venerdì 30 giugno 2023

Houria-la voce della libertà: la nostra recensione del nuovo film della regista Mounia Meddour, sulla danza e l’inclusione

Algeria dei giorni nostri. La giovane Houria (Lyna Khoudri), il cui nome significa “libertà”, balla sul tetto del palazzo dove abita fin dall’alba, ascoltando la musica nelle cuffie e sognando qualcosa di diverso. Per lei basterebbe avere dei soldi per un’auto che la porti qualche volta fuori città, mentre la sua sodale amica Sonia (Amira Hilda Douaouda) vorrebbe che i soldi servissero per lo meno a mollare tutto e andare a vivere a Barcellona, a costo di consegnarsi a qualche scafista clandestino che in poche ore di un viaggio orribile può portarti in paradiso. Houria ha i piedi graffiati e coperti di cerotti ma continua a ballare con assoluta dedizione, perché con la sua piccola compagnia sta per portare in scena Il lago dei cigni e il ruolo di ballerina di fila è lì molto complesso. La mattina presto agli esercizi sul tetto seguono il lavoro come donna delle pulizie in un hotel e poi gli allenamenti in una palestra fatiscente, con la sera che è dedicata a un secondo lavoro da ballerina nei locali notturni, per poi il giorno dopo ricominciare il tutto. È una vita dura, ma che fa senza lamentarsi anche la madre di Houria, Sabrina (Rachida Brakni) che è una ballerina ancora in attività di balli tradizionali algerini. Madre e figlia così si sostengono e aiutano a vicenda, ma i soldi per comprare un’auto o arrivare a Barcellona sono tanti e l’unico modo per farne un po’ sono gli scontri clandestini tra arieti. Gli arieti hanno nomi altisonanti come Batman, Bin Laden, Putin e Trump. Tutti ci scommettono sopra in modo pesante, come se non ci fossero davvero altre alternative. C’è crisi e sono tutti poveri. Una notte, puntando su “Joker” che vince su Bin Laden, Houria porta a casa una somma ragguardevole. Ma un tizio sbandato, Ali (Marwan Fares), che ha scommesso sull’ariete perdente, ritiene che la vittoria sia truccata. Così insegue Houria, fino a che la prende e la butta giù dalle scale in cemento di un un vicolo isolato. La ragazza rotola in modo scomposto e picchia la testa. Ali la lascia lì senza prendersi i soldi e, convinto che sia morta, fugge. Houria però sopravvive riaprendo gli occhi in una stanza di ospedale. Il piede è rotto in modo grave e non potrà più ballare come prima, ma i danni che ha subito alla testa sembrano peggiori: Houria non riesce più a parlare. 

Le possibilità di procedere legalmente contro il suo assalitore sembrano davvero poche, perché l’uomo in qualità di ex estremista religioso pentito gode di un particolare status che di fatto gli consente di fare liberamente quello che vuole, senza conseguenze. Per cercare di contrastare il terrorismo, i poliziotti hanno le mani legate e ogni tipo di azione legale decade per paura di ritorsioni. 

Tutto ciò che può fare Houria è quindi essere seguita da un gruppo di aiuto rivolto a persone rimaste vittime, come lei, di estremisti religiosi. È un gruppo eterogeneo, dove sono presenti donne che hanno subito i peggiori tipi di abusi e traumi. Alcune hanno perso i propri figli in un'esplosione e continuano a dialogare con loro. Ci sono donne che si sono chiuse in un loro mondo interiore e donne non più autosufficienti. Ci sono donne che come Houria non parlano più, ma con cui la ragazza inizia a parlare attraverso il linguaggio dei segni. È una piccola rinascita per la ragazza, quasi una nuova famiglia. Il gruppo si affeziona a Houria e lei si affeziona a loro, decidendo di introdurre delle lezioni di ballo nelle attività comuni. La ballerina cerca così di integrare il linguaggio della danza a quello dei segni, creando una nuova forma di espressione. Il tempo passa e l’uomo che l’ha quasi uccisa per uno scherzo del destino torna a farsi sentire, in cerca dei “soldi rubati” e con la voglia di distruggere la sua vita se non li otterrà. In questo difficile momento anche l’amica di sempre, Sonia, dopo aver raccolto i soldi, decide di scappare a Barcellona con una barca clandestina, mettendo a rischio la sua vita. La vita della ballerina sta cambiando velocemente ma forse il suo amore per la danza riuscirà ad aiutarla in questo difficile percorso. 


Dopo Papicha, uscito nel 2019, Mounia Meddour torna a parlare della vita delle donne nell’Algeria dei giorni nostri, in un modo ancora una volta originale quanto intrigante. Sono raccontate di nuovo storie di donne forti e generose, aperte alla modernità quanto ossequiose delle tradizioni, che spesso vengono quasi impossibilitate ad avere una propria “voce” della società. Nel film questa voce viene non troppo metaforicamente “sottratta” con un atto di violenza, con la protagonista Houria che deve quindi mettersi alla ricerca di nuovi “linguaggi possibili” con cui potersi esprimere, in un percorso che la porterà infine a creare un modo di danzare in grado di fondere i passi della tradizione con i gesti con cui comunicano i sordomuti. Per Houria occorre trovare prima di tutto un modo di ballare semplice da imparare, quanto giocoforza la sua arte è stata “azzoppata dalla violenza” e non può più competere con Il lago dei cigni che stava preparando con tanta dedizione. Da questa prima consapevolezza, la ballerina deve integrare la danza con un linguaggio dei gesti che le viene insegnato con amore dalle sue nuove amiche, proprio nel momento della sua maggiore crisi esistenziale. Il risultato è un ballo che tutto il gruppo delle donne, ballerine o meno, è ora in grado di approcciare, diventando una nuova autonoma forma di esprimersi: un mezzo per veicolare pensieri e azioni attraverso l’arte, non troppo dissimile concettualmente al rap e alla capoeira. Un linguaggio ai più invisibile quanto per chi vuole vederlo potente, inclusivo quanto universale, sintesi perfetta del concetto di “resilienza”. La resilienza è un termine mutuato dalla siderurgia che indica in campo sociale la capacità di una persona di riprendersi da un forte urto e riorganizzare positivamente la sua vita, ed è esattamente quanto fa Houria: dopo l’incidente offre una nuova forma alla sua vita e alla sua arte rinascendo dal dolore, senza fuggire. L’amica Sonia invece fugge, come fuggono dal reale le masse che ogni sera si giocano tutti gli spicci per gli scontri tra arieti, che tanto tutti sanno che sono truccati. Se la pellicola parla di come Houria e le donne del suo gruppo di aiuto riescano con forza e determinazione a rialzarsi, trovando un nuovo senso alla loro vita senza piegarsi al destino, non manca nel film della Meddour una critica diretta più che ai singoli a una politica che di fatto sembra essersi piegata del tutto. È un paese che si è piegato ai desideri degli “estremisti pentiti”: soggetti pericolosi lasciati dalle istituzioni liberi di fare ogni cosa in quanto preziosi per una lotta al crimine che per ora non sembra ripagare di tanto sacrificio. È un paese che si è piegata al gioco di azzardo, alla quotidianità degli scafisti, alla corruzione e all’immobilismo. Anche la figura della donna avvocato che si è ritirata dall’impegno sociale urla una situazione istituzionale divenuta ormai insostenibile per la difesa del singolo. Fortuna che in tanta tragedia  ci sono ancora i colori e i balli di Houria e di sua madre, che rimandano a un Oriente magico e accogliente magari per i turisti che è ancora presente e può essere altrettanto forte, in grado di rinascere dalla bellezza. La regista con passione e amore descrive ogni ballo come ogni magnifico scorcio architettonico storico, tramonto e panorama notturno. Trasmette la forza e il sorriso di un paese che come Houria, nonostante tutto, sta cercando di rialzarsi inventandosi strade nuove, attraverso la sua cultura e i suoi magnifici paesaggi. La Meddour crede ancora in un futuro possibile al di là degli scontri degli arieti Joker e Trump. 



Molto brave tutte le attrici coinvolte, tanto le interpreti delle ballerine quanto delle donne abusate. Sono tutte in grado di creare tra i loro personaggi un rapporto umano ricco e sfaccettato, basato sul sostegno reciproco ma anche sul rispetto degli altri e la gentilezza, sul duro lavoro e l’impegno attivo a favore della comunità. Si avverte nella seconda parte, per la spontaneità del gruppo nel supportasti vicendevolmente, quasi la sensazione di trovarsi di fronte a una famiglia allargata. Glaciale “ma non per colpa sua” il personaggio di Ali, che l’interprete riesce comunque a rendere non banale, facendoci intuire un vissuto di disperazione e isolamento che ne ha compromesso il sistema di valori. Quasi tutti gli uomini in scena sono “soli” e in preda al demone del gioco, su cui puntano ogni speranza di un futuro vacuo. 

Houria è un film tragico, ma che dalla sua tragedia riesce a parlarci al meglio di rivalsa e futuro grazie al coraggio delle donne, guidandoci a passi di danza più che dietro a mille parole. È un film di speranza, che la Meddour riesce a confezionare con molta raffinatezza ed equilibrio, dosando ogni immagine e trasmettendo appieno la voglia di cambiamento delle sue protagoniste.  

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