- N.B.
Nota Importante- Alien: Covenant è il seguito diretto di Prometheus, sempre di
Ridley Scott. Gli eventi e il finale di Prometheus sono la base narrativa di
questo nuovo film, al punto che risulta impossibile parlarne senza fare
spoiler. Pertanto chi volesse continuare con la lettura o anche giusto andare
al cinema si premuri di vedere prima Prometheus.
- Pre-sinossi integrata da contributi video, propedeutici al film e non compresi
nello stesso, gentilmente pre-confezionati da Ridley Scott. Ci sono tipo 10
minuti di film in più, reperibili già in rete come materiali extra. Dieci
minuti che probabilmente sono costati da soli quanto quattro film italiani
completi e che permettono di apprezzare meglio alcuni personaggi e riflettere
sull'importanza di certi avvenimenti. È un peccato non vederli, trovo
personalmente una stronzata la loro omissione dal film, e per questo qui ve li
segnalo, per darvi da subito una visione più "uncut" del titolo. Se i
filmati non dovessero essere in seguito più raggiungibili dai link, si chiamano
Alien Covenant prologue: the crossing e Alien Covenant
prologue: the last Supper. Di sicuro li pubblicheranno con l'home video.
Forse. E andiamo quindi a incominciare!
- Quindi, sinossi dei prologhi: Sono passati dieci anni da Prometheus. Tra la
fine della pellicola scorsa e l'inizio di questa il sintetico David (Michael
Fassbender) e la dottoressa Elizabeth Shaw (Noomi Rapace), unici sopravvissuti
della Prometheus (nave spaziale di ricerca che era partita alla scoperta degli
ingegneri, i demiurgici della razza umana, ma era finita male), hanno
vissuto straordinarie avventure che li hanno portati fino a questo punto: su
un'astronave aliena, in un viaggio lungo con meta "importante" e
un'idea "matterella" in testa, cioè di riattaccare la testa di David
al corpo (a un certo punto nel vecchio film veniva staccata e... usata a modi
randello stile "te strappo a capa stile Subzero e te ce meno")...
probabilmente per motivi sessuali... Come è andata a finire? Guardatelo pure
il filmato attivando i sottotitoli.
E mentre
David gioca a far cadere cose dall'alto, una grossa astronave coloniale partiva
per un gioioso viaggio interstellare. Colonizzare è "copulare",
coltivare e riprodursi, affare da uomini semplici più che eroi e infatti
l'equipaggio è formato interamente (cosa che nel film poi si intuisce senza
formalizzarsi, quando sarebbe in effetti un tema chiave) da coppiette
marito-moglie classiche, coppiette multietniche e pure coppiette dello stesso
sesso per il politically correct (che tanto ci sono pure un mare di embrioni
da affittare nelle stive). Al gruppo è aggiunto un sintetico dall'aria
familiare, Walther (il "modello" infatti è sempre Fassbender),
riteniamo sempre per scopi sessuali. Nell'equipaggio figurano ai più alti posti
di comando James Franco e Danny Mcbride e per un attimo pensiamo che potrebbe
spuntare dal cesso un guardiamarina Seth Rogen armato di canne per tutti.
Ma non accade, anche perché James Franco è un capitano integerrimo, forse troppo
amante del lettino solare, e Mcbride invece di essere lo "scoreggione
molesto del gruppo" (come in tutti i film di Rogen e co) è un serio pilota
spaziale, uno che darebbe le piste pure a Ian Solo e che è pure un sacco
credibile (già promosso quindi al suo primo vero ruolo drammatico). C'e anche
un capitano in seconda, interpretato da Billy Crudrup, che ora mi torna in
mente il drogatissimo chitarrista degli Stillwaters nell'Almost Famous di
Cameron Crowe. Qui è meno love-power, sta depresso per tutta la pellicola e
impersona il "fedele", il religioso del gruppo (e come accadeva in
Prometheus per il personaggio della Rapace essere credente in questi mondi
alternativi è quasi una condizione di biasimo ed emarginazione, come a dire che
la scienza ha vinto sulla fede. La suggestione è interessante, peccato che
questo tratto in Covenant non sia troppo approfondito). E arriviamo alla donna.
Anzi, alle donne. C'è una nuova Ripley a bordo, si chiama Daniels ed è la
timida, lacrimosa, forse non troppo appariscente ma alla bisogna cazzuta
Katherine Waterston (che a me in ogni caso ha convinto pochissimo). Nel suo
background è una esperta di roccia e questo aspetto sarà cruciale per alcune
scene a gravità zero. C'è poi la nuova donna - pilota, Faris, interpretata dalla
brava Amy Seimetz (che sarà protagonista di una delle scelte più forti e
meglio girate della pellicola) e la responsabile scientifica Karine,
interpretata dalla convincente Carmen Ejogo. E avremmo voluto vedere, a
fine film, molte più scene della stupenda navigatrice della Covenant,
interpretata da una Callie Hernandez ultra sensuale (è lei nella scena della
doccia) come della combattiva Rosenthal di Tess Haubrich (anche lei
protagonista di una scena bella forte, che ha sempre a che fare con
l'acqua...). Prima che la pellicola cominci, l'equipaggio della Covenant ci
viene presentato al meglio qui (ed è grave che manchi questo tassello nel
film), prima di andare a dormire insieme agli altri 2000 coloni stivati nei
crio-lettucci spaziali, mente organizza un piccolo party pre-sonno:
Personalmente,
vista la performance, metterei Walter come dotazione standard in ogni fast
food: tovaglioli, salse ketchup e maionese, olio, sale, stuzzicadenti e
androide che con colpo preciso di Kung Fu praticati su uno tsubo preciso riesce
a salvarvi la vita quanto va storto il Big Mac e alla bisogna fornisce anche
medicine da banco.
-
Sinossi dell'entrare in sala: Ma torniamo al film! Anzi, entriamo per lo meno
al cinema. Buio in sala e già arriva il primo "buuuuuu". Nel resto
del mondo si parte con il trailer del nuovo Blade Runner di Scott / Villeneuve.
Da noi no. Anzi, ci fanno sorbire per ben due volte I pirati dei Caraibi 5. Ed
è un peccato, perché questo Covenant ha molte cose in comune tanto con Blade
Runner che con Alien. Ma ne riparleremo. Intanto siamo fiduciosi sul fatto che
Villeneue, dopo Prisoners, l'interessante Arrival e Sicario, possa essere
il regista migliore per rileggere nel 2017 Blade Runner. Bella l'idea
dell'Alien Day. Una maratona notturna per il trittico Prometheus, Covenant,
Alien. Dovrò provarlo anche a casa...
-
Sinossi vera, dopo tutto il cazzeggio inutile qui sopra, della pellicola. Anzi
no. Più che una sinossi ci facciamo una anarchica discussione più o meno
libera: Inizia il film e subito ci rendiamo conto di quanto sia ancora grande e
importante Scott per l'epica cinematografica. Anche quando a livello di trama è
costretto a seguire i peti fatti con le ascelle da Damon Lindelof (come era
costretto a fare in Prometheus) visivamente Scott è un Padreterno che
furoreggia con disinvoltura nella "rappresentazione", nella messa in
scena di quello che è vero cinema. Tra musica classica, arte pittorica,
religione, storia e cultura, Scott raccoglie suggestioni e fonde tutto in
un'unica arte filmica. Nel commento di Prometheus per l'home video, Scott si
definisce "un costruttore di stanze e universi" ed è dannatamente
vero. La storia non è il suo focus, lui vuole rappresentare la potenza del
cinema come mezzo espressivo. Gli basta qui una stanza bianca, un pianoforte e
un Fassbender dall'aria ingenua per parlarci, con la sola forza del
cinema (mentre i testi anche qui, diciamolo, sono un po' banalotti), di
Dio, di destino, di creatori e creature, di parti e figli e del concetto più
ampio di eredità. Siamo nel passato, in un flashback collocabile molto prima di
Prometheus, in quello che è forse un sogno a pecorelle elettriche
dell'androide David. Wayland (Guy Pierce) è in un momentino di intimità con
David, in una stanza bianco monacale arricchita di alcune delle più grandi
opere d'arte dell'umanità. Wayland si rivolge a David come alla sua più grande
creazione, in parallelo e omaggio al David di Michelangelo, opera che
ovviamente è presente nella stanza. In un dialogo "impossibile" tra
padre e figlio che deve essere gustato in parallelo con una delle scene chiave
del Gladiatore di Scott, quella di Joaquin Phoenix / Commodo che parla con alle
spalle il busto del padre Richard Harris/ Marco Aurelio (e che è per forza
diametricalmente opposto al confronto tra Roy Batty e il dr Tyrell in
Blade Runner). In sottofondo Wagner, con i classici richiami superomistici
della sua opera sull'Oro del Reno, e in un attimo, cullati dalle note e dall'arte,
ci sentiamo in 2001 di Kubrick (opera inseguita da Scott per tutto
Prometheus). Pazzesco. Questa sequenza vale tutto il biglietto da sola.
Stacco.
Ora ci troviamo a bordo dell'astronave Covenant dove incontriamo Walter, nella
solitudine del Crio-sonno degli umani a bordo. Stesso volto e stesso corpo di
David, ma Walter è un "maggiordomo sintetico" diverso,
un'intelligenza artificiale calibrata per servire e forse per sognare più in
piccolo rispetto alle possibilità del cervello artificiale di David. Un involucro
di sangue bianco che non possiede l'estro e le passioni che David
coltivava in solitudine sull'astronave Prometheus. Walter non gioca a palla,
non guarda in TV Lawrence d'Arabia e non spia il crio-sonno degli umani. Walter
lavora, dialoga con il computer centrale della nave, Mother (computer che
ritroveremo anche in Alien) protegge i macchinari ed è un custode attento,
amorevole. Spogliato dal superomismo di David, il modello sintetico Walter è
ugualmente umano, anche se forse lui stesso ancora non se ne accorge. Anche lui
sa amare. E subito ci ritorna alla memoria Bishop, il sintetico interpretato da
Lance Henricksen in Aliens-Scontro Finale di Cameron. Walter e David come Ash e
Bishop. Fratelli di una razza a sé, sintetici, "alieni" nell'accezione
di "emarginati", una sotto-classe di artificiali, nati
dall'umanità per l'umanità, servi a discapito di immense conoscenze e di
una vita quasi eterna che gli permette di sorvegliare il sonno dei piloti
spaziali per molti anni. Diversi dal povero Roy Batty di Blade Runner, sintetico "a scadenza", carne da cannone intruppato nelle
colonie extra-mondo che in fondo voleva solo più tempo per vivere, come uomo, e
arrivava per questo ad amare ogni ultimo attimo della sua artificiale mortalità
come l'uomo dal fiore in bocca di Pirandello. David e Walter che ne
dovrebbero essere per logica matematica (e qui Skynet approverebbe) dei
dominatori tra gli uomini.
Piccola digressione. Non è un caso per me che i
migliori film di Alien siano scaturiti da registi come Scott e Cameron, persone
che hanno portato sullo schermo opere importanti e seminali sulle intelligenze
artificiali: alieno fa spesso rima con artificiale.
E "alieni",
nella accezione terminologica di "estranei", sono anche gli
incauti coloni della Covenant. Peccato che gli umani facciano cose meno
interessanti degli alieni e il loro tempi in scena sia molto più esteso.
Sprovveduti al punto da farsi attrarre da una trasmissione radio sconosciuta,
nel mezzo del nulla spaziale, nel pieno una sosta forzata per riparare
una vela solare dopo una pioggia di neutrini, attratti da un pezzo
musicale che pare un classico di John Denver (un pezzo che ci ha sfiniti pure
nei "Sospiri del mio Cuore" dello studio Ghibli, maledetto lui..).
Gli umani si presentano da subito come un disastro sociale annunciato. Non
reggono la tensione, la disciplina, le emergenze. Non sarebbe un problema in
sé tutto questo, quanto il fatto che sono mossi da dinamiche già sviscerate e
logore.
Giusto il fatto di avere un equipaggio composto parimenti da uomini e
donne offre delle suggestioni interessanti, ma è troppo poco. Il personaggio di
Crudrup, il religioso, tira subito in ballo il destino e decide che tutti
devono rispondere a John Denver. Daniels, capo in seconda, gli dice che è una
cattiva idee ma non riesce a imporsi è tutti finiscono, come lemmings, per
atterrare su un pianeta che è troppo bello per essere vero, un pianeta che
apparirà come un paradiso perduto dalle poco Miltoniane carte
intergalattiche. Un pianeta che nasconde una inospitalità davvero aliena, al di
là delle spighe dorate che qualcuno ha piantato e che lo fanno sembrare in una
zona lussureggiante simile ai Campi Elisi che sfiorava con la mano Massimo
Decimo Meridio, sempre ne Il gladiatore. Basta infatti svoltare la rigogliosa, ma sinistramente silenziosa, vallata per imbattersi in un'ecatombe di case
distrutte e corpi bruciati. Il cimitero di una razza perduta, come a
Pompei. Tutto è morto e la natura stessa non può che spurgare da ogni suo più
piccolo poro miasmi di morte. Il pianeta te lo dice chiaro che è un posto
brutto, e fa quasi incazzare che venga affrontato dai coloni con una ingenuità
quasi criminale. Tutti atterrano gioiosamente sprovvisti di oggi tuta spaziale,
solo perché "pare" avere aria respirabile. Un pianeta-trappola esplorato da cretini e dominato da un novello Prometeo (come la creatura di Mary Shelley), impazzito o forse troppo pieno di sé, in cerca di
carne e sangue per dar corpo ai suoi oscuri, osceni e alchemici esperimenti
creazionisti. Come andrà a finire? Il sangue scorrerà a fiumi insieme a
budella, teste mozzate, corpi sventrati. Tra radio che non comunicano per via
di tempeste spaziali, coloni che si dividono per morire poi male, alieni che si
muovono come ninja. Ordinaria amministrazione, ma con un ricco di classe. Su
quel pianeta morto rinascerà in modo inaspettato l'alchimia e prenderanno vita,
tra scienza e blasfemia, svariate creature xenomorfe biomeccaniche, con alito
carico di acido corrosivo. Venite a conoscere gli Alien bianchi, gli Alien a
basso contenuto di acido, le spore zombicanti e tutte le sorpresine del
franchise che vi sono mancate in Prometheus! L'intero pianeta ribollirà di
abomini e per i coloni, già piuttosto sprovveduti e poco avvezzi alle armi (dategli un'arma e si ammazzeranno da soli), sarà complicato tornare a casa.
Però sarà anche molto divertente assistere alla mattanza colonica, con la
giusta dose di humor nero, si intende.
- se
solo si avesse l'opzione di togliere l'audio ai dialoghi e sentire la sola,
bellissima, colonna sonora di Jed Kurzel. Ascoltatene almeno un brano e
poi ditemi
Durante
la lavorazione di Prometheus, Ridley Scott era solito accompagnare le
improvvisazioni di Fassbender con Dark Side of the Moon dei Pink Floyd. Io ho
fatto più o meno lo stesso durante l'ultima mia visione di Prometheus, dialoghi
lasciati a muti coi sottotitoli e Pink Floyd a palla. Ed è stato uno sballo.
Ora vorrei provare la stessa cura per Covenant, magari salvaguardando la
soudtrack di Kurzel. Prometheus al di là della sbalorditiva messa in
scena peccava di una trama scribacchiata male, salvata solo dalla messa in
scena. Covenant è forse in questo molto più ordinato, al punto che "tira
su" pure un po' Prometheus, donandogli una logica a posteriori con
dialoghi di raccordo. Peccato che salvo un paio di intuizioni davvero geniali
il tutto suoni troppo, a fine visione, come già visto e sentito. Covenant è una
autocelebrazione della saga smaccatamente ruffiana con il demerito che dove
cerca, timidamente, una via alternativa non è in grado di giocarsela al meglio,
risultando piuttosto prevedibile. Questa "messa cantata", uno
stupido e ostinato ripetersi di topoi, schiaccia e deprime interpretazioni
anche molto buone, come quella di McBride o di Crudrup, e arriva a far
dimenticare in fretta anche le scene più valide. E ce ne sono. Si arriva quasi
a depotenziare quello che è davvero il punto più alto della produzione, il
confronto tanto intellettuale che fisico tra gli androidi interpretati da
Fassbender. E questo perché accade? Per l'ossessivo bisogno di riproporre
ciò che storicamente hanno amato i fan. Quante volte dovremo vedere le stesse
scene del primo Alien, della celebre spremitura del 1979, seppur in "salsa
diversa"? È un interrogativo legittimo anche se, ve lo confermo e
sottoscrivo subito, le scene con l'alieno sono realmente spettacolari,
sanguigne, imprevedibili, crude, da applauso a un qualsiasi gore-fest. Pure
cariche di geniali trucchi da humour nero, sexy. Però il film è sempre quello,
produttivamente vuole sempre quello: lo slasher spaziale per antonomasia,
il solito Crystal Lake / parco giochi del mostro dalla testa allungata, con il
suo carico di vittime sprovvedute da smembrare e spanciare (pure dalla
schiena, novità 2017...). Torniamo al classico "nello spazio nessuno può
sentirti urlare", con il suo animo da B-movie promosso in serie A per
meriti tecnici. Mancano le critiche di Cameron al machismo Reaganiano (Aliens), manca la pazzia associata ai luoghi di auto - isolamento (Alien 3),
mancano gli incubi legati al fatto di essere diventati creature intercambiabili
(Alien - la clonazione). Manca la voglia di "osare di più", la
voglia di spingersi dall'ottica distruttiva a quella creazionista che il
pur pasticciato Prometheus possedeva, se non ridotta a un paio di belle scene (soprattutto i confronti David - Walter). Non si può partire a cannone con la
scena iniziale e liquidare il confronto tra intelligenze artificiali per
ridurre il 75% del resto del film al solito nascondino già visto e rivisto.
L'idea, "brutta", è che si è volto chiudere velocemente la
"pratica Prometheus" (ed è fatto un po' goffamente) per andare
a fotocopiare in fretta e furia e minutaggio insufficiente, l'Alien del '79. Ma
in quanto a fruizione "alimentare" della pellicola, facendo una
rapida conta degli squartamenti e delle azioni più cool, io, da fan, sto
già aspettando l'home video e il nuovo capitolo. Se a Prometheus chiedevate più
azione, qui ce n'è a badilate. Se volevate sapere qualcosa di più sugli
Ingegneri, qui si trovano comunque stimoli nuovi (che sicuro saranno espansi
nei prossimi capitoli). Se vi mancava una "gnocca in canotta" che affronti
alieni insettoidi, qui ne trovate una bella agguerrita. La trama è un po'
maldestra e stra-telefonata? Io ve l'ho detto... aspetto di guardarmelo con i
Pink Floyd a palla in cuffia. Perché visivamente è atomico, uno spettacolo
visivo che è quasi criminale perdersi.
- For
fans only? Inutile girarci troppo attorno, Alien: Covenant non è un capolavoro,
ma è comunque un film più che valido per intrattenere ed esaltare, visivamente
eccelso. È un film che può fare incazzare a prescindere in quanto non è l'Alien
che volevamo vedere (quello diretto da Blomkamp con Sigurney Weaver, Lance
Henricksen e Michael Bean), ma un Alien imposto da Scott al mondo (e
supinamente accettato da 20th Century Fox), frutto di un suo personale progetto
para-pensionistico di cui nessuno, neanche lui, sa i termini (un giorno si dice voglia farne un altro, poi cambia idea e ne vuole fare due, poi
ci ripensa e immagina già una esalogia). E la cosa fa infuriare soprattutto
perché "sembra" che le idee gli siano finite e voglia continuare a
girare in loop l'Alien del 1979. Però ragazzi, che classe! Visivamente Scott
quando deve parlare di Alieni o città piovose è ancora "gigantesco".
La scena dell'attacco alla capitale degli ingegneri (estesa rispetto al
prologo messo qui sopra) è soffocante. La "stanza dei giochi" di David
ha qualcosa di luciferino, alchemico (c'è pure una scena che richiama le
chimere di Full Metal Alchemist, davvero terribile). Lo scontro sulla navetta
da esplorazione, con l'equipaggio che preso dal panico letteralmente si ammazza
da solo, trasmette realmente paura. La scena del flauto con i dialoghi
sul potere creativo della musica è molto stimolante (i più insensibili non la
capiranno probabilmente, ma è un grave errore momento di condivisione e dialogo
tramite l'arte). Si poteva fare qualcosa di più per la scena della doccia forse
(io la volevo lunga tipo 10 minuti, da Scott mi aspettavo qualcosa di livello
della doccia di Psycho e ci sono rimasto male), come impostare un ultimo atto
ed epilogo meno prevedibile/ citazionista, più ritmato e più appagante (non
si avverte qui il senso di pericolo perché si intuisce ore prima, inoltre si ha
la sensazione di un arco narrativo potenzialmente vasto, ma che deve
essere sbrogliato e risolto in dieci minuti... non il massimo come resa finale). Il finale "urla" poi l'avvento di un nuovo capitolo, quando per me
poteva fare lo stesso restando più sottile e conclusivo. Dettagli. Se
esteticamente il livello di budella esposte rimane questo, comunque mi hanno
già comprato.
- Conclusioni: Molto bravi gli attori, con una Waterston interessante, un buon
McBride e un ispirato e istrionico Fassbender. Bella la colonna sonora, molto
riconoscibile e intensa. Ho finito gli aggettivi per esprimere quanto sia bello
da vedere, vuoi per fotografia, montaggio, effetti, scenografie e trucchi.
Quanto è bello visivamente? Un botto. Rimane il rammarico del deja vu di molte
scene, quasi imposto dall'azienda, di una trama lineare e senza troppi guizzi
e di un terzo atto stanco. Ma rimane un bel viaggio, suggestivo e crudo come si
conviene, confezionato ad arte da uno dei più grandi maestri d cinema di
sempre.
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