cinema nei prossimi anni), lo spettacolo c'è, ed è grande, sontuoso. Gli attori sono bravi è molto espressivi e se non fosse stato per le loro capacità tutto il gioco visivo non avrebbe funzionato. Si avverte la paura, il dolore, l'impotenza, la rabbia. Si respira fango e sangue, ma si sente anche il calore del latte caldo, ci si commuove per un canto nostalgico come in Orizzonti di Gloria. Ci mettiamo davvero nei loro panni e al netto del fatto che non siano proprio dei "chiacchieroni" ci sentiamo coinvolti dalla loro vicenda perché la viviamo insieme a loro, quasi in prima persona. Certo si sacrifica un po' la narrazione (laddove la narrazione vive anche di un non detto e non rappresentato) relegando a pochissimi (ma geniali) spazi l'immaginazione dello spettatore, asservendolo alle regole di un magicamente cedibile "qui e ora". Ma funziona, soprattutto quando il regista gioca a mescolare la natura alle azioni e fantasie umane. Mendes torna qui a essere più vicino ad American Beauty, dove vedeva la poetica di riprendere con una telecamera a mano le folli e malinconiche traiettorie di un sacchetto di plastica spinto dal vento. Nello stesso film si accoglieva Mena Suvari coperta solo di petali di rose rosse che cadevano dal cielo come nuovo sogno erotico collettivo. Il vento ha di nuovo voce in 1917, ci sono petali di ciliegio che scendono anche loro dal cielo, la stessa armonia rivive e si espande. È al contempo un Mendes lontano dalla  satira del mondo militare, scorretta e anti-eroica, del suo Jarhead. Poche battute sul senso del conflitto, di più l'eroismo semplice di sopravvivere giorno per giorno per tornare a casa senza più ripartire per il fronte. Ma forse perché qui Mendes racconta storie di guerra che ha sentito direttamente da suo nonno, il lascito morale di un mondo "che poteva capire un bambino" che il Mendes piccino avrà avvertito come più vicino alla favola e per questo non dissimile al racconto di coraggio e altruismo che coinvolge Sam e Frodo nel Signore degli Anelli


È un unico piano-sequenza, showcase ultratecnico che "Scorsese spostati"? È la sublimazione del videogame "con elementi narrativi", qualche volta alla Battlefield qualche volta alla Plague Tale / Life is Strange, che diviene cinema e sarà sempre più cinema negli anni a venire? È la favola del nonno con cui Mendes si addormentava da bambino, dove un po' alla Indiana Jones "l'unico nazista buono è un nazista morto"?
1917 è un po' tutte queste cose insieme, ma soprattutto è una esperienza audiovisiva avvolgente, che smuove paure e slanci primordiali e che a fine visione rilascia un senso di compiutezza e circolare bellezza che assorbe e spinge a volerne ancora, a bramare una nuova visione dove perdersi tra i mille dettagli sullo sfondo che al primo giro si sono persi. Mi dicono dalla regia di comunicare che guadare 1917 non dà effetti di nausea come opere tipo Hardcore di Naishuller, potete quindi andare in sala senza il travelgum (ho scoperto che lo fanno ancora!! Quando andavo in vacanza in Liguria era l'unico modo che avevo per non inondare l'auto). 
Il direttore della magnifica fotografia è Roger Deakins, non a caso collaboratore storico di Mendes, ma anche per Villeneuve (in cose pazzesche come Blade Runner 2049, Arrival e Sicario), come per i fratelli Cohen. Le musiche sono di Thomas Newman, sono epiche più di tutto Lo Hobbit di Jackson e farete davvero fatica a levarvele dalla testa dopo la visione, al punto che il brano dal titolo "Gehenna" sto pensando di usarlo come sveglia.
1917 è un epico viaggio tra le trincee di un paio d'ore, qualche volta nella lenta perlustrazione di ricchi e dettagliati paesaggi, qualche volta veloce a rotta di collo, tra proiettili, bombe, fiamme ed eserciti in guerra. Trovatevi la sala più grande con l'impianto audio più performante e godetevelo appieno. La narrazione orizzontale non presenta molti guizzi, ma tra tanto splendore visivo e auditivo non ci farete molto caso. 
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