Terence
Hill ha vestito negli anni molti celebri personaggi. È stato tra gli altri per
il cinema e la TV Django (in Preparati la bara!), Don Camillo, Trinità, Lucky
Luke, di recente il forestale Pietro Thiene e ovviamente Don Matteo, che
tornerà a impersonare da gennaio per la serie di Rai 1. In questo film Terence
Hill parte interpretando se stesso e a seguito di uno strano e metafisico
"battesimo" diventa Thomas, un uomo sul finire della sua esistenza che
ha paura di andare incontro al suo destino ultimo, un uomo che
"dubita", come San Tommaso. Thomas a bordo della sua Harley Davidson
parte dall'Italia verso l'Almeria, il piccolo deserto dell'Andalusia, in
Spagna, dove Terence Hill ha girato molti dei sui spaghetti western, dove
sono conservati ancora i set di un saloon e dell'ufficio dello Sceriffo. Vuole
stare da solo, il suo è un viaggio spirituale in cui vuole assaporare le parole
del libro Lettere dal deserto di Carlo Carretto, guardare il cielo stellato e
dormire intorno a un falò. Ma lungo il suo viaggio Thomas presto incontra
Lucia (Veronica Bitto), una ragazza che sta fuggendo da qualcosa di grosso,
nel modo più rocambolesco e disperato che tutta la sua giovane età riesce a
concepire. I due presto si troveranno in viaggio verso la stessa meta.
Mi ha
sorpreso questo film scritto, interpretato e diretto da un Terence Hill mai
visto così malinconico, taciturno, metafisico. Il suo sterminato sorriso e un
paio di scazzottate fanno tornare alla memoria i momenti più iconici della sua
carriera e cercano di alleggerire la trama di questa pellicola, ma Il mio nome
è Thomas è tosto, è un film che parla del modo di accettare la propria morte e
scava "nella fede e nel destino" alla ricerca di un senso puro della
vita, di una libertà possibile nonostante tutto. È un testamento autorale vero
e proprio, intenso, accorato ma che non rinuncia alla speranza. Una storia
apparentemente semplice nella struttura narrativa, ma che anche il questo
aspetto emotivamente non scherza, richiama spesso Renegade - Un osso troppo duro
(la sua altra celebre sceneggiatura), rileggendolo alla luce del terribile
destino del figlio Ross Hill, che in quel film era coprotagonista. Il
personaggio di Veronica Bitto ricorda per forza, anche se la distanza
anagrafica con Terence Hill è ora doppia, quello di Ross Hill. Lo ricorda per
la sua carica vitale e per il modo tenero e conflittuale con cui si rapporta
con Thomas, uomo di un'altra generazione pur simbolo di un modo positivo e
generoso di guadare alla vita, ma che a volte appare forse troppo ingenuo.
Hill crea per Lucia dei dialoghi davvero struggenti e la Bitto è davvero
brava nel dare vita a un personaggio davvero complesso quanto autentico. Anche la dedica finale all'amico fraterno Bud Spencer, recentemente scomparso e
con cui non condivideva lo schermo del cinema da Botte di Natale del 1994 è
forte come sono magnifici quanto malinconici quegli edifici western abbandonati
in Almeria dove passiamo gran parte del secondo tempo. Verrebbe voglia dopo la
visione di Il mio nome è Thomas di andare a cercare Hill per abbracciarlo forte
e impedirgli di volare via per tanto è stato onesto, sincero e nudo in questa
prova d'autore. Obbligatorio a fine visione buttarsi su un classico come
Altrimenti ci arrabbiamo per tirarsi un po' su di morale, perché a questo giro
Hill vi farà finire le lacrime.
Molto
autobiografico, metanarrativo, spirituale quanto filosofico, Il mio nome è
Thomas è una lunga lettera d'amore nei confronti della vita e dei suoi grandi e
piccoli miracoli.
Terence
Hill cita la sua carriera passata e crea per se un biker metafisico
affascinante, taciturno ma quando serve ancora tosto.
La regia
appare piuttosto semplice e lineare, il ritmo è altalenante, ma il tema è
importante e Hill ci mette davvero cuore nel raccontarlo. Preparate i
fazzoletti.
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