lunedì 23 dicembre 2019

Judy: la nostra recensione del film sul periodo londinese del 1968 di Judy Garland, interpretata da una straordinaria Renee Zellweger


Judy Garland, l'indimenticabile Dorothy del Mago di Oz di Victor Fleming (che lo stesso anno, il 1939, avrebbe girato anche Via col vento), è cresciuta e ora ha largamente superato i quaranta. Quattro matrimoni falliti alle spalle, senza un dollaro e una serie indefinita di pasticche e alcol dopo, Judy è una madre disperata e senza casa che non può accudire le sue figlie, per altro affidate a un marito che ha disperso ai cavalli tutto il patrimonio comune. Il caratteraccio che si ritrova, sommato al resto, le permette di lavorare solo all'estero, a Londra, come cantante fissa di un night club che risultata spesso burrascoso. 
Ispirato al dramma musicale End of the Rainbow di Peter Quiliter, Judy è un film struggente su quello che forse è il periodo più oscuro e drammatico della diva Judy Garland, interpretata da una (davvero incredibile) Renee Zellweger dal trucco molto invecchiata, con un corpo reso esile, aguzzo, febbricitante e instabile. È una Garland molto simile all'originale a metà degli anni '60, in disfacimento fisico ed emotiva, quella che vediamo sullo schermo. Una donna infranta più volte ma titanica nel sopportare il continuo maremoto della sua vita, ironica, arrabbiata, con un bisogno disperato di essere amata e la certezza (spesso) mal posta di non poter ricambiare, di non poter più essere quel sogno collettivo, positivo e ottimista, che incarnava per il pubblico la sua Dorothy. Peraltro una Dorothy (la giovane Garland nel ruolo del Mago di Oz che la ha reso celebre è interpretata dalla bravissima Darci Shaw) che sul set sembra aver subito degli abusi, psicologici e forse pure fisici, che per quanto "velatamente accennati" appaiono terribili. Il produttore Louis B.Mayer, interpretato da Richard Cordery è dipinto come una specie di orco, ritratto sempre facendone risaltare l'imponenza, il costante emergere dall'ombra come un mostro. Per fortuna che per Judy ci sono i fan, o almeno dei fan oltre a quelli che le tirano addosso roba quando si presenta ubriaca nel night londinese. Alcuni sono anche carini e cercano di cucinarle delle improbabili uova strapazzate alla panna in una notte londinese dove dopo le 23 è tutto chiuso. Ma sono solo una parentesi di una serie infinita di calci nei denti che la Zellweger affronta dimostrandosi anche una discreta interprete della Garland nei molti momenti musicali (tra cui The trolley song e ovviamente Somewhere over the rainbow) che lei canta personalmente. 
Judy è il perfetto "film da Oscar", un dramma biografico costruito per far risaltare al massimo le capacità di un bravo interprete, con momenti commoventi programmati, che la Zellweger domina con sicurezza dal primo all'ultimo minuto da vera mattatrice. Il suo lavoro, che non era per niente facile, è sorprendete e riesce a non far troppo trasparire una regia qualche volta schematica, ma dal ritmo sempre alto che mai fa avvertire la durata di due ore abbondanti della pellicola. Un plauso anche alla brava Darci Shaw e al composto e funzionale cast di supporto.
Preparate il fazzoletto e buona visione.
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