lunedì 7 ottobre 2019

Non si può morire ballando: la nostra recensione



La vita è come una grande distesa di fiori di girasole, con al centro una lavatrice rotta. È questa la frase scritta da una mano ignota su un muro del silenzioso reparto di ortopedia dove da due mesi è ricoverato un cantante country (Salvatore Palombi). Un cantante che ha al collo un pendaglio raffigurante proprio un girasole, regalatogli dalla madre perché come il fiore lui riesca sempre a essere positivo, riesca a guardare la vita come quel fiore, sempre rivolto alla luce. Solo che il cantante non ha più molte speranze. Il male che lo affligge sembra incurabile e ogni minuto che passa è solo un'attesa futile dell'inevitabile epilogo. Non la pensa allo stesso modo suo fratello, di professione commercialista (Mauro Negri) , che ormai ogni giorno si reca al suo capezzale e cerca fiducioso dei riscontri positivi dal medico primario. Proprio per la sua incrollabile dedizione, due giovani medici praticanti gli parlano della fantomatica esistenza di una cura sperimentale, messa a punto da un medico che ora si occupa di fare il pescatore a tempo pieno. La terapia funzionerebbe se fosse possibile ricreare davanti al malato i momenti più felici della sua vita. Per questo il commercialista ingaggia degli attori che nella stanza di ospedale del fratello reciteranno per lui dal vivo gli attimi più belli che lui, complice la profonda tristezza che ora lo attanaglia, non riesce più nemmeno a immaginare. Avrà effetto la terapia? Riuscirà io cantante a vedere di nuovo il mondo come uno sterminato campo di fiori al posto di concentrare la sua attenzione solo su una lavatrice rotta? 


Andrea Castoldi è un regista e sceneggiatore interessante nel panorama degli autori indipendenti del cinema italiano. Il suo estro si concentra in pellicole piccole, girate con un budget limitato in un breve arco di giorni, ma riesce a immaginare sempre degli scenari grandiosi. In Ti si legge in faccia raccontava la tragicomica parabola di un disoccupato che come alternativa a una continua e infruttuosa ricerca di lavoro arriva sul punto di accettare di scrivere sulla sua fronte, come un meme vivente, la pubblicità di una società assicurativa. In Vista mare, tra un casolare e una piccola imbarcazone raccontava la distopia di una società italiana costretta per sopravvivere a immigrare in Albania. Idee fulminanti che Castoldi mette in scena in poco tempo, come urgenze creative, diventando con il tempo sempre più esperto nel massimizzare le poche risorse e i talenti coinvolti nella produzione. Così Salvatore Palombi e Mauro Negri per "diventare sul set fratelli", riuscendoci, hanno deciso di vivere per due settimane insieme, presso il set di una stanza offerta da una nuova ala in costruzione dell'ospedale di Lecco. Il piano terra della struttura ospedaliera si apre con un'ampia vetrata che però dà quasi l'impressione di essere una gabbia chiusa all'esterno, comunica un senso di claustrofobia. Stretti e angusti, qualche volta labirintici, solo i corridoi interni e piccola, colorata ma opprimente è la stanza dove si svolgono gran parte delle vicende, un luogo in cui si fa davvero fatica a muoversi, l'esatta metafora dell'oppressione emotiva che subisce il personaggio di Palombi. Vorrebbe essere "ganzo", vorrebbe snocciolare frasi ad effetto come Stefano Accorsi in Radio Freccia, ma è chiuso in quella stanza fisicamente e chiuso nella malattia mentalmente. Ed è allora che Negri, che pare un Alessandro Haber più giovane, giocando con malinconia e insospettati tempi comici "mette in scena" i momenti felici della vita del fratello. È qui che Castoldi vola più alto, arrivando dalle parti di Michel Gondry (L'arte della felicità, Eternal Sunshine of spotless mind, Be kind rewind), affidando al media-teatro/cinema il potere di far riconoscere i propri sentimenti a una persona che pensava di averli persi. Sono più attori a impersonare la vita del personaggio di Palombi. Se c'è da ambientare un ricordo al mare gli attori arriveranno in costume da bagno e sulla parete bianca della stanza di ospedale un proiettore illuminerà diapositive di una spiaggia assolata. Se lo scenario sarà autunnale e nebbioso, il commercialista interpretato da Negri aiuterà a ricreare l'atmosfera con una vaporella, un effetto speciale certo insufficiente ma tenero. C'è quell'occhio artigianale che ci rimanda a Be Kind Rewind ma ci sono anche i pieni ben piantati per terra e uno stile recitativo minimale, di stampo naturale quasi come un documentario. La malattia è un ingombro con cui non si scherza e la chiave sognante e positiva con cui il film cerca di contrastarla non vanno mai a eccedere e sminuire il dato reale. È un film che commuove, anche perché usa i gesti e un linguaggio che chi si è trovato al fianco di una persona malata ben conosce. Il rapporto tra i due fratelli sembra davvero ben concepito, intenso, peccato che il resto del cast non dia un'interpretazione ugualmente convincente e la pellicola qualche volta subisca dei cali di ritmo. La colonna sonora country scelta dal regista allo stesso modo tende a rallentare ulteriormente la fruizione generale, risultando per lo scrivente più malinconica che dinamica e allegra. La sensazione è che il film duri molto di più di quanto effettivamente duri, ma l'originalità della messa in scena e la bravura dei due attori principali offrono uno spettacolo gradevole e dimostrano come anche nelle produzioni low budget si possa oggi ancora trovare qualità. 
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