lunedì 30 dicembre 2013

The Lone Ranger




Fenomenale. Ecco cosa significa la vera magia del cinema. Effetti, scenari e mezzi storici ricostruiti da capo a piedi, fotografia (di Bazelli, come in "The ring" collaboratore di Verbinski), sonoro (di Hans Zimmer), stunt, cut, recitazione tutto al top senza compromessi e tutto sparato nel cervello dello spettatore come un big bang sonico all'interno della sala più fica con l'audio che spacca di più di tutto il creato. Un'esperienza trascendente la cui proiezione su un cartellone pubblicitario creerebbe più ingorghi della gigantografia di Belen Rodriguez unicamente coperta da un orsetto di peluche grande quanto un portachiavi. Gli ultimi trenta minuti di The Lone Ranger di Gore Verbinski sono così. Una lezione di cinema da incorniciare e studiare sequenza per sequenza alla prima lezione di un corso per registi. Orgasmo puro. 

Poi c'è il resto del film, un po' troppo lungo, un po' sonnecchioso, calcato a forza sulle sole-solide spalle di Johnny Depp coadiuvato unicamente da un co-protagonista, che annaspa tra il simpatico e l'insignificante, interpretato da Armie Hammer, e da un cavallo (sì, ho scritto “un cavallo”), Silver, che letteralmente riesce a rubare la scena a tutto e tutti. L'impresa era far tornare il grade pubblico a vedere western. Il rischio era grande, ma Verbinski è uno che ama il rischio e che già è riuscito con successo a far tornare il pubblico a vedere film sui pirati. La fedeltà e l'amore del regista per il genere è materia già acclarata per chiunque abbia posato gli occhi su quella perla d'animazione che è Rango (non a caso sempre Depp come attore-mattatore), mettergli nelle mani un mito americano come il ranger solitario è di contro un gesto d'amore quanto una cassa contenente nitroglicerina. Armeggiare con cura. Perché è sì un personaggio leggendario, ma è anche un'icona considerata retrò, superata come tutto il terroso e muffoso genere della frontiera, che vive ormai di poche grandi uscite che in un decennio non contano nemmeno tutte le dita di una mano. Un eroe vecchio, ma così vecchio che è difficile trovarne oggi fascinazione. Se lo lasci inalterato non te lo cagherà nessuno, se cerchi di innovarlo ti daranno del bastardo perché il tuo gesto equivarrebbe a lesa della costituzione americana. Tutti questo mi ricorda in qualche modo The Spirit. Non troppo tempo fa il grande Frank Miller decise di portare sullo schermo The Spirit di Eisner. Da autore Miller prese la materia, la fece sua reimpastando le carte e servì con classe. The Spirit è esattamente incamerato nel pantheon Milleriano, racconta del suo amore-odio simbiontico tra l'uomo e la città (già descritti nei suoi Daredevil e Batman), fa uso del grandangolo grottesco (del suo Sin City), abbonda delle architetture folli e del sangue dei suoi personaggi più amati (Elektra), incarna il mito del perdente vincitore (300, Sin City). 

Lo Spirit di Eisner è più positivo e meno cupo (e dire che Miller fa di tutto per non essere cupo in The Spirit!), la pellicola è derivativa di Sin City dicono (che sarebbe come dire che E.T. è derivativo di Incontri ravvicinati del terzo tipo), il pubblico vede il personaggio “tradito” e defeca sulla pellicola di Miller. Chi non conosce The Spirit prende per buona la critica americana e fa altrettanto. La scelta di gestione del Lone Ranger di Verbinski fa tesoro dell'increscioso flop di The Spirit (film da rivalutare, ma che ai più sembra scolpito indelebile quale la merda delle merde, ulteriore frutto sgraziato di quel fascistone di Miller). Verbinski non sposta di un centimetro il Ranger solitario dalla sua icona, dalla sua interpretazione vintage o originale che dir si voglia, ma concentra tutti gli sforzi innovatori su Tonto, la spalla dell'eroe, spostando su di lui il baricentro della storia. E fa centro. Tonto è un personaggio complesso e tormentato, nonché assolutamente pazzo, cui Depp infonde una insperata luce di credibilità senza dimenticare di trattare anche il registro più leggero, in virtù della mission dichiarata della produzione: è una pellicola per tutta la famiglia. Ma come far interagire un'icona con un personaggio reale, come appunto si presenta Tonto. Ecco che Verbinski trova un ingegnoso stratagemma. Tutta la trama è di fatto una narrazione degli eventi che un vecchio Tonto elargisce a un piccolo fan del Ranger Solitario che negli anni '30 incontra in un'attrazione a tema “cowboy e indiani” di un parco giochi. Geniale, con un solo lazzo Verbinski cattura l'attenzione dei più piccini spettatori in sala ed evita di intaccare il mito di troppe implicazioni drammatiche e di difficile assimilazione. In fondo il ranger solitario è un tipo sorridente che per anni compare a cavallo con in sottofondo una marcetta, fa fuori i cattivi e scompare all'orizzonte. Come Fantaman. Non è che Fantaman quando entrava in azione diceva cosa faceva, chi era, perché era lì: rideva satanicamente, affrontava il Dr.Zero e i suoi mostri e con una risata se ne andava lasciandoci in balia dei noiosissimi piccoli cagosi personaggi di contorno. Ora mi rendo conto che non tutti si ricordano di chi cacchio sia Fantaman. Quindi eccovi un trailer che a molti comunque continuerà a non dire una fava.


Dalla regia mi dicono che in estrema sintesi il Ranger Solitario è paragonabile ad un pokemon: quando entra in azione dice “Picaciu!”, fa fuori il team Rocket e torna nella palla colorata. Che gli dei abbiano pietà di me per aver fatto tale paragone...
Pertanto Armie Hammer ha un compito al contempo più facile, perché la maggior parte del lavoro sporco la fa Depp, ma anche più difficile, in quanto deve recitare come uno stereotipo retrò anni '30. Per una assurda serie di circostanze (ma se vogliamo possiamo anche qui parlare di genio della regia) il fatto di essere un attore bolso e imbalsamato gioca a suo favore nelle scene più iconiche-action, ma mostra ovviamente tutti i suoi limiti nelle parti più narrative e drammatiche. Pertanto tutta la parte introduttiva risulta un po' debole. Anche le connotazioni più dark del personaggio vengono smussate, forse per non renderlo troppo cupo ai bambini (ma sarà poi una strada giusta? Io mi ricordo perfettamente di mio cugino ultra esaltato e per nulla terrorizzato nella scena in cui Nick Cage diventa Ghost Rider...). Il Lone Ranger è di fatto un “Dead man” quanto lo sono il Corvo, il Punitore, Gungrave e appunto Spirit e Fantaman. In sostanza uno spirito vendicativo e inesorabile che non si può uccidere, in quanto interiormente (come il Punitore) o fisicamente (come tutti gli altri) è già morto. 

Nello specifico i poteri soprannaturali del Ranger derivano dall'argento, metallo “maledetto” che fa da filo conduttore di tutte le vicende, ma lo spunto rimane abbozzato ed è un peccato, perché il personaggio di Hammer appare al pubblico come un simpatico e fortunatissimo pistola (giusto per stare in tema “western”) e nulla più. Alla lunga crepe derivano anche dalla narrazione Tonto-Bambino, incapace di scavare a fondo dove la trama si fa giusto un pelo complicata. Ma sono peccati veniali di una pelllicola decisamente meritevole, peraltro benedetta da un cast di comprimari di prim'ordine. Su tutti svetta la simpatica Helena Bonham Carter, in un ruolo cucito su misura per lei, ma fanno il loro lavoro alla grande anche Tom Wilkinson, un cinico Barry Pepper e un bravissimo e quasi irriconoscibile per il trucco William Fichtner.
Tirando le conclusioni eccoci davanti a un film difficile da gestire sulla carta, sapientemente e originalmente gestito nei frangenti più complessi, con tutti i comparti tecnico-artistici al top cui ad alcuni passaggi poco movimentati e noiosetti si contrappongono scene maestose, grande simpatia dei personaggi e una delle mezzore finali più avvincenti ed esaltanti della storia del cinema. Decisamente vale il biglietto. Ma riuscirà il Lone Ranger ad attirare a sé nuovi fan e diventare come i Pirati dei Caraibi un brand? Riuscirà il bluray a portare gli incassi non eccezionali ottenuti al botteghino a un livello sufficiente per ispirare almeno un seguito? E chi lo sa! 
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