sabato 24 giugno 2023

Transformers - Il risveglio (Transformers: Rise of the Beasts): la nostra recensione della nuova pellicola di Steven Caple Jr legata al celebre brand della Hasbro, seguito diretto degli eventi del film Bumblebee del 2018


C’erano una volta, in una galassia lontana lontana, i “Maxilmals”.  Erano creature “robotico-extraterrestri-modulari” (definizione di “Transformers” per cui ringrazio Wikipedia) particolarmente evolute, in grado di camuffarsi in forme di vita animali che potessero aiutare e accompagnare gli autoctoni di un determinato pianeta, verso un radioso futuro di inclusione, energie rinnovabili e rispetto della natura. Lo avrebbero fatto in un modo silenzioso quanto saggio, spiritoso quanto spirituale, come immaginiamo facciano per noi i “delfini” (citazione da Guida galattica per autostoppisti). Forze del bene robotiche al servizio della salute di “pianeti standard”, che operavano in genere ricoperte da buffi peli, piume o squame biodegradabili, non inquinanti e senza glutine. Creature dalle origini misteriose ma con un nemico/nemesi noto e inesorabile: un pianeta non standard chiamato Unicron. Un pianeta-Transformer nello specifico, gigantesco, che amava risucchiare energia da altri pianeti, fino a “mangiarseli” del tutto quando raggiunte particolari “condizione di masticazione”. Al suo servizio c’erano i perfidi “Terrorcon”, robot extraterrestri modulari non inclusivi, inquinantissimi e in grado di camuffarsi male in creature orripilanti da incubo tutte piene di spuntoni, aculei e chele. Perfetti masticatori di pianeti. Si potrebbe voler accarezzare un soffice “panda maximal” che assomiglia a una versione avanzata del “Furbi” o del “Teddy Ruspin”. Un Terrorcon puntuto non è bello da toccare se almeno non si è fatto un richiamo o due dell’antitetanica. I Terrorcon sognavano da sempre di creare dei passaggi spazio temporali da cui Unicron poteva “bersi i pianeti” pre masticati come da un cannuccione, senza fare troppa strada: perché il loro padrone era lentissimo quanto affamato. Si dava il caso che i Maximals possedessero giusto giusto una chiave spaziale di “transcurvatura” (o qualcosa dal nome simile) per spostarsi nello spazio e nel tempo per le loro missioni equo-solidali. Lo scontro era inevitabile. Così un bel giorno dei maximal-gorilla si trovarono di nuovo davanti ai terrorcon e al loro capo, il poco espressivo Scourge, su un pianeta primitivo verdeggiante, a riempirsi di botte per una chiave spaziale. Le cose stavano andando malissimo, un maximal schimmione/leader carismatico di nome “Apecar” (se Optimus Prime è un camion, il suo omologo maximal si chiamava come una Apecar, giuro) stava per avere la peggio ed ecco l’idea delle idee: trasferirsi all’ultimo minuto su un diverso pianeta per gabbare Unicron e soci, ma al contempo dividere la chiave in più parti, da nascondere in zone diverse del nuovo pianeta, all’interno di artefatti di dubbia fedeltà storica, rintracciabili solo attraverso diabolici enigmi paleo/linguistici e templi maledetti alla Indiana Jones. Il pianeta scelto per questa caccia al tesoro era ovviamente la Terra. Così ci troviamo negli anni '90 del secolo scorso, a Brooklyn. Qui lavora come stagista sottopagata in un museo di storia antica la giovane e un po’ sfigata Elena Wallace (Dominique Fishback), massima esperta mondiale di artefatti di dubbia fedeltà storica, conoscitrice degli enigmi paleo/linguistici più oscuri e in attesa di scoprire templi maledetti alla Indiana Jones. Elena giocherella con un artefatto stranissimo a forma di pollo egizio con sopra scritte strane in una lingua sconosciuta. Cerca di datarlo con la “fantascienza” dei musei di storia antica ed ecco che il pollo svela la sua vera natura: è un pezzo della chiave “transmorfica” (o qualcosa del genere, credo che a un certo punto sia chiamata anche in questo modo) che spara un raggio di energia (invisibile all’uomo ma ai Transformers no) che avverte tutto l’universo della sua presenza. Il segnale viene avvertito da Optimus Prime e i suoi autobot, che cercano di tornare sul loro pianeta di origine Cybertron da qualche tempo dopo che sono rimasti confinati sulla Terra per quello che definiscono un “pitstop finito male”. Detta così suona quasi come una truffa su dei buoni carburante omaggio, ma le ragioni sono quelle solite, spiegate anche nel film su Bumblebee con il generico “problemi politici”. Optimus, come il Grande Puffo dei Puffi, sceglie sempre per le missioni solo alcuni dei membri della sua sterminata comunità e questa volta decide di chiamare per la missione solo un paio di amici stretti. Il primo della lista è l’insostituibile Bumblebee, che da poco ha aiutato una giovane ragazza terrestre a superare la paura di tuffarsi in piscina (questa era la trama del film “Bumblebee”, credeteci) e da allora continua a giocherellare con il suo microfono interno per fare vocine e suoni buffi come Frank Matano. Lui è un po’ il Puffo Burlone dei Transformers. Convoca anche la robottina sexy/Puffetta Arcee in grado di trasformarsi in una moto Ducati rosso-rosa perché oggi se non lo fai non è politicamente corretto e soprattutto convoca il ro-“bro” Mirage: un transformer che parla e si muove come Michelangelo delle tartarughe ninja, può diventare una Porsche blu da gangsta rapper e quando si presenta all’incontro con Optimus ha al suo interno per un motivo divertente un essere umano: Noah (Anthony Ramos). Noah è anche lui un ragazzone di Brooklyn, un ventenne dall’aria gentile, ex soldato addetto alle “cose tecnologiche” ma finito male e congedato peggio. Il suo fratellino Kris (Dean Scott Vazquez) è molto malato e Noah ha bisogno di soldi per aiutarlo, così dopo un paio di colloqui di lavoro finiti malissimo decide di assecondare il suo amico trafficone Reek (Tobe Nwigwe) e rubare da un parcheggio una Porsche blu lì ferma da molto tempo, incustodita e piena di polvere, che mai nessuno verrà a reclamare e ci facciamo due spicci. In poco tempo finisce che è la Porsche a rapire Noah durante un inseguimento della polizia, costringerlo poi ad aiutare gli autobot a entrare in quel museo dove Elena ha scoperto il primo pezzo della chiave, per recuperarla. Solo che il segnale della chiave ha attirato pure il redivivo e sempre inespressivo Scourge e i suoi Terrorcon, che dopo millemila anni sono giunti sulla terra degli anni ‘90 pieni di mazze ferrate rotanti, spadoni e palle d’acciaio. Anche loro hanno in squadra un robot donna per via dei tempi che corrono e in tutto sono tre gatti. Presto arriveranno alla festa pure tutti i Maximals (altri tre gatti) guidati da un nuovo capo-scimmione, che da secoli custodiscono gli altri pezzi della chiave di transmorficazione (o quello che è) in vari luoghi misteriosi della Terra, tutti a bassa emissione di co2 e ricchi di cultura e inclusività. Riusciranno i nostri eroi a tornare su Cybertron, aiutare il fratellino malato, battere Unicron e Terrorcon e arrivare a girare un nuovo film del franchise? 


Il regista di Creed 2, Steven Caple Jr, viene chiamato a proseguire la saga dei Transformers dopo il suo soft-reboot, avvenuto con la fortunata pellicola dedicata a Bumblebee per la regia del capo della Laika Animation (ed erede della fabbrica di scarpe Nike) Travis Knight. È interessante che al centro delle vicende appaia proprio Unicron, il personaggio/divinità anticipato già nel finale dell’ultimo film del Franchise diretto da Michael Bay, Transformers The Last Knight. Se Bay avesse davvero diretto un film con al centro Unicron, proseguendo la sua “personalissima poetica” dei film sui Transformers, ci sarebbe scoppiato il cervello a tutti. Sarebbe stato probabilmente un film di 4 ore e mezza con protagonisti almeno trenta Transformers diversi, pieno di musica a palla nu-metal, esplosioni multiple che fanno saltare le tubature di tutti i bagni pubblici con persone che vengono dai cessi lanciate sul soffitto da getti d’acqua, dirigibili che si scontrano con sommergibili in vuoti di gravità, carri armati che fanno le impennate come in un Fast and Furious, missili boomerang colorati, donne bellissime in bikini e coperte solo da crema solare tante quante ne potreste trovare in uno stadio, cani e gatti che si accoppiano mentre degli anziani li osservano commentando la performance, robot componibili grandi come grattacieli che ballano come in un musical di Bob Fosse, marines che fanno il barbecue sull’aereo prima di paracadutarsi in un vulcano con tute alari termiche hi-tech in dotazione alle truppe regolari, battute sulle scoregge proferite da una spalla comica che viene subito dopo disintegrata da un raggio congelante mentre scorreggia, John Turturro che gira nudo per San Francisco urlando per quaranta minuti “sono dentro di me!!!” con una sonda anale nel deretano. E tutto questo ce lo siamo perso per sempre, per avere questo seguito di Bumblebee che è un film molto lineare nella sua trama, quasi il perfetto cartone animato del pomeriggio. È ordinato nella costruzione dei misteri e colpi di scena quanto nella caratterizzazione dei personaggi. È quasi ingenuo nell’immaginare uno sviluppo  “da videogame” per raccontare con chiarezza anche le azioni più complesse. È spiccatamente pensato per “ragazzini” ancora ben lontani dallo scoprire che dopo le macchinine che si trasformano si potrebbe incontrare nella vita…Megan Fox e tutte le follie da Hangover che amava mettere in scena Bay. 

Però il film funziona. 


Visivamente il lavoro è rimarchevole sul piano visivo e sonoro, gli effetti speciali che muovono i robottoni (tutti molto accattivanti e caratterizzati, a parte Scourge) sono molto validi, non c’è una sola sequenza che sia incomprensibile o crei crisi epilettiche. Optimus Prime ha una caratterizzazione interessante e diversa dal solito, Mirage è un vero mattatore insieme a Noah e ha tutta una sua scena madre, anche Bumblebee si ritaglia un paio di scene epiche importanti, citando addirittura L’attimo fuggente di Robin a Williams. Gli attori in carne e ossa sono tutti in parte e alcuni di loro sono piuttosto simpatici, come Anthony Ramos che dà vita a un “eroe umano” sensibile e molto composto, anni luce da quei personaggi/schegge impazzite di Shia LaBeoff e Mark Wahlberg. 

Anche le scene d’azione più concitate sono roboanti ma sempre intellegibili. 

Transformers il risveglio incarna decisamente meglio lo spirito originale della serie tv e di sicuro è la strada giusta per ricostruire il franchise in modo più omogeneo rispetto alle fonti originali, assecondando così i desideri di molti fan storici del brand e accogliendo i nuovi fan grazie a una pellicola che non mette mai troppa carne al fuoco, parla in modo semplice, vive di buoni sentimenti con giusto qualche piccola e gradita sterzata umoristica e tanta azione. Dura solo un paio d’ore, non ha incredibilmente nessun buco di trama (significativo) rispetto alla continuity con il film precedente, non uscirete dalla sala con quel l’inconfondibile senso di nausea e labirintite che sa offrire un film di Bay. A qualcuno questa forse cosa dispiacerà un po’, ma si divertirà anche lui alla fine. 


I Transformers escono al cinema con un film divertente, spettacolare e ben girato che guarda molto alla struttura della serie animata classica, accontenta i fan storici e promette un paio di ore di divertimento disimpegnato da gustare rigorosamente al cinema, in una sala bella grande per gustare colori, musiche e popcorn insieme ai più piccoli. Non è necessario aver visto un film precedente per entrare nella trama, gli attori sono molto simpatici e gli effetti speciali davvero ben riusciti. Ottime le scene d’azione e di inseguimento, ottimo tutto il primo tempo per ritmo e narrazione, l’organizzazione generale della storia nella seconda parte a tratti può apparire un po’ macchinosa e derivativa della struttura narrativa di alcuni videogame odierni, ma si fa perdonare per i molti effetti speciali messi in campo. Nel complesso un film che gli amanti dei Transformers non dovrebbero lasciarsi scappare, anche se chi amava di più la “follia di Michael Bay” potrebbe valutare che in questa pur riuscita ricetta manchi un po’ di salsa piccante. Si consiglia per compensare di prendere delle patatine alla paprika. 

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