lunedì 22 maggio 2023

Le proprietà dei metalli: la nostra recensione del film di esordio al lungometraggio di Antonio Bigini su un bambino con il potere di piegare i metalli

Siamo negli anni ‘70, in un paesino di contadini del Appennino Tosco-Emiliano di nome Cava. Pietro (Martino Zaccara) è un ragazzino di una decina d’anni con uno strano dono per il quale tutti in paese lo definiscono “mago”, anche se lui vorrebbe solo essere guardato come un semplice bambino. Pietro maneggia come nessuno chiavi, cucciai e altri piccoli oggetti metallici,  percependolo intimamente la singolare natura di ogni materiale e saldatura. Ci sono oggetti caldi, morbidi e che emanano quasi uno strano colore verde. Altri sono frizzanti, colore blu intenso e al tatto simili ai gatti. Altri ancora sono freddi, bianchi ma anche un po’ neri, con l’odore del bruciato. Poi arriva la magia. Chiude gli occhi, c’è come una luce bianca che gli appare e Pietro riesce a piegare questi oggetti in un attimo, come l’illusionista israeliano Uri Geller. Il suo fratellino Simone lo adora e spera di riuscirci anche lui prima o poi. Gli amichetti lo stimolano a piegare più roba possibile a comando, ma Pietro non si sente “uno che esegue a comando”, come una specie di foca ammaestrata. Anzi, se “lo guardano” mentre ci prova lui non riesce a piegare un bel niente e la cosa è di fatto problematica. Il padre (Antonio Buil Pueyo) lavora nei campi e ha i suoi brutti impicci: la roba dei cucchiaini non lo tocca, basta che Pietro aiuti la nonna e per il resto il bambino è per lui del tutto invisibile. È più infastidito che interessato, quando uno strano professore americano dell’Università di Bologna, David (David Pasquesi) viene a cercare Pietro per studiare questa capacità di piegare gli oggetti. David è un uomo brizzolato di mezza età dallo sguardo curioso, calmo e gentile nell’ascoltare ogni sfumatura della vita di Pietro per cercare di capire il suo modo di pensare e vedere il mondo. Un po’ scienziato e un po’ psicologo, ma soprattutto un amico, David è qualcuno che lo guarda e ascolta senza indifferenza o come un mostro strano. Anche davanti a David però Pietro non piega un bel niente, gli serve almeno un minimo privacy come “mettersi di spalle”, ma i risultati sembrano comunque esserci. Un giorno però tutto cambia, dopo che i test sono così incoraggianti che si inizia a ventilare la possibilità che una commissione dia un premio a Pietro. Se riuscirà a dimostrare le sue doti in un esperimento condotto secondo parametri scientifici certi, Pietro riceverà 20.000 dollari: quasi 13 milioni di Lire. Per David si può fare, perché le capacità di Pietro sono subito misurabili grazie alla fisica e le giuste apparecchiature. Allo stesso modo anche il padre “di colpo” inizia così a interessarsi di Pietro. Gli fa i regali che non gli ha mai fatto prima, è sempre più presente nella sua vita e per la prima volta è come se lo vedesse davvero. Il dubbio del ragazzo è che lo “veda troppo” e solo per il premio. Più che contento, Pietro inizia a sentirsi “non compreso” in tutte le sue “qualità di bambino”, con la sua magia che inizia ad andare fuori controllo e “l’animo del metalli” che gli appare sempre più misterioso.


Durante gli anni '70 l’Italia di provincia era pervasa da storie incredibili che portavamo alla luce delle realtà misteriose quanto magiche. Ci sono stati gli UFO sulla Liguria, con tanti avvistamenti, prove documentate e testimonianze (la più famosa è quella di Fortunato Zanfretta) da guadagnarsi le prime pagine dei quotidiani e dei libri. Ci sono stati un po’ in tutta Italia anche i casi dei cosiddetti “mini - Geller”: ragazzini che si scoprivano con il potere di piegare il metallo, diventati effettivamente oggetto di studio di alcuni scienziati. Non sono ancora stati chiariti (e forse mai lo saranno) i motivi reali per cui questi fenomeni accadessero proprio lontano dalle grandi città, riguardando per lo più persone umili e bambini. Era come se, nel momento di maggiore progresso scientifico e “materialismo” del secolo, dovessero nascere “suggestivamente”, per contrasto, storie di magia e misteri legate a una realtà spirituale e fantastica sempre più repressa e negata, divenuta in senso lato “periferica”. Potremmo definirla una piccola rivincita del mondo dell’invisibile sul mondo “misurabile” e in fondo è questo il tema principale del film di Bigini. Un pezzo di ferro della cascina di Pietro, proveniente da qualcosa di “rotto”, può avere proprietà musicali se preso dal bambino e usato come l'improvvisata bacchetta di una batteria. Uno specchio può “giocare” con noi riflettendo la luce. Un anello di poco valore economico per un rigattiere può ricordare una persona scomparsa e amata. Lo scienziato David studia parimenti Pietro cercando di afferrare il segreto della sua forza dalla sua interiorità, leggendo oltre gli strumenti di misurazione come se il ragazzino fosse una specie di caldaia. In un cinema che oggi sempre più punta alla semplificazione dei temi e delle storie e alla geometria dei sentimenti, Bigini gioca con la complessità di significato, non ha paura a mettere in scena personaggi irrisolti che portano con sé più domande che certezze, sollecita l’immaginazione preservando il magico. È un cinema per molti versi vicino alla provincia fantastica più volte raccontata da Pupi Avati: un luogo bisognoso di relazioni umane quanto avaro di parole e gesti di affetto. Un luogo ruvido e fuori dal tempo, ma sempre romantico più che malinconico. Molto bravi tutti gli interpreti, tra cui si segnala il giovanissimo Martino Zaccara per la sua capacità espressiva sempre spontanea e convincente. Bella la ricostruzione storica di un paesino dell’Appennino tosco Emiliano di ormai quasi cinquanta anni fa, con la tv che trasmette le avventure di Sandokan e le cucine in cui scorrazzano le galline. Quasi da film horror la sequenza del test di Pietro, carica di geometrie rigide e sguardi crudeli: soffocante, come un piano sequenza “argentiano”. È un film che dopo la prima parte cambia pelle, ci porta in un mondo anche inquietante, dove c’è anche un pizzico di Fenomeni paranormali incontrollati e di Scanner, anche se rimangono sottotraccia, come piccola lettera d’amore al cinema di genere. 


Le proprietà dei metalli ama giocare con le suggestioni, farsi prima racconto di formazione per poi trovare i colori del thriller, quasi dribblare l’horror per poi andare sul dramma familiare, ma può essere inteso prima di tutto come un film sul cosiddetto “pensiero laterale”: un film che stimola a guardare il mondo nella sua totalità senza “ansie da etichettamento”, dove accettare di non poter comprendere ogni cosa è una vittoria e mai una sconfitta. Un buon film d’esordio per Bigini, forse con la necessità di trovare una migliore sintesi alla narrazione generale e una chiusura più efficace, magari riducendo di una decina di minuti il prodotto finito. Ma c’è davvero poco altro da segnalare per una pellicola che sa essere sempre intelligente e piena di cuore. 

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