lunedì 19 giugno 2023

Denti da squalo: la nostra recensione di una interessante “favola criminale” dai produttori di Lo chiamavano Jeeg Robot e per la regia di Davide Gentile

Ci troviamo sul litorale romano dei giorni nostri, in un caldo pomeriggio di giugno. Potrebbe essere l’inizio di una classica estate spensierata, da passare tra la  spiaggia e l’ombrellone, impiastricciandosi di crema solare offerta dalla mamma (Virginia Raffaele), mangiando gelati e aspettando l’ora di gettarsi tra le onde del mare, ma per il tredicenne Walter (Tiziano Menichelli) non è un’estate come le altre. Suo padre Antonio (Claudio Santamaria), operaio edile, è di recente morto in un incidente di cantiere, un fatto riportato anche dai giornali. Di dice che è morto da eroe, ma comunque ora non c’è più. Era un padre enorme, dalla voce sempre calda e calma, generoso e misterioso. Walter avrebbe voluto conoscerlo un po’ di più e ogni tanto indaga tra le sue vecchie foto, che la mamma sta cercando da tempo di distruggere senza riuscirci. Ci sono immagini di persone che sembrano molto amiche di Antonio, ma che il ragazzino non ha mai incontrato. In una sembra esserci un amico coetaneo di suo padre. Alcune sono state scattate nei pressi di una torre misteriosa, che sembra quasi uscita da un romanzo di pirati. In un pomeriggio d’estate in cui Walter non ha nessuna voglia della spiaggia, mentre si allontana in bicicletta dagli ombrelloni portandosi dentro tutta la tristezza del mondo, il ragazzo si imbatte proprio in quella torre misteriosa delle foto, che un po’ nascosta dalla vegetazione e dal paesaggio non aveva mai fatto caso si trovasse non troppo lontana da casa sua. C’è la torre e a fianco una grande villa con parco, con al centro un'enorme piscina coperta delle foglie. Tutto è sigillato dietro un grande cancello, ma la zona pare disabitata. Superato il cancello scavalcandolo, Walter si trova in un attimo proprio davanti a quel piccolo specchio d’acqua nascosto dalla vegetazione: si tuffa dentro senza pensarci ed è come se il mondo si fermasse, restando sospeso.  Arriva un silenzio caldo e gentile ad avvolgere tutti i pensieri che gli girano per la testa, arriva la calma. Poi silenziosa un ombra si avvicina. La vede di sfuggita mentre si trova ancora sott’acqua, si svela quasi per caso alla luce del sole dalle foglie smosse dopo il suo tuffo. Istintivamente il ragazzo riemerge e vede una pinna minacciosa: l’ombra nascondeva uno squalo. Un mako. Nella piscina c’è uno squalo mako e Walter può solo nuotare con tutta la sua forza fino a bordo vasca per cercare di saltare fuori e lasciarlo lì, con i suoi denti da squalo ancora a bocca asciutta. La fuga riesce ma il ragazzo non può andare via da quel luogo, è quasi ipnotizzato, eccitato, non si è sentito mai così “vivo”. La casa e la torre sono chiuse a chiave, non c’è nessuno nei paraggi. Qualcuno ha posizionato una specie di amaca dove sdraiarsi e con un paio di aggiustamenti quel posto potrebbe essere quasi confortevole. Quello potrebbe essere il suo covo personale e lo squalo il suo nuovo amico per le vacanze. Certo gli squali dovranno pur mangiare qualcosa e occorrerà attrezzarsi. Il giorno dopo Walter, mentre la madre va a lavorare al ristorante, torna alla villa con del pesce surgelato. Con stupore e un po’ di risentimento incontra così Carlo (Stefano Rosci), un ragazzino poco più grande di Walter, con i capelli tinti biondo platino e l’aria da gangster cattivo. Dice con strafottenza che il covo è gestito da lui e solo lui si cura dello squalo e può dargli da mangiare: non vuole altri ragazzini intorno a parte lui stesso. I due si squadrano, si pesano e quasi ai scontrano, ma presto arrivano i compromessi e per la magia di quel posto diventano amici. Subito parlano di scuola, calcio e di vita da gangster. Un attimo dopo sono insieme su una ape-car per una specie di piano per rubare del pesce fresco per lo squalo, assaltando una pescheria in orario notturno. Sono già inseparabili. L’accesso alla torre rimane inespugnabile ma in qualche modo in seguito, con Carlo che non è d’accordo, i due entrano nella villa e scoprono che è piena di autentici tesori. Quadri, statue, lampadari e tappeti pregiati. Dentro una cassa ci sono anche delle autentiche pistole “gemelle”. Carlo sa qualcosa di vago e misterioso su quel posto e racconta che un tempo era proprietà di un boss chiamato il Barracuda, l’uomo più pericoloso della zona. Il Barracuda era stato sfidato da un ragazzino temerario come loro due, che si faceva chiamare il Corsaro. Il Barracuda era grosso ma aveva perso tutto, fortuna e villa. Probabilmente il vecchio boss vagava ancora come fantasma in quei luoghi, ma Walter era più interessato a scoprire se il Corsaro in questa impresa fosse stato aiutato da un amico, uno con cui condividere delle foto. Nessuno sapeva però come ci fosse arrivato lì uno squalo e se c’era ai tempi del Barracuda o del Corsaro. Nessuno conosceva ancora la stanza sotterranea dalla quale si poteva scrutare la piscina e il grande predatore come davanti a un enorme acquario, seduti su una poltrona in pelle. L'avrebbe scoperto Walter da lì a poco. All’insaputa della madre perennemente al ristorante e con la voglia di dimostrarsi simile e intraprendente come Carlo, “cattivo e determinato” come uno squalo, Walter inizia a frequentare con lui il bar sulla chiatta dei pescatori dove ha il suo piccolo covo il piccolo boss locale, Tecno: un ragazzino di poco più grande di Carlo, amante dei videogiochi e della musica da discoteca, ma già alla guida di un bel gruppetto, tra cui ci sono anche delle ragazze. Walter si fa notare dal mini-boss e sembra che la sua vita sia finalmente svoltata: è di colpo diventato grande e fa una vita grande, eroica e piena di emozioni. Una vita che non lo avrebbe mai fatto finire come suo padre, morto da povero in un incidente di cantiere. Ma, nonostante l’impegno, a Walter i denti da squalo che accomunano il suo amico nella vasca e i gangster forse non sono ancora cresciuti del tutto. E infine a cosa serve essere un temibile squalo, se ti mettono poi a vita dentro una piccola piscina da cui non puoi più scappare? Walter sta per scoprire che esistono in natura predatori più grossi. 


Gabriele Mainetti, insieme ai produttori di Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out, accompagnano nel suo esordio al lungometraggio il promettente regista Davide Gentile. Alla sceneggiatura ci sono Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, autori delle serie tv crime Gomorra e Suburra, ma anche dietro a opere più stralunate, come Addio fottuti musi verdi dei The Jackal. Denti da Squalo esce nell’insieme come un crime abbastanza stralunato: un'interessante favola sull'“adolescenza criminale” che si mischia a Free Willy, dove il “male”, con le sue liturgie di grandiosità e potere, viene smitizzato dallo sguardo fanciullesco dei piccoli e bravi protagonisti della vicenda. In una periferia avida di prospettive reali al di fuori del lavoro duro e ampiamente sottopagato dei genitori, più che sognare di diventare l’uomo-ragno i due ragazzini sognano che gli crescano denti da squalo come quelli degli altri “duri” della zona. Sognano di fare la “scalata al potere”, pensando di raggiungere così la più grande libertà e indipendenza dal mondo degli adulti, fino a quando questo gioco, come sempre, si trasforma inesorabilmente in una frustrazione con poche vie d’uscita. Un gioco di potere dove c’è sempre qualcuno di più potente, uno squalo più grosso pronto a schiacciarti e rinchiuderti in una piscina, a meno che non si decida di giocare un gioco diverso. Il film veicola questo messaggio nel modo più cristallino possibile, risultando comprensibilissimo anche agli spettatori più piccoli, a cui la pellicola è principalmente rivolta, portandoci in un mondo molto colorato e pieno di luoghi del litorale romano caldi e quasi magici (ottime tutte le scenografie e location), si potrebbe dire a tutti gli effetti “pirateschi”. Edoardo Pesce diventa sulla scena il Corsaro perfetto: l’immagine dell’uomo duro a tutto tondo: malevolo, malinconico quando ironico, quasi mitologico. Claudio Santamaria interpreta “fantasmaticamente” il ruolo del padre di Walter ed è per molti versi agli occhi del figlio speculare al Corsaro, lo “completa idealmente” anche se i due attori non sono mai davvero insieme sulla scena. La sempre bellissima Virginia Raffaele, ha in Denti da Squalo un ruolo drammatico quanto profondamente umano: da madre imperfetta e irrigidita dalla vita. Una donna spesso sfuggente e assente, che riesce a sorridere solo a denti stretti e che cerca di essere gentile anche se risulta sempre arrabbiata e triste, costantemente sul punto di voler lasciarsi il passato alle spalle senza però mai riuscirci. Una mamma che sgrida e poi se ne pente. Tutti i personaggi adulti vivono riflessi negli occhi del piccolo Walter e gli attori riescono a creare una bella intesa e chimica con il giovane e bravo protagonista. Ma quando il piccolo Tiziano Menichelli è in scena con il giovane Stefano Roschi, la pellicola dà il suo meglio. I due piccoli attori dialogano con spontaneità assoluta, costruendo tra i loro personaggi un'amicizia credibile e non stereotipata, vitale quanto spigolosa, competitiva quanta affettuosa. Un piccolo percorso di crescita condiviso emozionante. Ci sono poi i baby-gangster e lo squalo nella piscina: tutte creature tragiche ugualmente inconsapevoli di vivere all’interno di un piccolo recinto, in cui si possono mostrare i denti e poco più, fino a essere “rimessi al proprio posto”. Tutto il cast “corale” risulta ben integrato nel contesto e anche lo squalo riesce grazie agli effetti speciali quasi a sviluppare sulla scena una sua precisa personalità, scontrosa ma infine gentile. Il film potrebbe finire con una nota amara, ma cerca con coraggio di farsi favola e metafora fino alla fine, costruendo un ultimo atto quasi onirico in cui si prospetta un futuro migliore per tutti, uomini e squali. Il realismo qui viene forse messo un po’ da parte in ragione della spettacolarità, ma l’operazione infine riesce. 


Denti da squalo è una favola moderna piena di luoghi magici e ottimi interpreti. Gli effetti speciali sono adeguati, l’atmosfera è calda e avvolgente, il messaggio dell’opera è esposto con precisione e garbo senza mai essere lezioso. È un ottimo film da vedere al cinema, adatto a tutte le età o magari assieme a ragazzi della stessa età dei protagonisti, per parlare poi con loro e confrontarsi su quanto è difficile o è stato difficile, ma bellissimo come una favola, avere 13 anni. Un buon esordio alla regia per Gentile, di cui aspettiamo con piacere le future prove. 

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