giovedì 26 dicembre 2013

Lo Hobbit: La desolazione di Smaug

contiene un paio di piccoli e poco significativi spoiler, roba che si vede al 90% già dal trailer comunque

Come l'anno scorso sotto Natale mi reco al cinema Odeon di Milano con il Maurino, l'esperto tolkeniano di zona, ad assistere al rituale spettacolo allegorico di Peter Jackson in salsa fantasy. Si guarda l'albero in Duomo, la galleria Vittorio Emanuele stracolma di gente con pacchi e pacchettini, si mangia una pizza di lusso. Anno dopo anno questo piccolo rito assume sempre di più la fragranza tipica degli aromi delle feste, quasi fosse l'anice stellato che insaporisce alcuni dolci natalizi. Solo che l'anice stellato deve dare sapore per poi essere tolto dall'impasto, o rischiate che la pietanza sappia solo di quello e stomachi un po'. Allo stesso modo lo Hobbit è qualcosa che va gustato senza soffermarcisi troppo, o si rischia che la pietanza arrivi un po' indigesta. La sala presenta ovviamente oltre agli ormai inevitabili occhialini 3d il tanto arcigno sistema di riproduzione in HF già utilizzato per il primo Hobbit. A una seconda visione mi pare che sia meno devastante, ma risulta una bizzarria che è tuttora lontana dal piacermi.
Dove eravamo rimasti? Gandalf tirava i dadi, faceva +6 e giocava la carta aquile in posizione di difesa salvando i nani e l'Hobbit dalle grinfie delle schiere dell'orco (fintissimo) senza una mano, così che i nostri potessero continuare la loro allegra avventura finalizzata al risveglio con incazzatura del drago Smaug (più o meno). Nelle ultime battute del film precedente Bilbo si era casualmente (ma nulla capita a caso per Tolken) imbattuto nella triste creatura Gollum ed era riuscito con astuzia a sottrargli il suo prezioso tesoro, un anello dal potere oscuro in grado di rendere invisibile chi lo indossi. Le successive tappe del viaggio, per tre abbondanti e ammorbanti ore in sala, comprendono un bosco oscuro verdeggiante, la solita stronza magione elfica abitata da stronzi elfi (e qui ritorna lo stronzo Legolas), una versione triste di Venezia in novembre abitata da psicotici e infine la montagna del tesoro difesa dal (bellissimo) drago digitale. Ok, iniziamo con slancio... cheppalle...

Nonostante in rete c'è gente calva perchè ha con questa pellicola finito di strapparsi i capelli dalla gioia, il film ripresenta, come la peperonata il giorno dopo, tutti i più atroci difetti della pellicola precedente. Salvo le canzoncine, grazie a Dio qui non si canta! Una trama ampiamente imperfetta, tra una parte iniziale brusca dove dovrebbe essere centrale, un tizio importante nel libro che si vede tre secondi in tutto, un capitolo sugli elfi straripante di una noia mortale (basta soffermarsi su sti elfi, hanno rotto!!! - frase ammorbidita in ragione del fatto che abbiamo anche lettori giovani -), un capitolo su Venezia superficiale e stupido fino quasi a essere irritante dove tutto e tutti appaiono caotici o cretini (prima si detestano cortesemente, poi si ignorano, poi si aggrediscono, poi complottano, poi gli eventi precipitano e il tutto avviene in 6 minuti!!! Capisco che si volesse mettere in questa pellicola il drago, ma aveva più senso tagliare l'inutile parte sugli elfi rispetto a questa porzione di trama! Spero che le scene aggiuntive della scontata versione estesa home video diano maggiore logica agli eventi di questa parte). 

Tredici nani di cui non ci importa nulla e per i quali il regista non fa nulla per renderli simpatici, salvo tre o quattro. Gandalf, che per mascherare la sua indole over-powered (o in ragione di un aumento richiesto dalla controfigura) viene mandato non si sa dove a non si sa bene fare cosa, (pare si faccia mezza mappa della terra di mezzo per incontrare il fratello che vive con la cacca d'uccello in testa e comunicargli pazzesche ovvietà) risulta se possibile più irritante del solito. Ritorna Legolas, interpretato dal peggiore attore mai nato, Orlando Bloom, che ha per lo meno il pregio di parlare poco e menare tanto e in modo figo. Lo hobbit di Martin Freeman (ribadisco la tesi che sia un lontano cugino di Jackson a cui quest'ultimo doveva dei soldi), di una antipatia quasi tattile e dai costumi più brutti mai creati per un'opera fantasy (perché invece i costumi degli Hobbit nella saga dell'anello mi piacevano? Il cugino è anche costumista?) e per il quale non possiamo che sognare una morte atroce nella tragica consapevolezza che questa non avverrà (che bello se Smaug lo facesse a pezzi, lo disponesse a spiedino e ricoprendolo di salsa Yaki Tori provvedesse a media cottura). E poi perché, per Thor, i ragni parlano!!!! L'esperto tolkeniano mi dice che in origine parlano e cantano pure e devo pertanto ringraziare Jackson per aver tolto i canti. Ma abbiamo anche aspetti della pellicola così belli da renderla ad ogni modo, proprio come il primo film, qualcosa di imperdibile. 
L'ottima implementazione dell'elfa Tauriel offerta da Evangelyn Lily, non a caso un personaggio così bello e ben riuscito da non far parte dell'Hobbit originale (si capisce che Tolken non è esattamente il mio autore preferito? Beh, vi sbagliate, non di tanto ma vi sbagliate...). Il sempre affascinante personaggio di Scudo di quercia, doloroso, ambiguo, rissoso, eroico, accidioso, titanico, collerico, maestoso, altruista e senza glutine. La lunga ed elaborata scena della foresta con i ragni con più di un eco dal King Kong di Jackson, l'adrenalinica corsa sui barili, la maestosa apparizione di Sauron, le maxi-zuffe naniche ed elfiche perfettamente coreografate che infarciscono il film in ogni dove, l'ultima stupefacente (per ritmo, recitazione ed effetti) ora della pellicola con lo scontro con il drago più bello e spaventoso che cinematograficamente parlando si ricordi, una sequenza da iscrivere agli annali come quanto di più figo visto al cinema almeno negli ultimi cinque anni. Laddove La desolazione di Smaug eccelle, la pellicola si fa di culto ed è addirittura in grado di ridefinire l'asticella massima dell'eccellenza verso l'alto, e questo automaticamente fa perdonare i mille difettacci elencati poc'anzi. Certo ogni tanto ci si sente ostaggi del film, affamati di maggiore azione e irritati da una scansione degli eventi che non convince. In un film di tre ore non si spiega perché il personaggio del muta-forma sia appena accennato così come non si spiega lo strabordante spazio nella solita dimora elfica. Il film rimane ampiamente imperfetto e non raggiunge le vette di scrittura del Signore degli Anelli. Ma lo spettacolo, se superate incolumi la prima oretta, diverte e avvince e porta in dote alcune delle più belle scene d'azione cinematografica di sempre. È questo quello che conta. Per questo promuoviamo La desolazione di Smaug nonostante i suoi difetti e attendiamo con gioia il capitolo 3. 
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