venerdì 8 aprile 2022

Spider-Man - no way home - la nostra recensione “presa con calma”

(Premessa) Ormai in sala avete visto tutti il nuovo film di Spider-Man o siete comunque stati colpiti nel cuore della notte dagli spoiler sulla trama, a tradimento, aprendo internet su una pagina qualsiasi in cerca dei buoni sconto di Esselunga. Quindi pace, quello che accade di “misterioso” nella pellicola è ora un po’ il segreto di pulcinella e qui ne parleremo pur allusivamente senza pietà, magari tacendo sulla scena da cinepanettone dei  titoli di coda con Venom ubriaco. 

(Sinossi fatta male) - Peter (Tom Holland), il nostro amichevole uomo ragno di quartiere, è stato infamato e smascherato pubblicamente da Mysterio (Jake Gyllenhaal) e ora tutto il mondo conosce la sua identità segreta. La sua vita è fregata, a partire da una lettera dell’Università che lo ha scartato, a lui e ai suoi amici “complici”, proprio per quel suo hobby strano di fare il supereroe. L’unica soluzione possibile sembra andare dal suo nuovo superamico, lo stregone fighetto Dottor Strange (Benedict Cumberbatch), perché si inventi qualche magia fighetta che riavvolga il tempo o faccia scordare a tutti la sua identità o riporti in vita Mysterio perché neghi tutto o roba simile. Il buon mago supremo del Marvel Universe ha giusto pronto un incantesimo che permette la cancellazione dalla memoria collettiva, pronto a essere pronunciato con parole fighette tutte dorate di una lingua sconosciuta che si imprimono nell’aria, facendo in modo che solo alcune persone ricordino, ma il nostro arrampica-muri è agitato e manda in pappa la concentrazione dello stregone durante il rito. Il risultato è che iniziano ad arrivare da altre dimensioni dei villain che conoscevano il massimo segreto: “Che Peter Parker era Spider-Man”. Come sarà possibile aggiustare le cose?

Si potranno rimandare indietro tutti questi uomini-polpo, uomini-sabbia, uomini-lucertola ecc. senza problemi aprendo nuovi portali inter-dimensionali? Oppure sarà preferibile magari prima provare, in tre comodi giorni, a curare sti tizi fisicamente e spiritualmente per poi affidarli ai sevizi sociali per un reinserimento mirato nella società? Quale delle due soluzioni sarà la più fantasiosa? 



(giusto “due parole” per contestualizzare, se volete andare al succo del film senza questo prolisso ed evitabilissimo approfondimento passate senza indugio al capitolo successivo della recensione) - Spider-Man è un’icona e il cinema ha sempre cercato di corteggiarlo, anche se in passato sembrava un sogno tecnologicamente impossibile vederlo “in carne ed ossa”, fluttuare tra i palazzi, in un film “fatto bene”. Servivano modellini in stop-motion ultra-rifiniti che da soli necessitavano mesi e mesi di test e rifiniture. Servivano telecamere che non pesassero svariate tonnellate e fossero veloci, servivano stunt-man pazzeschi in grado di lanciarsi suo vuoto. Costava comunque troppo. Nel 1977 la Charles Fries Production aveva cercato di provare “qualcosa in controtendenza” e con il budget di un menù medio di McDonald’s, che bastava per assoldare un mimo e colorare un paio di scenografie in falsa prospettiva, aveva dato vita a qualcosa di davvero straniante, grottesco. “Ci avevano provato”, male, confermando la in-riproducibilità in live action dell’eroe di bandiera della Marvel. Ma il cinema si nutre di sfide, così uno degli uomini che più si è battuto per innalzare la tecnologia visiva nel cinema, James Cameron, si appassionò al progetto (si dice) mentre stava iniziando a pasticciare con gli effetti speciali digitali per Abyss. Cameron migliorò il suo “standard accettabile” di computer grafica con Terminator 2 e iniziò a dare forma ad un trattamento imponente per Spider-Man, dalla pianificazione degli effetti visivi fino ad uno sviluppo più “scientificamente corretto” del personaggio originale, seguendo basi scientifiche ibrido-biologiche per rendere plausibile che l’eroe lanciasse ragnatele “organiche”. “Roba da James Cameron” insomma, con il passo successivo che avrebbe comportato la creazione di un reale clone uomo-ragno in provetta da usare come Stunt-Man per integrare meglio la computer grafica, ma poi il buon James “finì sul Titanic”, dimenticandosi del mondo per costruire super telecamere per reggere la pressione oceanica e reali mini-sommergibili-con-arti-robot per esplorare il relitto del vero Titanic. Questo lo avrebbe portato lontano da ogni altra cosa fino al 2009, anno di Avatar, per poi farlo scomparire fino ai giorni nostri. Immagino lo rivedremo tra un paio di anni, dopo che con l’esplorazione spaziale avrà trovato un pianeta abbastanza convincente per girarci Avatar 2. Nel mentre, un regista spericolato e low-budget amato per delle amabili cafonate splatter come Sam Raimi si avvicinò alla causa dell’uomo ragno. I suoi progetti non costavano quanto il pil di una nazione e lui aveva già creato nel 1990, con due lire e Liam Neeson, un magnifico cine-fumetto come Darkman. A solo un anno dal Batman di Tim Burton e con lo stesso compositore delle musiche, Danny Elfman. Se James Cameron prima di girare avrebbe aspettato che la scienza (con il contributo di una sua personale ricerca) creasse un vero mutante uomo-aracnide da usare da stunt-man/cameraman, per Raimi per avere “più o meno” lo stesso risultato visivo bastava conoscere la “grammatica” dei fumetti in fatto di inquadrature e narrativa (dalle frasi ad effetto alle “splash page”) e alla bisogna, giusto per l’effettistica del “volo con le ragnatele”, si poteva legare “come sempre” (come aveva fatto per La casa) una telecamera a una corda, lanciandola poi a caso nel vuoto dalla cima di un palazzo o facendola trascinare da una moto. Qualcosa con un po’ di fortuna si sarebbe ripreso, che tanto poi si aggiustava in post produzione. Se ogni tanto Willem Dafoe sembrava poi Rita Replusa dei Power Rangers si poteva spacciare la cosa come “citazione camp”. Il fatto che il produttore del film fosse il colosso della tecnologia Sony gli permetteva di rompere qualche decina di telecamere extra come sacrificio necessario per la settima arte. E poi ai giapponesi piacevano i Power Rangers. Iperboli surreali a parte, Raimi, cresciuto a fumetti, film Hammer e fantasy in stop motion con i mostri di Ray Harryhausen, ci teneva tanto al cinema di genere. Dopo aver realizzato dei film-fumetto (all’epoca non si diceva ancora cinecomics) come Darkman e L’armata delle tenebre e dopo aver riportato il Fantasy muscolare in tv, con Hercules e Xena, si preparava a tradurre su schermo il “suo” amato Uomo Ragno, quello che amava da ragazzo, disegnato da Steve Ditko e scritto da Stan Lee. Un Peter Parker con i brufoli, ragazzino, timido, bruttarello e sfigato, ma in grado di fare la differenza come supereroe e giovane scienziato. Per Raimi l’iconografia di quelle storie era sacra al punto che non era importante che in un film del 2000 e passa si potessero trovare ancora banche con nelle casseforti i soldi raccolti in sacchetti con il segno del dollaro sopra, come nel deposito di Paperone. Se Ditko disegnava negli anni '60 uno scontro specifico tra Spider-Man e Doc Ock a “sacchettate di dollari” al posto di palle di neve, quella scena funzionava ancora oggi e andava riprodotta. Erano anzi carichi di “simbolismo” e veniva meglio che sostituire i sacchi di Paperone con degli sportelli del bancomat. È interessante che per interpretare Peter Parker venne scelto proprio il timido e lunare Tobey Maguire, attore minuto e gentile che agli inizi del 2000 avrebbe diviso lo schermo con uno sconclusionato e “stunned” Robert Downey Jr, il futuro Iron Man (e futuro Sherlock Holmes per Guy Richie) in un piccolo film di Curtis Hanson con protagonista Michael Douglas: Wonder Boys.



Qualcuno se lo ricorda ancora, quel primo trailer di Spider-Man uscito nell’estate del 2001, con un elicottero che veniva fermato da una ragnatela di Spider-Man che legava le due Torri Gemelle di New York. Dopo gli attacchi dell’11 settembre quella scena colossale è stata rimossa dalla produzione  e la pellicola ha avuto il via libera nelle sale solo nel 2002. Grande successo, merito della produzione, di Maguire ma anche di un villain perfetto come Willem Dafoe in una parte un po’ da Rita Repulsa: lo scienziato pazzo Osborn che diventerà Green Goblin. Nel 2004 fu un grande successo anche Spider-Man 2, per merito anche di un villain perfetto e assolutamente “alla Ditko” come Alfred Molina: lo scienziato pazzo Octavius, che diventerà l’uomo-polpo Doc Ock in una scena a base di motoseghe davvero vicina agli horror splatter di Raimi. Molina e Dafoe davano corpo a personaggi che potevano essere la “proiezione futura” di Peter Parker da adulto come possibile “nuovo Dottor Frankenstein” dello stesso terzetto di mad doctor. Con entrambi i “colleghi scienziati”, che tra una scazzottata in costume e due o tre momenti di delirio megalomane, finivano per costruire con il protagonista un interessante legame di stima o rivalità se non quasi di stampo paterno. Un legame che invece non si è instaurato e non si poteva instaurare con i villain del terzo Spider-Man, quello del 2007, sempre per la regia di Raimi. Dopo il Goblin e Doc Ock, Raimi puntava a Sandman, scegliendo come suo interprete il bravo Thomas Haden Church. Sandman era più il mostro di Frankenstein che il dottor Frankenstein ma era al contempo una creatura enorme, un super effetto speciale continuo e studiato nei dettagli quanto meravigliosamente “vintage”, proprio pure lui dell’era Ditko, che rievocava creature classiche e ancestrali dell’immaginario come il Golem e il Blob. La storia di Sandman si mescolava al meglio con il percorso di Harry Osborn, amico di Peter interpretato da James Franco che nel terzo capitolo si apprestava a diventare anche lui villain e tutto aveva un equilibrio. Ma poi la produzione decise che Sandman e Osborn jr non bastavano più al “pacchetto” e imposero anche la presenza di un terzo villain, Venom. Venom era una “esigenza aziendale” e decisamente fuori dalle corde di Raimi, anche perché figlio di un ciclo di Spider-Man di fine anni ‘80 rivolto ad un pubblico diverso e con protagonista uno Spider-Man anni luce da quello di Ditko che impersonava bene Maguire. Era un Peter Parker di colpo bello, aitante e già professore universitario, Avenger, con alle spalle anche dei drammi mica da ridere (come la storia di Gwen Stacy). Un uomo già adulto e complicato che stava avendo anche come supereroe una mezza sbandata da vigilante rabbioso “all dark”. Una svolta emotiva che era poi la linfa con cui avrebbe compreso e portato alla luce quel suo lato oscuro che avrebbe preso forma in Venom. Venom che concettualmente, prima di essere un alieno, è una  “maschera nichilista di Peter” che prende forma in un “costume di riserva”, nero, per sostituire momentaneamente  il costume classico colorato di rosso e blu, ridotto in pezzi (un po’ come i suoi ideali) durante il ciclo delle guerre segrete. Solo quando poi viene identificato questo simulacro nero come “la parte mostruosa di Peter” il costume “diventa altro”, visivamente ma anche narrativamente, che muta fino a che lui lo espelle. Diventa il simbionte (un po’ come Il grande mago piccolo che espelle junior in Dragon Ball): massa senziente di muscoli e fluidi allungabili, piena di denti e voglia di mangiare carne umana. Una creatura aliena dal poter immenso che finisce per calzare a pennello ad un eroe come Eddie Brock, uno che non ha tanti problemi a prendersi tante responsabilità (per parafrasare una frase a caso). Venom nasce come espressione del karma cattivo e ha un design e brame da mostro di un film horror. Ma ha la tragicità di finire per essere l’antieroe di un fumetto destinato sostanzialmente ai bambini, diventando presto un personaggio buffo-grottesco e sopra le righe stile il “Tazmania” di Warner Bros dei Looney Toons. Un amabile frescone che subito amarono proprio i bambini, con tutto il discorso dell’identità karmika che andò presto in soffitta in favore di un generico patentino da “alieno cattivo ma spiritoso”. Al cinema andava semplificato, introdotto senza la storia del costume di riserva, le guerre segrete, Peter Parker docente con la crisi del vigilante e tutto il resto. Non riuscì benissimo. Quel corpo su carta ipertrofico e carico di denti, “scolpito” da Todd McFarlane come una sorta di Hulk “alternativo”, si riduceva al cinema, per un problema anche di credibilità degli effetti speciali dell’epoca, a una timida tutina nera con due sflilaccetti “senzienti” e un paio di dentini (non che il Venom recente di Tom Hardy sia fatto bene, servono ancora ulteriori passi nella computer grafica del 2022 per avere un Venom decente). C’era l’uomo di sabbia, c’era Osborn Jr e c’era questo Venom che non avendo il tempo di essere sviluppato a dovere doveva cadere letteralmente dal cielo, “come uno… nero”, senza un background serio, sostanzialmente perché “piaceva ai bambini”. Raimi ci provò comunque e Maguire fu molto devoto alla causa aziendale, a costo di auto-parodiarsi per rendere “”””plausibile””” tutto il discorso di Venom. 


Non fu un auto-goal, anche perché il terzo Spider-Man vendette tantissimo, tipo 900 milioni al botteghino, ma il senso di confusione generale bloccò la saga cinematografica per un paio di anni, fino a un nuovo re-start generale sotto la regia di Marc Webb e con interprete Andrew Garfield. Il cambio di regia e narrativa ha tuttora tratti misteriosi, perfino inspiegabili come tutta la linea narrativa involuta dei genitori di Peter che lavoravano in segreto per il mad Doctor Osborn senior. Volevano ripartire e iniziavano a farlo complicando le cose invece che chiarendole, demandando molte risposte a film che non si sarebbero mai girati. Garfield è oggi nel 2022 un bravo attore di Musical, in Tick tick…Boom!, ma nel 2012 è un attore abbastanza tremendo, risibile in ogni sua interpretazione e che quindi ho amato veder torturare in modo orribile (purtroppo solo nella finzione cinematografica) in Silence di Martin Scorsese (naturalmente sto scherzano…forse). Totalmente inespressivo e con l’aria da bulletto, ha trovato però una buona sponda tra il pubblico femminile in quanto belloccio (la stessa fama immeritata di Orlando Bloom e Hayden Christensen ai loro esordi) e tra i fan di Spider-Man per una qualche naturale somiglianza fisionomica alla rappresentazione grafica del personaggio negli anni ‘80/‘90. Assomiglia un po’ allo Spider-Man delineato da Mike Zeck nella miniserie l’Ultima caccia di Kraven o a quello di Mark Bagley per la saga del clone. A tutti gli effetti poteva somigliare a “quello spider-Man” che aveva trovato come villain “karmico” Venom, perché Garfield aveva per lo meno quella “rabbia giusta negli occhi” che avrebbe sviluppato un ottimo Venom. Ma il destino non avrebbe permesso questo incontro-scontro. Questo attore-pacco veniva poi diretto da un regista-pacco e una produzione-pacco. Nessuno del gruppo che ha realizzato “Amazing” aveva mai letto o gli fregava del fumetto di Spider-Man, e si vede! L’approccio visivo sfruttava il meglio della computer grafica del 2012 ma con zero inventiva, uscendo  con le ossa completamente rotte dal confronto con gli effetti speciali inventivo-pionieristici-powerrangereschi usati 12 anni prima da Raimi. Il villain era lo scienziato pazzo Connors (Rhys Ifans, che oggi è al cinema interpretando uno strepitoso Rasputin in The King’s Man - le origini, davvero il clou della pellicola ), alias il coccodrillone Lizard e veniva reso del tutto diverso dalla controparte del fumetto, in cerca di un realismo da ibrido uomo-animale che però anche James Cameron non avrebbe mai approvato, perché “sbagliato alla base”. Connors nei fumetti appare come un coccodrillo-uomo, ossia come un coccodrillo con la faccia e mole di un coccodrillo con in più i muscoli di un uomo e gli abiti da scienziato pazzo, un po’ come uno Street-Sharks. Quello di Amazing è invece un Visitors. Un Visitors nudista. Sempre per fare dispetto a Cameron, Spider-Man ora non secerneva più ragnatele dalle mani ma usava un lancia-ragnatele “con mirino laser”, ma è il meno. La trama, tra il non richiesto spy movie in cui i genitori di Peter erano tipo degli agenti segreti al sevizio di Osborn e il nostro eroe che viveva il non richiesto “dramma del ragazzo difficile e skater” (ossia il classico bullo che avrebbe picchiato Peter Parker in un fumetto..) in cerca di approvazione sociale, era puro delirio. 


Poco “Amazing” per me. Il risultato finale fu un vero orrore, ma che incassò bene (perché ogni cosa che ha il nome Spider-Man sopra vende, anche oggi), al punto che fu messo in cantiere per uscire due anni dopo un Amazing Spider-Man 2. Come villain a questo giro si scelse lo scienziato pazzo Electro (Jamie Foxx), usando un approccio visivo nuovamente orribile e non fedele ai fumetti come quello usato per Lizard. Dal tizio con costume sgargiante che lancia fulmini, Electro viene ridotto a ustionato grave di colore blu. Ustionato grave e nudista. Quel polpettone senza senso della storia dei genitori-spie scomparsi proseguiva, si faceva largo il bruttissimo e svilente personaggio di Rinho di Paul Giamatti (sia per costume che per effetti speciali, battute e tempo su schermo), compariva Osborn Jr in modo poco funzionale, ma per lo meno non era nudo. Tuttavia al centro della narrazione c’era una delle storie a fumetti più famose, controverse e iconiche dell’uomo ragno. E qui non posso fare ironia, perché su questo aspetto ci presero in pieno e fecero davvero bene. Proprio per l’intensità emotiva di quella storia, valorizzata al meglio da una Emma Stone che di fatto è l’unica cosa “Amazing” di questa serie (no Garfield pure qui a recitare è un cagnaccio senza speranza) Amazing Spider-Man 2, nonostante tutto, funzionava proprio bene. Sapeva essere un film tenero, tragico, inaspettato, quasi horror. Un buon film che per il lato narrativo e recitativo si “faceva perdonare” tutto il resto, nemici nudi compresi. Ma non ebbe mai un seguito. Si parlava di un film su folle film tutto incentrato su Zia May. Si parlava di un eccitante film sui sinistri sei, che raccoglieva i principali nemici di Spider-Man e sarebbe stato diretto dal regista di Cabin in the Woods, Drew Goddard. Ma poi tutto si fermò senza che potessimo scoprire quale villain di Spider-Man avrebbe affrontato, ovviamente nudo, zia May. 

Poi il silenzio. Poi “fu Disney”. Poi fu l’inizio di un complicato rapporto tra Sony e Disney per lo sfruttamento di Spider-Man dentro il Marvel Cinematic Universe. 


Quando si fecero vedere i primi trailer di Captain America: Civil War, che sarebbe uscito nel 2016, stavamo per assistere alla nascita di un nuovo Spider-Man. Un tessi-ragnatele interpretato da Tom Holland, attore bravo e versatile (a differenza di Garfield che a stento lo distinguevi da una pianta) e che veniva messo subito a fianco dell’Iron Man di Robert Downey Jr. Dopo Osborn e Doc Ock inuovo scienziato - figura paterna - “anteprima  del futuro da adulto” del nuovo Uomo Ragno, sarebbe stato Tony Stark. Era uno Spider-Man “più piccolo” di quello di Garfield, sembrava l’arrampicamuri disegnato da Mark Bagley per la lunghissima e favolosa run di Ultimate Spider-Man scritta da Michael Brian Bendis, che di fatto voleva essere una reinterpretazione anni 2000 dello Spider-Man originale anni '60 di Ditko. Quello “Ultimate” (frutto principalmente del lavoro di autori come Millar, Ellis, Bandis) era l’universo narrativo che aveva inspirato il Marvel Cinematic Universe e anche lo Spider-Man Miles Morales, quello avrebbe ispirato l’ottimo film animato Sony diretto da Lord e Park Spider-Man: un nuovo universo, che nasceva proprio da una run di Ultimate Spiderman di Bendis successiva a quella disegnata da Bagley, caratterizzata graficamente da Ann Nocenti. In Civil War l’arrampicamuri, da subito per l’effettistica del 2016 realizzato visivamente in modo appropriato (opinione mia personale), con effetti speciali convincenti fin nei dettagli degli “occhi da ragno”, faceva giusto una particina ma ma era “già dentro” all’universo Marvel, con il primo film da solista, Spiderman: Home 
Homecoming diretto da Jon Watts in produzione. Un nuovo film solista che avrebbe parlato del suo rapporto con Iron-Man saltandoci tutta la parte della origin story, del “da un grande potere derivano grandi responsabilità”, zio Ben ecc. E andava benissimo così, perché questa storia classica la avevamo già sentita due volte in meno di 20 anni e di tutti i retroscena dei genitori di Garfield super spie non importava davvero a nessuno al mondo. Ancora una volta il villain era una specie di super scienziato, l’avvoltoio, interpretato (molto bene) da Michael Keaton e sarebbe stato una “specie di scienziato” pure il villain del film successivo, Spider-Man Far From Home, con l’attore Jake Gyllenhaal che si sarebbe trasformato in Mysterio. L’avvoltoio e Mysterio non sarebbero andati in giro nudi, ma in costumi più vicini ad Iron-Man. Perché il futuro dei cinecomics con sarebbe più stato appannaggio di villain nudisti. 

Ma proviamo per un attimo a legare tutto, dal primo film di Raimi allo Spider-Man del dicembre  2021. 


Di fatto tutti questi film sull’uomo ragno hanno avuto rimandi e punti nodali in comune, pur cambiando sceneggiatori, registi, interpreti. Peter incontra sempre una ragazza di nome Mary Jane: interpretata da Kristen Dunst nella saga di Raimi, interpretata da Shailene Woodley ma tagliata nel montaggio finale nei due “Amazing” con Garfield o interpretata da Zendaya nella saga corrente. Il nuovo Peter è ancora giovane ma potrebbe incontrare presto sul suo cammino una ragazza di nome Gwen Stacy, personaggio che era stato interpretato da Bryce Dallas Howard nella saga di Raimi, da Emma Stone in Amazing e di recente Hailee Steinfeld nei film animati con protagonista Miles Morales. Potrebbe avere un amico di nome Harry Osborn (già James Franco per Raimi o Dane DeHaan per Amazing), ha sempre un compagno di scuola un po’ spaccone di nome Flash Thompson (Joe Manganiello per Raimi, Chris Zylka per Amazing, Tony Revolori nella nuova saga) ha sicuramente una zia May (Rosemary Harris per Raimi o Sally Field per Amazing o Marisa Tomei nella nuova serie), un professore di scuola di nome Connors (Dylan Baker per Raimi, Rhyn Ifans in Amazing), può avere a che fare con un giornalista cinico con i baffi di nome J.Jonah Jameson (interpretato più volte per più Spider-Man dal solo e unico J.K. Simmons). E abbiamo parlato poco o niente o forse “fin troppo” di Venom (lo faremo altrove, parlando anche della possibilità dello “Scorpione”, visto nei titoli di coda di Home-Coming di usare il simbionte), non abbiamo parlato dei personaggi futuri (e già pluri-rimandati) come Morbius e Kraven e di tutto quello che potrebbe fare per lo spider-verso Nicolas Cage che ha interpretato e in futuro interpreterà “vocalmente” (nella saga di Tray e Park) ancora Spider-Noir. 

Sta di fatto che il personaggio di Connors viene introdotto nella saga di Raimi e “continua” nella saga di Amazing. Anche Gwen Stacy la conosciamo in Spider-Man 3 e diventa centrale in Amazing. Ci sono agganci anche tra Homecoming e Spider-Man un nuovo universo, come il personaggio di Prowler che compare nel primo (interpretato da Donald Glover) per poi svilupparsi nel secondo (interpretato da Mahershala Ali). E tutto risulta coerente e coesiste in una realtà dai molti multiversi, con questo Spider-Man no way home

Mettendo tutto insieme, Spider-Man è dal 2002 una saga con già 9 film propri, 3 film corali-condivisi (ho saltato i due Avengers contro Thanos), 1 film animato (presto 2), 2 film spin-off su Venom (presto 3). 14 film in 20 anni, che già diventano 15 (e presto 17) se alla saga aggiungiamo Morbius nelle sale in questi giorni. E questo ultimo film è niente meno che la celebrazione di tutto quanto accaduto finora, il fan film finale che raccoglie tutto, in termini di trama e personaggi in un unico caleidoscopio. Un mega tributo. Ma come è stato fatto alla fine, questo tributo? 

 


(il nuovo film in due parole) il nuovo film di Spider-Man con protagonista Tom Holland consolida il magnifico team artistico che ha caratterizzato la gestione dell’arrampicamuri di Jon Watts. Gli attori più giovani (Holland, Zendaya, Batalon e Revolori) sono affiatatissimi, Favreu e Marisa Tomei funzionano ancora molto bene e le guest star del Marvel Cinematic Universe, Cumberbatch e Wong, si integrano alla grande. A questa compagine già affiatata si aggiungono molti volti noti provenienti dalle passate pellicole di Spider-Man (come Jamie Foxx, Willem Dafoe, Alfred Molina e J.K. Simmons, senza rovinare “altre” sorprese ma che non si desumono dai trailer) ed è una vera sorpresa come questi vecchi personaggi riescano bene a essere riproposti oggi anche a un nuovo pubblico, che sicuramente correrà a recuperare tutti i “pezzi mancanti” della loro raccolta di film sull’uomo ragno dal 2002 a oggi. L’ampia coralità con cui si muove narrativamente la pellicola riesce a essere ben gestita e quasi ogni protagonista può godere di scene che lo mettano in luce, quanto di simpatici botta e risposta con il resto del gruppo. Ci sono molti momenti di “commozione generale” che trasformano la pellicola quasi in un film natalizio, come sono frequenti scene d’azione gigantesche ricche di effetti speciali e che fanno sentire tutti sulle montagne russe. Non manca a tutto questo spettacolo  l’ironia, un po’ innaffiata ovunque, ma Watts ha anche la capacità di portarci di colpo in territori ben diversi, tragici, non esitando nel giocare la carta della malinconia e con pure il coraggio estremo di “regalarci” un finale amarissimo, quasi crudele. Un finale che quasi ci porta a volere un po’ più bene al piccolo uomo ragno di quartiere e che rende l’esperienza finale davvero completa, appagante. 

 


(Conclusione) “Non si torna a casa” e si va avanti, verso l’infinito e oltre, appesi a una ragnatela tra i palazzi, sopra le strade di una New York che era fantastica ancora prima di incontrare gli Avengers. Sony con il suo arrampicanuri dichiara “Marvel c’est moi” e apre a un futuro “con sempre più Spider-Man”, in cui un multi-verso ormai sdoganato potrà dare luogo non solo a film su nuovi comprimari e nuove storie, ma anche a dei seguiti cinematografici delle storie di Raimi e Webb. Spider-Man no way home ha letteralmente sbancato il botteghino in poco meno di un mese, entrando pure in pandemia nella classifica dei film più visti di sempre, ma soprattutto ha eccitato i vecchi e nuovi fan a volerne ancora e ancora. Sul web partono petizioni per far incontrare in un multiverso il Venom di Tom Hardy con lo Spider-Man di Garfield e un paio di giorni fa Garfield risponde: “Pronto! Sto già in macchina con il costume. Dove si gira, a che ora?!”. Nel nuovo cartone animato su Miles Morales saranno co-protagonisti anche Spider-Gwen e la versione futuristica Spider-Man 2099 e noi già stiamo fibrillando all’idea di una serie tv in bianco e nero di trentamila puntate su Spider-Noir interpretato da Nicolas Cage. Non l’hanno ancora annunciata e non so se lo faranno mai, ma noi del blog vedremmo tutte le puntate di sicuro.

Non si può che dire “avanti così bravi tutti”, al netto di una prima mezz’ora che magari sa di melassa la missione è riuscita. Speriamo magari che tutti i soldi che frutta e frutterà il franchise permetteranno di portare su schermo anche un Venom meno surreale di quello attuale. Per me James Cameron è l’unico che potrebbe farlo bene, ricreandolo magari in laboratorio, e una volta tornato da Marte per le riprese di Avatar 2, chissà mai che renda il simbionte un personaggio interessante. 

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