giovedì 2 marzo 2023

Tutto in un giorno (En los margenes): la nostra recensione del film di debutto del regista Juan Diego Botto, con protagonisti Penelope Cruz e Louis Tosar.


Ci troviamo nei sobborghi operai della periferia di una Madrid dei giorni nostri, nelle case di chi vive ai margini della società, a volte con un lavoro pagato con quattro euro all’ora. Se poter comprare una casa con un mutuo una volta era un duro ma sopportabile “investimento sul futuro”, a seguito della grande recessione mondiale del 2007-2013 (a cui oggi si è sommata la crisi energetica e sanitaria) il sogno si è trasformato in incubo. Il costo della vita è schizzato alle stelle, con un tasso di interesse richiesto dalle banche che in Spagna ha subito rincari mensili vicini al 50%, esponendo le fasce della popolazione più povere a una incertezza abitativa che si è espressa in 40.000 sfratti per morosità all’anno, con la media di oltre 100 sgomberi giornalieri. Inoltre il sistema spagnolo da sempre prevede, anche nel caso in cui sia la banca stessa ad esercitare un’ipoteca, che chi ha contratto il mutuo resti responsabile per il suo debito se la vendita non consente all’istituto di rientrare nella disponibilità di tutto il capitale prestato, con tutti gli interessi maturati. Questo ha creato in breve tempo dei veri e propri schiavi economici: persone sempre a un passo dal vedersi pignorata l’abitazione, impossibilitati a pagare il prestito anche con tre lavori e con la spada di Damocle di servizi sociali sempre pronti a mettere in affidamento ragazzini lasciti soli a casa da genitori assenti “per lavorare”, magari anche di notte. Con lo Stato che non riesce a realizzare delle efficaci politiche sociali, una speranza di difesa per le classi meno abbienti viene dall’associazionismo, con la formazione di strutture volontaristiche come la “Piattaforma dei colpiti da ipoteca”. La giornata dell’avvocato e attivista della Piattaforma Rafa (Louis Tosar) inizia all’alba, con le incombenze di accompagnare nella mattina il figlio “acquisito” Raul (Christian Checa) all’autobus per una gita scolastica di qualche giorno, essere nel pomeriggio vicino alla moglie in ospedale per l’ecografia del loro nuovo nascituro e nel mentre rendersi disponibile per delle pratiche legali. Mentre sta accompagnando il figlio, Rafa deve fare però una piccola deviazione: passare  a consegnare una bombola del gas a una ragazza di origine araba che abita in una casa popolare. Solo che Rafa viene anticipato dalla polizia e dai servizi sociali, che stanno portando via la figlia della donna, su segnalazione della scuola. La ragazzina di solito sta dalla vicina di casa ma questa ora non c’è e la madre, via per lavorare come donna delle pulizie, è irreperibile. In una corsa contro il tempo Rafa deve trovare il luogo di lavoro dove rintracciare la donna che non risponde al cellulare (forse non avendolo), capire dai suoi contatti dove sarà portata la figlia dai servizi, cercare nel mentre di occuparsi di suo figlio che per via della deviazione ha perso il bus e ora è con lui per tutto il giorno e nel mentre fare tutto il resto. Se la giornata di Rafa parte in salita, il mattino di Azucela (Penelope Cruz) inizia insieme al volontari con degli striscioni, per una protesta davanti alla sua banca, per chiedere di ritardare il suo sfratto, che sarà esecutivo nelle future 24 ore. Azucela ha un figlio piccolo e lavora in un supermercato, ma da quando il marito ha perso il suo lavoro non riescono più a tirare a fine mese e dopo la casa potrebbe arrivare anche l’affidamento. A partecipare all’evento è tutta la Piattaforma tranne suo marito Manuel (interpretato dallo stesso regista Juan Diego Botto), che ritiene umiliante che la loro situazione sia sbandierata in pubblico e piuttosto che stare con lei a protestare fa il manovale sottopagato come German (Font Garcia), il figlio di Teodora (Adelfa Calvo). Dopo il fallimento di una attività appena aperta, i debiti di German sono ricaduti anche sulla madre, mettendo a rischio anche la sua abitazione. Ora lui ha troppa vergogna per tornare a casa, vivendo in un appartamento-dormitorio insieme a degli immigrati. Nonostante la madre lo chiami tutti i giorni chiedendogli di tornare a casa lui non risponde, è come bloccato. Per la prima volta tanto vicino al lavoro del padre, Raul non capisce perché Rafa si dia tanto da fare per persone che in fondo non conosce, coinvolgendosi al punto da mettere del tutto da parte se stesso, lui e sua madre. Nel mentre Azucela si prepara sempre più al momento dello sgombero, quando i poliziotti saranno pronti in assetto anti-sommossa sotto la sua casa.


Juan Diego Botto con uno stile dinamico, ruvido e quasi documentaristico, mette in scena un film corale su come la vita possa trasformarsi in una corsa contro il tempo, quando si cerca di sopravvivere a delle regole inique quanto figlie di un periodo di crisi, a cui è difficile dare risposte concrete a livello politico e sociale. Va in scena la storia di tre nuclei famigliari arrivati allo stremo delle loro forze, con legami personali ormai logorati e una rabbia rimasta a lungo troppo silente e ormai giunta quasi sul punto di esplodere. Azucela, interpretata da una straordinaria Penelope Cruz che quasi ricorda per forza e umanità Anna Magnani, non riesce più ad amare il marito e vive ogni momento come sul punto di andare in guerra, pur svolgendo con umiltà e rispetto il suo ruolo di madre e lavoratrice. Il Roman contratto e dolente di Font Garcia, che incarna i quarantenni che non sono ancora riusciti a costruirsi una famiglia e vivono grazie ai genitori, a testa bassa lavora come un dannato per tre soldi mentre la madre, cui dà voce una dolcissima e paziente Adelfa Calvo, cerca con tutte le forze di mettersi in comunicazione con lui, ripetendogli che “va tutto bene” in messaggi che rimangono inascoltati in una segreteria telefonica. Rafa si lancia come la pallina di un flipper tra un istituto e l’altro e tra un contatto e l’altro, avendo perso del tutto il senso della sua vita personale e quasi immolandosi per la causa come farebbe un supereroe, un Avenger. Tosar ce lo racconta come un uomo “sradicato” che sembra vivere solo in auto, in continuo movimento alla ricerca di un senso della vita che può forse dargli anche solo il ricordare la giusta  data del compleanno di Raul, che continua a sbagliare davanti alla incredulità del figlio in una specie di tormentone che accompagna tutta la narrazione. Come nel cinema di Inarritu il dramma che vivono i personaggi è profondo e insanabile e la sopravvivenza è quasi uno sforzo muscolare per normalizzare il caos interiore, “tirare dritto” cercando di “fare al meglio” la propria parte, almeno per la propria famiglia. Come nel cinema di Ken Loach la società diventa un mostro senza volto, un meccanismo crudele nel quale è necessario “incastrarsi dentro” magari con il rischio di rimanere sbranati, cercando di interpretarne al meglio le regole, rimandando quanto possibile l’inevitabile punto di rottura. Nasce così un film di denuncia che non fa sconti in special modo a una burocrazia diventata negli anni troppo scollata dal reale, dove le competenze degli attori economici e sociali diventano così sfumate e “delegate ad altri” da provocare un sostanziale immobilismo del sistema. Una “indifferenza” che con ironia e crudeltà di colpo “sparisce” quando il sistema dimostra di riuscire benissimo a muoversi per recuperare i soldi o comminare pene con il suo braccio armato.


È un film amarissimo, dove la voce del personaggio Cruz che urla “vergogna” nelle scene della carica dei poliziotti sa colpire come uno tsunami se non le “istituzioni reali” almeno il cuore del pubblico, come un frastuono terribile ma anche come una “sveglia”. Una sveglia a cui risponde come può un personaggio come il Rafa di Tosar, che in vent’anni di “cinema in ostaggio dei cinefumetti” è qui quasi un supereroe reale, qualcuno in cui un pubblico in cerca di “cosa fare da grande” può davvero identificarsi per trovare uno scopo nella vita, magari instradandosi in percorsi di studi che possono davvero incidere nel sociale. È sotto questo aspetto che il film trova una sua anima ulteriore, raccontandoci in positivo qualcosa di cui abbiamo bisogno anche qui, perché l’Italia non è troppo diversa dalla Spagna dipinta da Botto, anche se spesso preferiscono non raccontarcelo. Nel 2021 per le statistiche abbiamo avuto 38.163 sfratti per morosità, con 33.000 casi in cui è stata chiesta la forza pubblica per lo sgombero. Abbiamo anche noi bisogno di avvocati, volontari e operatori sociali forti quanto quelli descritti nella pellicola di Botto. Persone di cui già disponiamo ma di cui non ce ne è mai abbastanza. Se il film è quindi una doccia fredda su una realtà che potrebbe essere vicinissima a quella del nostro paese, Tutto in un giorno riesce anche a parlarci di una società che non si arrende e prova a reagire, contagiando anche le nuove generazioni verso uno sforzo comune che parla di inclusione e rispetto dei diritti umani. Un “domani” che Botto ci racconta attraverso il ben riuscito personaggio di Raul di Christian Checa: un figlio che fa fatica a relazionarsi con un padre spesso assente ma di cui inizia a comprendere il mondo e il modo di agire grazie all’esempio, seguendo quanto fa Raul nel corso della giornata che passano insieme. E questo il regista lo fa senza mettere in bocca ai personaggi in modo didascalico proclami o discorsi motivazionali, usando lo stile solido e documentaristico con cui si raccontano le storie vere: descrivendo i fatti e le azioni concrete e spontanee, evitando iperboli. Una narrativa essenziale, quasi neorealista, che si sposa felicemente con una fotografia naturale, resa magari ruvida dalle telecamere digitali e da un accompagnamento  sonoro che raccoglie i rumori di fondo della città, con poca musica e tanto brusio di fondo. Il ritmo è incalzante ma la pellicola sa anche in certi momenti decelerare, “abbassare il brusio”, prendere i suoi tempi e trovare una fugace poetica malinconica. Dare voce a personaggi che sanno raccontarsi velocemente, con quasi il pudore di non annoiare. In questo senso la piccola scena in cui il personaggio di Raul si sofferma a parlare con la attivista Alejandra interpretata da Nur Al Levi, quando nella città è ormai notte e i rumori sono solo lontani, risulta coinvolgente e quasi romantica. Un contrappunto ricercato alle scene che seguiranno con al centro la Cruz di Azucela, per la quale quel clima di silenzio momentaneo diventa attesa di uno scontro prima nelle mura di casa e poi “contro il mondo”. Uno scontro che in un crescendo dal sapore quasi epico partirà alle prime luci dell’alba, prima con i suoni delle camionette e dei poliziotto in tenuta di assalto e poi con l’onda di voci dei manifestanti che invadono le strade.

Botto scrive e dirige un film molto potente, drammatico ma al contempo in grado di dare speranza. Si affida a un cast di attori perfettamente in parte, ci racconta le vicende con ritmo e senso dell’azione senza dimenticare mai di descrivere un contesto reale quanto vivido, spietatamente burocratico e istituzionalmente farraginoso. Un film su cui riflettere, anche ragionando sul fatto che pure qui in Italia non ce la passiamo benissimo. 

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