lunedì 1 luglio 2013

Saguaro

Fine di una ipotetica “stagione 1”



Chi è frequentatore di queste pagine da vecchia data forse ha letto della mia inaspettata passione per un fumetto Bonelli verso il quale in passato avrei riversato la stessa attenzione che in genere dedico all'andamento del campionato di hockey a rotelle argentino. Con la senescenza sempre più incipiente che favellare mi reca in codesto imbecille idioma, le mie attenzioni allo scaffale dei classici si sono fatte misteriosamente maggiori e, assurdo a dirsi, il grande Tex Willer ha fatto breccia nel mio cuore, colpa e merito della vagonata di morti ammazzati che miete a ogni numero, roba che Terminator è da “Cioè” (ma lo pubblicheranno ancora Cioè? Si vede che sono vecchio, vecchio dentro..). Tra tutti i morti ammazzati vestiti per lo più con camicie da boscaiolo e sombrero, l'occhio per forza di cose ha iniziato a cadere sui paesaggi, sulle immense praterie, i canyon, elargendomi manate e manate di suggestioni country. Io ora se non mangio almeno una volta al mese in qualche catena pseudo-western una bistecca alla brace sono in grado di fare una strage e se mi parlate di indiani americani non mi addormento, ma anzi rispondo più o meno con cognizione di causa, per lo più citando i Litfiba ma che volete farci, è una passione che sto sviluppando ancora da poco e a mettermi a leggere Braschi per ora ancora non ci penso. Credo che appenderò un poster di Toro Seduto prima o poi, per dare un tocco di stile allo studio. In questo mood mi è quindi capitato grande cactus, cioè Saguaro: western metropolitano anni '70 con reminiscenze di film dell'epoca, protagonista un indianone grosso e cattivo e pure reduce del Vietnam. Folgorazione. 
Pochi anni or sono detestavo tutte le frangette, bandanine, scarpettine di cuoio e capelli hippy. Odio tuttora incondizionatamente L'ultimo dei Mohicani e il suo bolsissimo attore. Ho abbandonato Magico Vento per sopraggiunta demolizione testicolare causata da mille inutilissimi dettagli sulla vita indiana e su una trama che si prometteva fantasy ma paccava clamorosamente sulla lunga distanza. Ho sempre considerato T.Hawk il personaggio di Street Fighters più lento e sfigato di tutti i tempi. Ma adoro Saguaro. Non quanto Tiger jack ma quasi. Una idea vincente è stata quella di sviluppare la storia finora narrata come un unico affresco, una trama unica con varie sotto-trame a caratterizzare i singoli episodi. È dal numero 1 che sappiamo che il piccolo e insopportabile Phelipe... o Miguel... o Cicinho... insomma, il foçççto e palloso pupetto messicano doveva andare a deporre ad un processo contro un pezzo grosso della mala locale. Finora non sapevamo l'assurda dovizia di dettagli che conosceva in merito il piccolo fetente, così precisi da far pensare che sia lui la mente criminale dietro a tutto. Grande Cactus ha avuto tra i piedi la piccola palla messicana per quasi tutte le storie, ma da grande uomo come solo pochi riescono a esserlo nella narrativa Bonelli, ha sempre trovato il tempo per sbattersene, abbandonarlo in autostrada, rifilarlo a bande di spacciatori, vendere al mercato nero i suoi piccoli organi. E il piccolo non cedeva mai, con il suo amore deviato per i pettorali navajo. Mai visto un simile attaccamento bonelliano dai tempi della fidanzata di martin Mystère, la bionda anni ottanta che il nostro puntualmente cornifica a ogni numero speciale con la solita ballerina di lap dance svampita. Ma Saguaro nulla, non ci gioca manco a biglie e in un numero cerca quasi di farlo assassinare da dei sicari (io sono certissimo che lo abbia fatto apposta a prendere quel treno, così come a smerdare gli eventi per rendere il piccolo bastardo più visibile possibile agli occhi dei cecchini). 
Del resto lo stesso padre di Marcellino... Phelipe... Ignatio o quello che è, appena ha potuto ha venduto il pargolo a degli spacciatori, motivo per il quale ora è diventato grande amico di Saguaro. Capitolo moccioso a parte, Saguaro si dimostra un vero duro, non semplicemente uno che prima picchia e poi pensa , ma uno che prima picchia e poi picchia. Amici, nemici, comprimari, animali di passaggio lui pensa male, si comporta male e picchia di brutto chiunque gli capiti a tiro, spesso senza neanche un perché. Hai voglia a contestualizzare, a dire “il razzismo è nell'aria”, Saguaro è un tipaccio molesto alla Lobo che entra negli edifici, compreso il suo ufficio, spaccando la porta a calci. I suoi migliori amici sono di fatto vittime predestinate che cercano di rabbonirlo perché sanno che presto o tardi quel tavolo in mogano arriverà contro la loro testa. Ma una donna ha il cuore che batte solo per Saguaro. É Kay e si veste come una monaca di clausura perché sa che il nostro se anche solo le vedesse una spallina discendere la spalla partirebbe con lo stupro pubblico. Per Kay Saguaro nasconde un cuore di panna... no questa la cambio o sono soggetto a visto censura. Per Kay Saguaro nasconde un cuore tormentato, lui stesso le ha raccontato che nei suoi sogni suo padre, un bianco, fa fuori in una specie di rievocazione storica, tutti gli indiani della terra e anche lui si sente un po' così. Lei sa che può cambiarlo. Ci sono gruppi di preghiera per la sorte di Kay su molti forum della Bonelli. Ma Grande Cactus non è solo al mondo, nessun uomo è un'isola, scriveva qualcuno. 

E così ecco Cobra Ray, il suo amico commilitone dei tempi del Vietnam, uomo che Saguaro ha quasi arso vivo. La trama farebbe intendere che fosse una reazione alle brutalità di Ray nei confronti dei contadini Vietcong indifesi, l'analisi più accurata del carattere di Saguaro fa intendere che il nostro, che quando gli girano non capisce più nulla, l'abbia brasato per noia. Cobra Ray è un assassino spietato dall'indubbio carisma, con il viso sfigurato dalla bocca in giù, ma rispetto a Saguaro è quasi l'eroe morale del fumetto: ha una trama distrutta alle spalle, una famiglia che ama, ma da cui non può tornare, fa fuori i cattivi, cosa che in genere i buoni non fanno, e anche per questo ci piace. Stagione 1 finita. Da agente dell'Fbi, sezione mediazione culturale armata con i nativi, Saguaro ora si trova ricercato per un crimine che non ha commesso, ma che per come si muove di solito il nostro nessuno dubita abbia commesso, la stessa madre se ci fosse la penserebbe così. Tiriamo le somme. A scanso di equivoci, Saguaro è un fumetto che merita, e molto. Non è esattamente così estremo come l'ho descritto (per amore di cazzeggio), ma è sicuramente un'opera originale, ben scritta e dal ritmo incalzante con il merito di fare qualcosa che poco spesso in Italia si vede, Ratman a parte: sviluppa i personaggi. Non è qualità da poco, Saguaro “cresce” di numero in numero, ma essendo un uomo complesso e complicato non sempre prende la strada giusta, non sempre ha la mira perfetta, non sempre comprende al volo la situazione e i pericoli. È fallibile. Anche sul lato sentimentale, devono pesargli quelle mani perennemente sporche di sangue, al punto da essere quasi anaffettivo, da tenersi alle distanza da chi potrebbe provare nei suoi confronti un qualsiasi sentimento. Un personaggio quindi tragico, probabilmente con un destino segnato, che si eleva a simbolo di un popolo sempre più in via di estinzione, ai margini, costretto nelle riserve e in gran parte vittima (negli anni '70) di alcool e gioco d'azzardo, spesso delinquente per necessità. 

Oggi le cose stanno cambiando e in meglio, ma all'epoca era davvero tragica per i nativi. Con un background così sviluppato sono scaturite storie molto interessanti, purtroppo agli inizi non benedette da disegni di elevatissimo livello. Tavole abbozzate, prospettive fasulle che sono però solo un ricordo ora che tutto fila e tanti validi disegnatori si avvicendano mensilmente. Non per fare il cinico, ma dalle premesse non credevo che saremmo arrivato fin qua, che io avrei continuato fin qua la lettura. E invece Saguaro è uno dei momenti più belli delle mie letture mensili, un'oretta felice prima di gustare un controfiletto al sangue. 
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