giovedì 5 dicembre 2019

Il paradiso probabilmente: la nostra recensione del film di Elia Suleiman




Il regista Elia Suleiman, eroso dalla routine e dai soliti luoghi e persone della sua terra, decide di lasciare la Palestina e girare il mondo, provare a proporsi in Francia, negli USA. Almeno si risparmierà la visione del vicino di casa che ogni giorno ruba la sua frutta e la gente che più che parlare urla. La  fuga di Suleiman  risulta presto vana, perché scopre, fin dalle piccole cose, che tutto il mondo sembra "funzionare allo stesso modo", lo stesso caffè accompagnato da un dolcificante solo apparentemente diverso. Tutto è uguale o speculare, ovunque ci si sente soli ed "etichettati", la bellezza si nasconde nel silenzio e la paranoia irrompe in una invasione sonora e visiva costante. L'ossessione di pulizia e controllo si palesa nei luoghi e modi più impensati, materializzando poliziotti su monoruota a caccia di chi cerca di portare a qualcuno un regalo floreale, nel rumore del camioncino della spazzatura che segue a tre metri una parata a cavallo ossessionato a raccoglierne in pochi secondi gli escrementi ordinatamente e consequenzialmente da loro espletati. Se tutto è uguale nel mondo, non si trovano ovunque creature come la  bella portatrice di acqua che con modo elegante e sinuoso, a piedi nudi e in abito tradizionale, cammina muovendosi come in una danza, in pochi e misurati passi, avvolta nella natura di un verde lussureggiante. Forse il paradiso è a casa?


Con grazia ed eleganza, parlando di piccole cose e piccole paranoie, Elia Suleiman, qui regista, interprete e autore a 360 gradi del film, confeziona una pellicola quasi muta, un ambiente che si trasforma in una lunga sequenza umoristica che scaturisce dal suo montaggio, dal modo di ritrarre il quotidiano e immaginare al suo interno il surreale. Al centro della scena come Buster Keaton, un (muto) Woody Allen o il più lunare Kitano, Elia si presenta come parte del paesaggio, cercando di integrarsi o mimetizzarsi in esso, facendo il meno baccano possibile, assecondando il modo in cui tira il vento. Ma non ci riesce alla fine mai, rimane "esposto" insieme all'umorismo dei molti quadri visivi, spesso davvero pittorici, di cui la pellicola è intrisa. 
Il paradiso probabilmente è un film che nelle sue "stanze visive" simili a vignette umoristiche, culla e diverte per tutti i suoi 97 minuti, senza che si avverta mai l'esigenza di un intreccio narrativo o di uno scenario più costruito che vada "oltre il quadro". L'autore con rapide pennellate arriva allo zenit comico, riesce a trascinarci nel suo senso dell'assurdo/del quotidiano, riesce a commuoverci e a farci riflettere. La fotografia sa intrecciare i colori caldi della natura e degli ambienti più vissuti, "invasi dall'uomo", facendoli fraseggiare con i non-luoghi freddi e asettici delle zone "di passaggio" come gli alberghi o le "zone da tenere pulite" delle città. È tutta una lunga e continua, contraddittoria, fuga e ricerca del chiassoso calore umano e della silenziosa pace, con il sonoro che cerca di invadere il meno possibile lasciando spazio ai mille rumori piccoli e assordanti del mondo. Tre scenari, Nazareth, Parigi e New York, che partono alieni e si incontrano piano piano con colori e suoni. Una identità culturale, quella di Elia, timidissimo protagonista e uomo "in fuga nel mondo e da se stesso", che va con il tempo a trovare pace e quiete con un trasporto e un'empatia che anche il pubblico a fine pellicola si sentirà a casa, nella sua Nazareth, ammirando una donna velata che porta l'acqua come una delle creature più belle del mondo. 
Abbiamo bisogno come l'aria, oggi, del cinema garbato e umoristico di Suleiman. Un film che non conosce barriere e bandiere e ci fa sentire tutti parte dello stesso posto. 
Godetevelo nei suoi paesaggi e invenzioni visive e passate di qui a dirmi se è piaciuto anche a voi. 
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