lunedì 13 gennaio 2020

Halloween - il "reboot" di David Gordon Green: la nostra recensione




La trama in breve: presente. Sono passati quarant'anni dagli eventi di sangue del 1978 che hanno colpito nella notte di Halloween la piccola cittadina di Haddonfield nell'Illinois. Il ventenne Michael Mayers, che nel 1963, aveva ucciso la sorella durante la stessa notte, era evaso dal manicomio dove era rinchiuso, aveva percorso due ore di macchina senza aver mai saputo guidare ed era tornato nella cittadina di origine, uccidendo alcune persone facendo uso di funi e coltelli. Indossava una maschera bianca rovinata, con le fattezze del Capitano Kirk di Star Trek. Era stato fermato e rinchiuso di nuovo, mentre una delle sue vittime, Laurie, (Jamie Lee Curtis), miracolosamente sopravvissuta alla mattanza, non è mai riuscita a superare quel trauma, diventando con gli anni una donna aggressiva e autoritaria. 
Ora, nel 2018, mentre un ormai vecchio Michael sta per essere trasferito in una nuova struttura detentiva, due giornalisti in cerca di una storia riescono a incontrarlo e gli portano la stessa maschera bianca che aveva indosso nel 1978. Sarà l'inizio di una nuova mattanza.


È tornato anche Michael: Ero al cinema a vedere l'ultimo Terminator, Dark Fate, quando mi è tornato in mente questo film del 2018 prodotto da Blumhouse e Universal, seguito ufficiale e benedetto da John Carpenter in persona del solo e unico primo capitolo di quello che poi è diventato un vero e proprio franchise, l'Halloween del 1978. Nell'articolo sull'ultimo Terminator parlo di come per me il primo film di James Cameron sia almeno al 70-80% un rip-off di Halloween. C'è un mostro inarrestabile che indossa una "finta maschera umana", una donna con un destino avverso (si parla di destino e della capacità o meno di cambiarlo il una sibillina sequenza ambientata a scuola nel primo Halloween) che dovrà affrontarlo laddove gente più preparata e venuta allo scopo ha fallito per anni (Il Doctor Loomis di Peasance ha stesso scopo e informazioni, ma forse è però meno sexy, del Kyle Reese di Michael Bien, peraltro con a curriculum un altro personaggio "aiutante" di una altra celebre final girl, in Aliens), c'è una placida provincia americana come scenario. Poi ovviamente c'è una "salsa diversa", ma il succo è quello, a volte pure le scelte di fotografia. Amo Michael quanto il T-800, amo Laurie quanto Sarah, non è una gara e sono fan di entrambe le saghe. Nella mia testa avevo già scritto l'anno scorso la recensione di questo Halloween del 2018, pensavo pure di averla pubblicata (al punto che oggi sono andato a cercarla in archivio) ma credo di aver perso il file. In quel file avevo scritto di come David Gordon Green con questo Halloween avesse a sua volta omaggiato Terminator 2, facendo vivere alla Laurie Stode di Jamie Lee Curtis un percorso da Final Girl a guerriero definitivo, minaccioso quanto paranoico, simile a quello intrapreso dalla Sarah Connor di Linda Hamilton. Ora, nel 2019, vedendo l'ultimo Terminator mi sono stupito di come praticamente rielabori delle idee da questo Halloween del 2018! A partire dalla bellissima dicotomia mostro e final girl entrambi "invecchiati ma ancora ruggenti", passando per le tre generazioni di donne protagoniste, toccando il tema dell'educazione della "più giovane", perché il male, anche se sconfitto, prima o poi può presentarsi in nuove forme senza poter essere sconfitto per sempre. Con due seguiti già programmati (anche perché Halloween è costato una caccola rispetto a Terminator, incassando tantissimo), che ora si stanno girando step by step per via di un meritato successo di critica e pubblico, chissà che Terminator prenderà spunto anche dai futuri capitoli di Halloween.
Quindi colgo l'occasione per parlarvi un po' di Halloween, rigorosamente dopo che la festa è passata, per essere meno mainstream possibili. Vi parlo della nuova pellicola in parallelo a quella del 1978, invitandovi a vederle insieme (prima 1978 poi 2018), per cogliere il modo magistrale in cui si combinano tra loro.


- Le mille vite di una saga: Halloween, il cui titolo di produzione era The Babysitter Murders, è un film semplice, diretto ed emozionante, dotato di personaggi e una colonna sonora indimenticabile. Come i cuochi più esperti potrebbero certificarvi, realizzare qualcosa di semplice riuscendo a stupire è in realtà di una difficoltà assoluta, bisogna essere perfetti negli ingredienti e cottura, perché tutti "a pelle" sanno di poter realizzare qualcosa di semplice. Nella sua semplicità Halloween è considerato a ragione un capolavoro, un archetipo del genere, per il modo in cui descrive i personaggi, per la tecnica di ripresa utilizzata, per l'uso della colonna sonora. Personaggi realistici (né buoni né cattivi), telecamera a mano (usata per delle soggettive e per un taglio più da documentario, e all'epoca non c'erano i cellulari, le telecamere erano enormi e pesavano!!), musica che dialogava con la scena senza anticiparla (come era uso negli horror classici, mentre qui ha anche funzione di "bus", alzandosi e trovando note in evidenza, spesso stridenti, solo quando l'azione effettivamente si realizza, "a tradimento"). Praticamente ogni slasher in seguito ha "giocato a imitare Halloween" (o la scena del bagno con le medicine dietro lo specchio, creata da Landis per Un lupo mannaro americano a Londra), moltissime opere hanno cercato di replicarlo (Venerdì 13 su tutte) o dovuto per forza di cose confrontarsi con la sua fama (Nightmare). Nella sua semplicità, il film del 1978 riesce a essere criptico, misterioso, nella caratterizzazione di Michael. Non è spiegato perché usi una maschera quando uccide, non si comprende la sua apparente immortalità, non si capisce se abbia sentimenti o regole nella sua scelte delle vittime. C'è solo un bisogno primario, per i più Freudiani scaturito quando da piccolo ha cercato di penetrare con un coltello sua sorella mentre nuda si truccava allo specchio. Un bisogno che sembra fargli seguire altre vittime come un predatore, osservarle da lontano per poi colpirle ma rimanendo lucido, reagendo in modo intelligente nel caso qualcuno si sovrapponga al suo piano. Oltre alla Final Girl ad affrontarlo c'è uno psicologo, il Dottor Loomis, che diventerà ricorrente in tutti i film fino alla morte dell'attore, Donald Pleasence. Loomis ha un legame quasi paterno con Michael, che di fatto chiama sempre per nome. Avendolo supervisionato per 15 anni, ma trovandosi incapace di curarlo, si è trasformato in una specie di crociato. Convinto che Michael sia "male allo stato puro" vuole che venga condannato e giustiziato dalla società, portandolo sul patibolo con le sue stesse mani, colpevolizzandosi di non aver potuto fare di più. Donald Pleasence è una specie di Van Helsing, un uomo di scienza che scruta i limiti del suo sapere e si arrende alla propria impotenza, ma anche un personaggio allegro, spesso gioviale ed eroico. 
Un altro personaggio è la cittadina di Haddonfield, percorsa metro per metro con la telecamera a mano seguendo i percorsi da casa a scuola delle babysitter. Chilometri a piedi di adolescenti reali, che parlano di loro problemi piccoli e grandi di tutti i giorni, inquadrate come secoli dopo in Elephant di Gus Van Sant. La calma dei paesaggi ha contrappunto nella colonna sonora, opera dello stesso Carpenter, che non lascia un momento di pace, evidenziando la tensione a ogni passo, facendoci scorgere la minaccia del mostro in agguato anche quando la sua sagoma da stalker non viene intravista tra le siepi o dietro una porta delle casette del viale alberato. Le ragazzine parlano e camminano in queste stradine verdi e ordinate, un po' stile Edward Mani di Forbice, mentre noi avvertiamo che qualcosa di brutto è in agguato. Qualcosa di cui loro sono consapevoli, perché essere seguiti è una sensazione percepibile, ma che sottovalutano proprio perché è Halloween e seguire le persone per spaventarle è accettato, incentivato durante questa festa. 


Visto il successo al botteghino, è arrivata la voglia di sequel. Il primo, datato 1981, come una continuazione diretta, senza inventare o evolvere molto, ma stabilendo un possibile legame tra mostro e Final girl (che poteva essere sottinteso nel primo film) e offendo uno scenario, l'ospedale, sufficientemente claustrofobico e pieno di idee visive interessanti legate al posto e al particolare modo in cui si era scelto di impostarne la fotografia del grande premio Oscar Dean Cundey (un bianco e nero dalle tonalità blu scuro che sarà "prestato" alla saga di Terminator). Insomma, Laurie era imparentata con Micheal come pochi mesi prima, anno 1980, avevamo scoperto che Dart Vader era padre di Luke Skywalker. Era un periodo filmico che dove ti giravi trovavi giovani protagonisti buoni di film fantasy/horror imparentati con i cattivi, i loro stessi genitori, che erano cattivi in quanto frutto di una società precedente, con una scala di valori ormai inaccettabile. Per qualche sociologo era la voce di generazioni nate dopo le gradi guerre che giudicavano i loro padri per i loro errori passati e recenti, come il Vietnam. Michael fa la prima mattanza nel 1963, anno del più alto invio di americani in Vietnam, 15.500). I fan di Star Wars dicevano che "Il mondo sta copiando Star Wars", dimostrandosi già all'epoca dei luminari. Ad ogni modo Halloween 2, aumentando il numero dei morti come regola aurea vuole e puntando più o meno sulle stesse carte, fece il suo lavoro dignitosamente e fu un buon successo. Ma l'assenza di Carpenter alla regia si sentiva, con il regista che per altro stava girando La cosa, remake de La cosa dell'altro mondo, uno dei film che venivano visti dai bambini e dalle babysitter durante la notte del primo Halloween. Per Halloween 3 sembrava non ci fossero idee nuove su Michael, si parlava di girare pagina e creare una specie di serie antologica, venne sviluppata una trama diversa con protagoniste sempre delle maschere inquietanti. Non brutto ma un po' fuori tema, i fan volevano ancora Michael e  così tornava Michael per i capitoli 4, 5, 6 di una trilogia rimasta ancora in parte inedita in Italia. Il 4 non è nemmeno così malvagio, il 5 e 6 sono piuttosto bruttini. Michael qui veniva narrativamente "spiegato del tutto", anche perché occorreva qualcosa da inventarsi oltre alla sequenza di omicidi, in quanto il personaggio della sua nemesi originale, la Final girl della Curtis, dal secondo film non era più tornata in scena (perché nel frattempo la Curtis, diventata "miss seno d'America", era passata ad attrice brillante per Una poltrona per due e poi Un pesce di nome Wanda, la farà tornare action girl James Cameron nel 1994 con la parte di super sexy milf definitiva in True Lies). Michael veniva detto (nel classico modo confuso di tutti i film horror all'alba del capitolo 4 del brand) che era una sorta di burattino satanico che veniva utilizzato dai cittadini del paesello per ricevere prosperità e successo in cambio di un piccolo sacrificio, sfiga e disgrazia per una delle loro famiglie scelta dal destino. La famiglia di Michael era predestinata ad autodistruggersi immolandosi per la setta, per mano del bambino posseduto da un demone che non essendo riuscito a finire l'incarico era tornato in pista 15 anni dopo, nel mentre avendo strategicamente ucciso le figlie di altre famiglie sacrificali. Se all'epoca ci fossero stati i nerd complottari con YouTube, qualcuno avrebbe pure notato in Halloween 1 una bambola come Annabelle nella stanza di Laurie, inventandosi che il vero demone era quello e tutto Halloween è collegato alla saga di James Wan e Warner Bros / New Line. Sintetizzando, un risvolto che è poco divertente, macchinoso, un po' pretestuoso, privo di mordente, banalissimo e che per poco uccide il franchise. Ma nel 1998 al cinema arriva l'episodio 7, Halloween H20  in celebrazione dei venti anni dei brand cavalcati a tutto spiano per riportare il pubblico in sala. Non si si parla più di demoni e bambolotti, con la trama che si riavvolge considerando canonici solo i primi due capitoli, con i complottari dell'epoca che vedevano anche 4, 5 e 6 in "continuity nascosta", roba da veri "believers". Interessante il fatto che nel 1998 esca pure Scream, che celebra gli slasher-movie proprio citando Halloween in modo diretto. Se nella scuola di Scream il preside è Fonzie di Happy days, icona immortale degli anni '80, nella scuola teatro del nuovo Halloween il preside è ancora Jamie Lee Curtis, icona immortale anni '80 pure lei (non alziamo l'età ad una signora). Il film è diretto da Steve Miner, regista anche "della concorrenza", di quei Venerdì 13 2 e 3 che avevano scopiazzato senza pietà Halloween (perché voi sapete chi è il villain del primo Venerdì 13) e di quella perla con Julian "Aracnofobia" Sands di nome Warlock e di una delle mie horror comedy preferite, Chi è sepolto in quella casa. Si parla nel film di come Laurie non fosse morta fuori campo perché l'attrice non c'aveva voglia di girare Halloween 4, 5 e 6, si inventa una scusa credibile che le dà un background tragico e si allestisce un re-match alla presenza di una figlia non riconosciuta di Laurie e con la partecipazione della madre della stessa Laurie (la diva Janet Leigh, la vera mamma di Jamie Lee Curtis). Avevamo quindi tre generazioni di Stode in scena, segnate questo dettaglio che poi ci ritorneremo. Il film va bene, tra le chicche mostra gli occhi di Michael dietro la maschera e tutto si commuovono, non è assolutamente 'sto capolavoro e anzi si segnala per un Josh Hartnett pettinato come un vero deficiente e per una diffusa mosceria del cast, comunque si mette in cantiere il film del 2002, Halloween Resurrection. Il regista a sorpresa è Rick Rosenthal, già dietro alla macchia da presa per quel comunque riuscito Halloween 2 del 1981. Si cambia un po' strada di nuovo, si punta alla stronzata divertente che strizza l'occhio alla nuova mania di quel momento, i reality show. Così degli attori improbabili danno vita a dei proto-influencer ancora più improbabili, che vengono invitati da Busta Rhymes in persona a passare una notte, ovviamente sotto l'occhio delle telecamere, nella casetta abbandonata di Michael. Una situazione abominevole. Jason pur vestito da pagliaccio Power Ranger per Jason X del 2001 non era caduto tanto in basso. Il film in sé è pure divertente, ma si guarda con una tristezza infinita e giustamente fa affondare la baracca. Nel 2007 arrivava il reboot di Zombie ed Halloween tornava ad avere un cuore, al punto da piacere e generare un sequel autonomo nel 2009 (che sarà come tradizione vuole un mezzo passo falso). Il regista della Casa del diavolo prese Michael e lo reinventò, pur formalmente seguendo alla lettera il film originale. Zombie cercava di farci addentrare nell'animo di Michael, voleva farci vedere il suo mondo al di là del suo modus operandi da predatore. La sua ossessione per le maschere diventava una sorta di sfogo artistico, i suoi legami forti con il personale della clinica facevano intuire un'esistenza non del tutto terribile  (anche grazie a un enorme e umanissimo Danny Trejo a dare supporto morale), le rappresentazioni mentali con cui leggeva il mondo e che apparivano simili a quanto percepiva sua sorella, una  "nuova" Final girl che nasceva quindi imperfetta, malata (la bella e brava Scout Taylor-Compton). C'era anche un trascorso di abusi subiti abbastanza evidente, a opera degli strani amanti che la madre portava in casa. Era un uomo nero ancora più grosso e minaccioso, un gigante muto che però era cresciuto in un contesto familiare diverso dalla perfetta famiglia americana del primo film, con una madre presente ma forse non in grado di accudirlo, (la mitica Sherie Moon Zombie, nella sua parte più dolce). Soprattutto era stato un ragazzino difficile con problemi mentali non adeguatamente affrontati che diventano nella seconda pellicola qualcosa di peggio, delle vere e proprie "voci nella testa" che proiettavano una distorta immagine materna, forse un po' dalle parti (ma con meno metafisica) dello stesso tormento che muoveva il "collega" Jason di Venerdì 13. Questo Michael aveva intenti vendicativi legittimi verso chi si era approfittato di lui senza aiutarlo, ed il Loomis di Malcom McDowell è un ripugnante approfittatore. Insomma, la casetta nel verde della famiglia perfetta dove abitava una forza distruttiva senza forma e senso (ogni riferimento al Joker di Ledger è puramente casuale), diventava una lurida magione di periferia davanti alla quale l'assistenza sociale girava al largo (ogni riferimento al nuovo Joker di Phoenix è puramente causale). Visivamente sontuosi, i due film di Zombie, quasi fotocopia classico del 1978 il primo e del tutto matto e rivoluzionario ("zombiezzato") il secondo, portarono Michael da un'altra parte ancora, lo "universalizzano" nelle fasce più deboli della società. Nascosto tra gli homeless, pronto a rispondere e insorgere contro i privilegiati più insensibili, indossando una maschera bianca che tiene nascosta in una tasca della giacca (anche questo mi ricorda un Joker che indossa una maschera da Joker di un film recente). Michael può essere ovunque e può essere radicato in chiunque, contagioso e nascosto nel DNA di qualcuno. Non avvallato al botteghino come il film del 2007, Halloween 2, bello ma decisamente lontano al modello originale, non avrà un seguito. E così arriviamo al 2018.
Il film del 2018 torna al 1978, immagina un epilogo diverso con gli eventi del sequel mai accaduti e di fatto azzerando tutte le precedenti evoluzioni del franchise. Cosa combina? Già si stanno girando due seguiti, perché le cose sono andate bene e possiamo quindi fare dei felici paralleli tra l'Halloween originale e questo. 



- Il primo e ultimo Michael: a indossare la maschera del cattivo nel 2018 è Nick Castle, che riprende il ruolo dopo essere stato il primissimo Michael dell'Halloween del 1978. A dargli una mano con gli Stunt c'è James Courtney, ma il buon Nick, che è stato per anni un collaboratore di Carpenter, fa gran parte del lavoro. Castle è anche un regista e ha diretto una delle pellicole anni '80 a cui sono più affezionato, The last starfighter (Giochi Stellari in Italia). Il suo Micheal è una creatura gigantesca e terribile, ma anche silenziosa (si muove nel buio non facendo rumore), amante della tattica (ha spostato più cadaveri lui che Snake in Metal Gear, ama riempire di trappole i suoi terreni di caccia), attendista (segue la vittima per ore intere), spesso veloce ed essenziale nell'esecuzione (non è un esteta o un particolare sadico, punta al sodo), soprattutto intelligente (sa raccogliere indizi e usarli). C'è qualcosa di soprannaturale in lui, in qualche modo legato alla sua maschera, che riesce a "sentire a distanza" (è strano e terrificante il fatto che non emetta alcun rumore, ma quando indossa la maschera lo sentiamo "respirare con affanno", come se provasse imbarazzo o godimento da quel comportamento), ma di fatto è un incredibile combattente, una specie di Rambo che misteriosamente non ama le armi da fuoco. Il film del 2018 segue quindi per Michael lo stesso spirito dell'originale, senza indugiare in svelamenti identitari che forse lo depotenzierebbero. Michael fa paura perché è insondabile. 

- La sola (e triplice) Final girl: Jamie Lee Curtis aveva 20 anni nel 1978, era al suo primo film. Alta, di una bellezza androgina da infarto, intelligente, determinata nonché credibilissima come combattente di mostri. Quando fu scelta da Carpenter si stava allenando per entrare nell'accademia militare e dietro agli abiti castigati e il ciuffo di capelli gioiosamente vaporoso di Laurie Strode nasconde non troppo bene la determinazione di una tigre. Il povero Michael, dopo un filotto di vittime abbattute senza sforzo, si trova davanti qualcuno che sa smontare un attaccapanni per creare spuntoni cava-occhi, riesce a rubargli il coltello/fallico per pugnalarlo a sua volta e probabilmente sarebbe riuscito a strozzarlo (l'attore e il personaggio) se non che appare fuori campo qualcuno che spara al mostro, permettendogli fortunosamente di scappare. E non vi ho detto quanto è brava a raccontare le favole, creare zucche votive con un art attack, far rispettare ai bambini l'ora del pisolino e in caso di emergenza occuparsi di altri bambini, fare il popcorn e vigilare sul lavaggio dei denti!! È la babysitter definitiva che non si fa prima abbattere per poi vendicarsi come la collega protagonista, nello stesso anno del signore 1978, di I split in your grave (tradotto dalle nostre parti con l'ancora allucinante titolo/preghiera Non violentate Jennifer). Jennifer non si è ancora "messa a nudo" per Dan Aykroyd, accadrà nell'81, offrendoci con le sue grazie la massima prova dell'esistenza di Dio, nel 78 è solo un concentrato di acerbo coraggio ed elegante determinazione. 
Nel 2018 la Curtis se ne esce con una pubblicità a questo nuovo film che mi inquieta. Dice che non si parlerà più di Halloween, ma di "Hallo-women" (che si legge "allowimen"). È già in questo momento infernale, che spero finisca presto, del post "metoo", dove le donne si sono impossessate di ogni pellicola per urlare che sono meglio degli uomini in qualsiasi cosa, comprese quelle cose di cui alle donne non frega nulla. È una campagna pur legittima, ma che finirà se non contenuta per scatenare i più bassi istinti misogini anche in un santo. Peraltro Halloween è una saga che da sempre parla di donne forti, che riescono a essere eroiche quanto affettuose, gentili quanto letali. Non ci sono damine in pericolo, è semmai l'opposto. Pertanto le donne di Halloween 2018 non sono affatto le stucchevoli donne-so-tutto di Ghostbusters, MIB internazional, Captain Marvel, ma vengono toste dalla tradizione della Ripley di Sigurney Weaver, la Sarah Connor della Hamilton, la stessa Laurie Strode della Curtis, la Red Sonja di Brigitte Nielsen. Sono guerriere Laurie (la Curtis), la figlia Karen (Judy Greer) e la nipote Allyson (Andi Matichak), educate fin da giovani a combattere, al punto che sull'esasperazione di un infinito training i rapporti si sono logorati e hanno reso realisticamente le loro vite uno schifo. C'erano nonna, figlia e nipote anche in Halloween H20, ma la famiglia lì era qualcosa da cui fuggire, un peso da dimenticare. Nel nuovo Halloween la famiglia è un motore che faticosamente si tiene insieme e i suoi singoli ingranaggi, le "Final girl" agiscono con uno scopo, a un certo punto prendendosi gioco del loro aguzzino, fingendo di essere delle persone deboli, umane. Il finale è pura epica e si fa potente proprio per queste donne che agiscono insieme con un realismo e coerenza che le varie ghostbusters e altre farlocche varie non hanno. E far vedere che le donne sono forti, come in questo Halloween, è più utile alle donne che rappresentarle forti a parole ed effetti speciali. È ciò che passa tra il fare l'attrice in un film o essere una sorta di cartellone pubblicitario dei diritti femminili. E in tema di donne...



- Ragazzine che fanno le ragazzine, ieri come oggi: uno dei punti di forza dell'Halloween classico è il contesto realistico della provincia americana. Le babysitter di Carpenter potevano essere benissimo le vostre vicine di casa, un po' sante e un po' no, "vere" e coerenti nel loro piccolo mondo. Non erano stereotipi urlati e bozzettistici come il 90% delle vittime degli slasher, erano gente credibile la cui dipartita (siamo in un horror e le dipartite capitano) ti dispiace. Anche Rob Zombie aveva riposto particolare cura a questo aspetto, ma forse aveva esagerato in venerazione/replicazione al punto che le babysitter del suo personale Halloween avevano molto il mood di una celebrazione di quelle babysitter anni '70, come lo Psycho di Gus Van Sant. David Gordon Green e Danny McBride sono dei "bro" di James Franco e Seth Rogen. È gente dietro a robe come Suxbed - tre metri sopra il pelo, Lo spaventapassere, Strafumati on The Road e molta commedia scorreggiona. Non per questo si sono limitati alle risate grasse, lavorano anche a ottimi drammi come Stronger con Jake Gyllenhaal, ma la cifra migliore dei loro lavori risiede sempre in un modo molto spontaneo di rappresentare i giovani. Le babysitter del 2018 parlano e si comportano quindi come normali ragazze del 2018. Si fanno le canne, sono brave studentesse, convivono con la forfora, si occupano davvero dei bambini che curano, bevono, si preoccupano per la nonna che è troppo sola. Sono sensibili e fanno cazzate, come tutte le ragazzine, "zero stereotipi viventi" e centro pieno per il coinvolgimento emotivo. Un'altra regola aurea degli horror (dopo l'aumentare il numero di morti nel seguito) applicata da Tarantino nel suo omaggio al genere, Bullet proof- A prova di morte. Ve lo ricordate, in versione estesa? È uno dei miei film preferiti. Minuti e minuti in cui delle ragazze normali parlano di problemi normali fino a che arriva un mostro a distruggere la loro innocenza (Si, anche Jungle Julia alla fine è una ragazzona infelice, nonostante la super carica sexy, e ci dispiace per lei). Perché funzionano le babysitter come "ragazze normali", funzionano anche tutti i personaggi che ci gravitano intorno. I loro coetanei /spasimanti sono deficienti quanto basta, i bambini sono teneri e convincenti nel sentirsi spaventati e inadeguati (mitico il bambino che sogna di fare il ballerino), gli adulti hanno uno scopo per cui esporsi eroicamente o fare errori clamorosi. 


- La notte: Nella notte del '63 il piccolo Michael, con sul volto la maschera di un pagliaccio, prima spia la sorella nuda da dietro l'armadio (scena omaggiata anche dalla commedia horror Il ritorno dei morti viventi del 1985, da un bambino con però la maschera di Frankenstein), poi esce dal nascondiglio e la accoltella, con la testa (lo vediamo perché l'inquadratura è argentianamente in prima persona) che sembra andare da tutte le parti, non si capisce se per un rigurgito di vergogna, per odio o per una sensazione simile all'orgasmo. Di sicuro sono i corpi femminili quelli che nella sua vita più predilige come omicida, quelli con cui "gioca di più", ma da bambino rimane indifeso, viene fermato dai genitori e una volta smascherato si ferma, non proferirà più parola per 15 anni. Nell'Halloween del 1978 si respira aria di coprifuoco. Gli amori tra ragazzi sono clandestini, all'ombra di adulti assenti come su una striscia dei Peanuts. La notte delle streghe arriva piano, con il sole che scende e si accendono le poche luci dei lampioni, con le strade che si popolano di pochi bambini. Michael si nasconde e confonde con la vegetazione, esce dal buio e ritorna al buio dopo un'esecuzione. È un ragazzone in forma che gioca al gatto e il topo, freddissimo e quasi chirurgico nelle azioni. Ha ancora bisogno di una maschera per sentirsi bene mentre uccide, se nel passato aveva avuto un'unica vittima, ora punta ad averne tre, a triplicare il piacere. Non senza dimenticare la prudenza, calcolando piani fulminei per bloccare sul nascere chi disturba i suoi piani. La notte di Halloween del 2018 è un vero casino. Le strade sono più illuminate e popolare di Riccione, i ragazzi vanno alle mega-feste e le babysitter sono in meno anche se di razza, come la bellissima Vicky di Virginia Gardner. Se Michael non facesse un vero casino, nessuno si accorgerebbe di lui. Sembra quasi che patisca la presenza di tutta quella gente "a casa sua", lo fa agire per frenesia come fosse (ed in effetti è) un vecchietto a cui scoppia la testa per il troppo casino. Anche la maschera riconquistata non gli dà gioia come un tempo, anche le donne diventano un trastullo meno interessante. Sembra Grendel del Beowulf di Zemekis, una creatura che agisce con fretta e frenesia perché lo stanno stressando e questo lo rende meno lucido, più inutilmente brutale. 
È un'evoluzione interessante del personaggio, ce lo rende più """"vicino""" ai canoni umani vederlo così spaesato. Anche se l'old Michael semina un casino infinito, dieci volte peggio del 1978, spesso arranca, viene investito dalle auto, deve fare affidamento su aiuti inaspettati per riprendersi dopo l'ennesima botta e non riesce più a nascondersi come prima, al punto che quasi lo fa fesso un ragazzino e l'esecuzione più riuscita è quella di una massaia che guarda Barbara d'Urso. Pare di leggere Senilità di Svevo e un pelo si rimpiangono le fesserie da reality show di Resurrection, ma il nuovo Michael ci piace, insieme alla sua maschera ormai consunta che ha sempre più l'aspetto di una coperta di Linus. Magari invece di Loomis o dello psicologo nuovo (che dà comunque delle gioie, non vi rovino però la sorpresa), Michael vorrebbe parlare con la psicologa Lucy. E qui chiudo perché citare tre volte il fumetto di Schulz parlando di Halloween mi fa troppo strano.
-Conclusione: dopo mille tentativi di bissare il successo del 1978, questo è l'esito più bello, quello che convince di più. Addio a parentele attaccate pretestuosamente con lo sputo, addio ai bambolotti satanici, addio alle buffonate dei reality show. Michael facendo lo spacca montagne  torna a casa per avere un altro incontro ravvicinato con la miss "Seno d'America" Jamie Lee Curtis e come ogni maniaco che si rispetti viene menato da lei, da sua figlia e pure da sua nipote. Occasionalmente viene picchiato pure da altri. Il film ci parla inoltre di una bella e complessa storia familiare e sa tenerci vigili con un finale fulminante e sorprendente... che mi ha ricordato un po' l'epilogo dell'ultimo Rambo. Ma è normale, di Halloween non si butta via niente e tutti lo "omaggiano", direttamente o indirettamente. Ora siamo pronti ai nuovi round previsti per gli Halloween di 2020 e 2021. Siamo carichi.
Oggi grazie a Midnight Factory abbiamo un mega cofanetto da collezione con tutta la saga originale, compresi i capitoli all'epoca mai tradotti in Italia. E' un'occasione ghiotta per riscoprire uno dei mostri più fighi del cinema horror di sempre e constatare come Jason possa solo inginocchiarsi di fronte a lui.
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