giovedì 3 settembre 2020

L’impero dei cadaveri - il terzo e ultimo tassello dell’ Project Itoh, on-demand e già in home video, grazie ad Anime Factory


C’era una volte il “mad Doctor“ Victor Frankenstein (come narratoci da Mary Shelley nel suo celebre romanzo gotico), l’uomo che riuscì a riportare “qualcosa” dal regno dei morti, la creatura che fu chiamata “The One”. I suoi studi si erano concentrati nel trovare la risposta ai 21 grammi, il cosiddetto “peso dell’anima” che scomparirebbe dal corpo di un uomo dopo la dipartita. Frankenstein aveva trovato l’elemento “pseudo-spirituale”, una sostanza da inoculare direttamente nel midollo spinale, alla base del cranio (come in Matrix...) per compiere il miracolo, ma la creatura aveva perso il controllo, lo scienziato e i suoi appunti erano scomparsi nel nulla. Dopo 100 anni gli studi sono però continuati e i cadaveri hanno iniziato a popolare la terra. Cadaveri “con destinazione d’uso”. Soldati, servitori, a volte pure mezzi di trasporto e bombe mobili: tutto grazie a un palliativo semplificato ma ingegnoso del lavoro del geniale Barone sulla ricostruzione cerebrale, i “necroware”. Delle paleo-intelligenze artificiali “su disco”, speculari di un “incarico a vita”, a supplire alle ben più complesse attività cerebrali. Frankenstein sognava di rianimare l’uomo e renderlo libero dalla paura della morte, i suoi epigoni erano riusciti ad “assegnare dei compiti comportamentali” a una nuova categoria di inconsapevoli schiavi non-morti, a metà strada tra lo zombie e il cyborg, inserendo nei loro cervelli  delle “istruzioni prestabilite”. Il dottor Watson (come l’assistente di Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle... famoso anche per la sua passione per l’occulto), è riuscito a riportare in vita un suo compagno di università seguendo intuizioni simili a quelli che cento anni prima hanno ispirato Frankenstein. Lo ha chiamato Friday (come il Venerdì di Robinson Cruise di Daniel Dafoe, uno dei principali manifesti dell’uomo illuminista) e questo ha attirato l’attenzione del misterioso “M” (che fa eco a M di 007 come al doctor Moriarty, come dal capolavoro moderno The League of extraordinary gentlemen di Alan Moore) che lo ha scelto per una missione pericolosa in oriente, alla ricerca degli appunti perduti di Frankenstein, sulle tracce degli scienziati russi Karamazof (come i celebri fratelli dell’opera di Dostoevskij, che qui vivono in una “versione alternativa” di quel racconto”. 


Dotto nelle citazioni letterarie, raffinatissimo nella messa in scena carica di suggestioni esotiche (fantastiche le ambientazioni a Bombai o in Afganistan, oltre alla sontuosa ma già “sfruttata” Londra Vittoriana, in salsa amabilmente Steam-punk), accurato nella costruzione dei personaggi e del loro complesso mondo interiore, Il regno dei cadaveri è il canto del cigno, l’ultimo capolavoro letterario, dell’amato e straordinario Itoh. Lo studio Wit, noto di recente per l’ottima trasposizione animata di Attack on Titan di Hajime Isayama (salvo per la prossima e ultima stagione, assegnata allo studio Mappa), da qui il massimo nell’esprimere la stessa cifra malinconia, orrorifica e sfrenata per cui è famoso, dando all’opera il fascino di un colossal gotico senza però dimenticare il “fattore umano”, ciò che da sempre ossessiona i lavori di Itoh. Itoh che era gravemente malato mentre componeva quest’opera, che sarà pubblicata postuma (la completerà Toh Enjoe nel 2012, Itoh scomparve nel 2009) sicuro che non gli mancasse molto tempo e per questo ancora più malinconico, disperato e critico verso la società attuale. I zombi-cyborg-schiavi di Itoh sono creature “etichettate”, indistinte, masse in movimento lento e inesorabile verso un destino che qualcuno, in genere facente parte al “potere costituito” ha già scritto per loro. C’è però una speranza nel domani, più che in Organo Genocida e Harmony, Itoh vuole credere, anche sono per un attimo, che ci sia un aldilà, la possibilità di incontrare di nuovo un amico dopo la morte, la capacità degli uomini di superare i confini della scienza. Per questa “necessità di ottimismo” sceglie l’epoca vittoriana, il momento in cui la scienza ha davvero cambiato il corso della storia, si è mischiata a volte con la “magia”, farcendo l’opera di riferimenti a Jules Verne, Mary Shelley, Arthur Conan Doyle, Daniel Dafoe. C’è in più un goccio di Bram Stoker, addirittura una citazione a Dostoevskij, Goethe. Itoh non dimentica però, tra tante suggestioni e idee accattivanti, tra tante esplosioni e un finale quantomai “Otomico” (in piena adesione al dettato di Akira) di mettere in luce “il cuore” dei suoi personaggi, con garbo e struggente tenerezza. Friday è al centro di questo aspetto della narrazione. È un personaggio dall’aria assente, dalla voce stridula, con corporatura minuta e incedere goffo. Ci viene detto pochissimo di lui, anche la sua relazione con Watson non ci viene rivelata, rimane qualcosa di intimo ed inesplicabile. È un personaggio fragile, sempre sul punto di finire in frantumi, ma forse anche per questo così umano. È al contempo un personaggio dall’indole profondamente “orientale”, la cui linea narrativa ricorda il corto Going Home di Peter Chan, nel film collettivo Three del 2002. L’impero dei cadaveri diviene così prima di ogni cosa un film sulla necessità dell’amore, più che sulla paura di vivere. Regalandoci così l’ultima grande lezione di un maestro che come pochi ha saputo anticipare il futuro della tecnologia e della geopolitica: Pur in un mondo dominato da numeri e logica non c’è futuro senza la valorizzazione del fattore umano. 

Davvero un film ben realizzato, stimolante e da non perdere per tutti gli appassionati dell'animazione giapponese. 

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