lunedì 27 febbraio 2023

Kill me if you can: la nostra recensione del documentario di Alex Infascelli sulla incredibile storia vera di Raffaele Minichiello, l’uomo che ha ispirato Rambo e ha compiuto il primo dirottamento aereo transoceanico

 


Raffaele Minichiello, nato a Melito Irpino nel 1949, dopo il terremoto del 1962 che gli ha distrutto la casa è andato a vivere in America con la sua famiglia, a Seattle. Dopo un primo momento di difficile integrazione, Raffaele decide di servire in prima persona il suo nuovo Paese e  a 17 anni e mezzo, con il consenso firmato dai genitori, entra prima a far parte del corpo dei Marines e subito dopo viene spedito come militare scelto in Vietnam.

È un ragazzo di buon cuore ed è molto amato e apprezzato dai suoi commilitoni, anche per l’alta preparazione tattica e militare. È il soldato modello con cui scendere in campo, sicuri che ti coprirà le spalle e riporterà tutti a casa. Sul suo elmetto non è scritto il nome della fidanzata, ma una frase  c’è che è autentica sfida al nemico: “Kill me if you can”.

Ma gli orrori della guerra in breve tempo lo cambiano profondamente e in solo pochi mesi. Dopo aver sviluppato una sempre più forte “indifferenza” davanti alla morte ed essere diventato inconsapevolmente un assassino spietato che affronta ogni missione a testa bassa, Raffaele si trova un giorno, incredulo, a costruire delle sculture con le ossa dei cadaveri. Qui inizia ad avere una crisi di coscienza su quello che sta facendo. A 19 anni ritorna in America con la medaglia al valore militare di Saigon, ma non c’è per lui una accoglienza da eroe. L’America è in larga parte contraria al Vietnam e per una curiosa forma di ipocrisia ha sviluppato odio anche nei confronti dei soldati, che sono le principali vittime americane del conflitto. Raffaele torna dopo essersi reso conto di essere diventato un “mostro” e si sente abbandonato dalla gente e in qualche modo anche “truffato” dall’esercito, quando lo Stato decide di non pagarlo interamente per i suoi due anni passati a combattere. Compie una bravata per cercare di riavere la parte mancante e in qualche modo “vendicarsi”. Forza una porta di notte per rubare i soldi dalla cassa dello spaccio militare, ma ubriaco si addormenta lì fino al giorno dopo, quando viene trovato. Dopo dieci giorni di cella, con un caos indescrivibile nella testa, si arma e decide di dirottare un aereo per tornare in Italia. È un evento che fa il giro di tutti i notiziari del mondo, che subito si interrogano sulla stranezza del gesto e sui modi perentori ma inconsuetamente “gentili” del dirottatore. Il dirottamento dopo molte fasi di tensione riesce, facendo entrare Raffaele nella storia e portandolo dopo pochi anni di prigione a una nuova fase della sua vita. Una fase in cui per la sua avvenenza e per l’animo gentile diventa quasi una star del cinema, poi un particolarissimo barista e poi benzinaio i cui clienti principali sono ambasciate straniere presenti a Roma. In parallelo dando voce a una passione nata sotto le armi diventa un esperto e istruttore di elicotteri, poi a seguito di un forte lutto vive una fase spirituale che lo vede diventare un uomo di fede. Una persona molto amata che per le cronache si sarebbe trovata spesso al centro, se non “a pochi metri di distanza”, di alcuni dei più importanti fatti politici e di costume della storia italiana romana degli anni '70 e '80.  Una vita troppo grande e curiosa per non essere raccontata, che ha ispirato libri, film e ora un documentario diretto da Alex Infascelli in cui Minichiello racconta i fatti di persona, con la sua voce e il suo volto non troppo scalfito dal passare degli anni, insieme alle numerose testimonianze delle persone che lo hanno conosciuto.


Alex Infascelli esordisce al cinema come autore di thriller molto riusciti tra cui Almost Blue (1994) e Il siero della Vanità (2004). Sviluppa serie tv intriganti come Donne Assassine (2008) e Nel nome del male (2009), ma conta anche una lunghissima e sfaccettata carriera da musicista, autore tv e  regista di videoclip che prosegue con successo dal 1993. Di recente è anche scrittore. Gradualmente, si è innamorato del genere documentario. È una passione che lui stesso racconta cresciuta nel tempo dall’esperienza televisiva per MTV, durante la conduzione di Brand:New nel 2006. In quel periodo ha potuto incontrare e parlare con delle persone straordinarie quanto uniche, con alle spalle delle vite anche più incredibili di quelle che si potrebbe avere la fantasia di scrivere per un film. Vite che era interessante raccontare anche attingendo alle fonti ufficiali, attraverso la ricerca di materiali di archivio e l’ausilio di giornalisti e investigatori privati (per poter ritrovare magari delle persone del passato di cui non si ha notizia da molto tempo), in una costruzione narrativa spesso unica e eccitante, in quanto figlia delle sfaccettature sempre uniche che gli potevano offrire i materiali ritrovati. Come frutto di questa esperienza è nato nel 2015 lo strepitoso S is for Stanley - Trent’anni dietro al volante per Stanley Kubrick, sulla vita dell’autista personale del grande regista, Emilio D’Alessandro:  una pellicola che vinse il David di Donatello nel 2016 come migliore documentario. Infascelli rilanciò nel 2021 con Mi chiamo Francesco, sulla vita del calciatore Francesco Totti e rilancia oggi con questo Kill me if you can, sulla vita di Raffaele Minichiello, seguendo sempre lo stesso stile meticoloso quanto “dinamico” di presentare i fatti. Fatti in questo caso in parte elaborati da quanto raccontato nel libro Il Marine - storia di Raffaele Minichiello di Pierluigi Vercesi, ma poi arricchiti dalla incredibile mole di documenti e video relativi al dirottamento recuperato dalle Università americane, dal materiale riguardante una “vita romana” molto descritta in rotocalchi e interviste d’epoca (molte dall’Archivio Rai) e da numerose nuove interviste. Infascelli ha ricercato i reduci del Vietnam commilitoni di Minichiello, le hostess e piloti del volo dirottato, ha parlato con giornalisti che hanno scritto articoli e libri sui di lui, ha trovato molti contatti con amici e parenti del protagonista. Un meticoloso lavoro che su schermo offre di Minichiello un “quadro umano” estremamente variegato, con una vita che ogni tanto viene descritta come il film Rambo, ogni tanto assume toni simili a un capitolo della serie Airport, ogni tanto diventa una fellinala La Dolce Vita e in alcuni casi ha pure il sapore di un poliziottesco anni ‘70. A ogni passaggio Infascelli cerca di mutare anche il linguaggio visivo e narrativo, adattandosi ai colori e stati d’animo di ogni epoca, spostandosi fluidamente dai toni del dramma all’action, dai toni del film più “politico” al registro romantico. Minichiello ci viene descritto come ragazzo, uomo, soldato, imprenditore di se stesso, marito e padre, cercando di farci decifrare un volto che quando è in primo piano nel racconto rimane sempre composto, enigmatico e forse timido. Al termine della visione le domande su questo strano Marine irpino quasi si moltiplicano, nella sensazione che ci sia ancora moltissimo da raccontare sulla vita di questa persona. Domande che magari saranno approfondite da altre opere future, considerando anche la mole di materiale che Infascelli ha raccolto e non utilizzato per questioni di sintesi. Potrebbe essere anche una serie tv.


Kill me if you can è un documentario che descrive una sorprendente storia umana “bigger than life”, in grado di sorprendere e commuovere grazie alla grande cura con cui è realizzata in ogni sua parte. Attraverso un montaggio veloce e una narrazione molto ricca e cinematografica, i novanta minuti della pellicola scorrono in modo davvero piacevole, incuriosendo e sollecitando lo spettatore a saperne di più sul mondo con cui Minichiello è entrato in contatto. Una pellicola fatta con passione che conferma il talento di Infascelli nel raccontare attraverso il cinema la vita di persone con esperienze fuori dal comune. 

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