lunedì 29 febbraio 2016

Il caso Spotlight - un film fatto decisamente male su un argomento decisamente importante.


Il Boston Globe è uno dei giornali più fighi del pianeta e i suoi giornalisti sono tenuti in altissima considerazione in tutto il mondo. E quando si parla della sezione speciale di giornalismo investigativo del Globe, "Spotlight", non abbiamo più a che fare con incredibili/pazzeschi giornalisti, ma con autentici supereroi. Nessuno li conosce, tutti li temono perché tutti hanno la coscienza sporca, per le strade i cittadini innalzano uno "Spotlight-segnale" quando la situazione si fa più critica e il supergruppo interviene, più forte di 1000 Gabibbo e 100 Gabanelli, più mordace delle Iene, più pignolo ed estenuante di Travaglio, Vespa e Lerner messi insieme combinati in un super robot da inchiesta. Certo per attivare il super-super gruppo serve tempo, i nostri supereroi escono con un maxi-caso per volta per essere super-super certi della loro indagine, dalle fonti agli atti processuali, dalle interviste all'eco politica che l'inchiesta inevitabilmente scatenerà. Un giorno un cambio ai vertici del Globe fa arrivare a Boston un nuovo direttore, che decide di proporre a Spotlight un'inchiesta spinosissima. Pare ci siano in giro dei preti pedofili, ci siano da un sacco di tempo, stiano preoccupantemente aumentando e non ne parla nessuno. C'entrerà qualcosa il fatto che pure il Boston Globe ha un numero parecchio alto di lettori cattolici che non vorrebbero leggere notizie del genere? Possibile che un giornale di Boston non sia riuscito fino a quel momento a fotografare al meglio un problema così grave ed esponenziale di Boston al punto da non averne mai parlato? E la Chiesa come si rapporterebbe con i preti pedofili, cosa farebbe per arginare un fenomeno con dimensioni così vaste da entrare (secondo alcune teorie supportate da dati di osservazione clinica) quasi nel campo della patologia? Spotlight indaga, coinvolge avvocati, scova gruppi di sostegno di persone molestate, porta a galla "gente che sapeva", incappa in altri avvocati e tribunali pronti a insabbiare tutto per il quieto vivere e interesse personale. E affronta tutto e tutti con una penna che fa ben più male di una spada. Quello che ne è scaturito è Storia, anche se è una storia "troppo" scomoda che molti cercano di dimenticare prima ancora di iniziare a comprendere.

Per questo è importante che ci siano film che parlino di queste brutte pagine della Storia, perché l'essere umano tende a dimenticare rapidamente le cose e se la Storia è "sponsorizzata" pure da un film che vince agli Oscar magari qualcuno se la vede al cinema, a noleggio o in tv o in dvd anche se ignora di cosa parli la pellicola. E non è fantascienza, magari lo fosse.


L'inchiesta oltre che essere importante sul piano storico è pure intrigante nel modo in cui è stata condotta, per la catena di aiuti alle vittime di pedofilia che ne è conseguita, per i dibattiti con la Santa Sede che occupano ancora oggi i giornali (anche se non in prima pagina). E' una storia da conoscere, su questo non ci sono dubbi e la visione del film spinge spontaneamente a "volerne sapere di più". 
Il problema per me della pellicola, aspetto che la accomuna a tante altre pellicole basate su inchieste o biografie, è la messa in scena.
Andiamo oltre all'adagio "vero è bello". Un film deve funzionare anche e soprattutto come, banale e brutale, "finzione scenica". Gli attori devono sapermi coinvolgere nella vicenda narrata, darmi empatia, farmi commuovere o arrabbiare, farmi pensare sulla vita e gli affetti dei personaggi che interpretano. E qui non accade, come non accade in mille film per la tv con Michele Placido o Beppe Fiorello: la storia è vera e importante, la rappresentazione o "finzione cinematografica" non riesce a trasmettere molto al di là del compito ben svolto. E naturalmente se dici "certo che la recitazione  di Fiorello è sempre la stessa, brutta e piatta, anche in questo film sul magistrato xy"  c'è gente che ti carica di insulti perché è come se sputassi sulla tomba di un uomo eroico della nostra Storia. Insomma, distinguiamo Storia e rappresentazione, è difficile ma proviamoci. E quindi in cosa "sbaglia" la pellicola? 
Diciamo che è nel bene e nel male "solo" la massima rappresentazione della "Hybris" giornalistica... e poco altro. Come ironicamente sottolineato a inizio post, i protagonisti della pellicola (lasciamo da parte la Storia per un attimo, almeno "proviamoci"...) sono giornalisti - supereroi al cui passaggio le persone si comportano come all'arrivo di Batman in un film di Batman. C'è una scena con sventagliamento di tesserino giornalistico che mi è parsa pure uscita da Dick Tracy, con effetti involontariamente comici. E che poteri hanno i super-giornalisti? Il super - intuito, che rende loro possibile lo svolgimento di super - indagini che al contempo sono di matrice politico-sociale, clinica, giuridica e statistica. Non mangiano, non dormono, stanno nei loro spazietti due metri per due sommerso di carte e affrontano archivi polverosi incuranti degli acari, quando vanno allo stadio non si interessano della partita di baseball, mangiano hot-dog e ricordano alla perfezione tutti gli articoli usciti su tutti i quotidiani di Boston degli ultimi 40 anni, dalla pagina politica alla festa del cane, a memoria. C'è nel cast pure Mark Ruffalo e fa cose molto più straordinarie qui che quando interpreta Hulk. A capo del gruppo c'è ... mi viene Adam West, aspetta che controllo un attimo... si', c'è Michael Keaton... ho sbagliato di poco... Insomma sono attori dal passato di supereroi a supergiornalisti! Il dramma è che non se ne coglie differenza nella recitazione. E per via del super-intuito parlano, parlano, parlano, parlano, parlano. E parlano sono dell'inchiesta dei preti pedofili, ovunque, anche mentre sono a casa con i parenti, anche mentre sorseggiano una birra al chiaro di luna, sono sempre "sul pezzo". Noi a parte un paio di rapporti che si incrineranno a causa dell'inchiesta, non sapremo mai niente di niente di loro, cose tipo se hanno amici, se la moglie li cornifica, se hanno comprato una pistola spaziale a Natale per i figli. I loro affetti sono "fuori campo"come gli adulti nei fumetti dei Peanuts. Si ricorda giusto mi pare il marito di Rachel McAdams, che è brutto e pelato, ma è decisamente poco. C'è oltre ai giornalisti solo l'inchiesta e questa li trasporta così in profondità nella loro passione lavorativa che tutto il film può essere rappresentato come un unico orgasmo onanistico / giornalistico a due mani. E questo schiaccia e ricopre davvero tutto, perfino le vittime di pedofilia, relegate a pochi minuti di scena; perfino i preti pedofili di cui la pellicola dovrebbe/vorrebbe principalmente parlarci, relegati in un cantuccio, in una brevissima scena che forse è da sola  la cosa più suggestiva, spaventosa e davvero potente di 140 interminabili minuti. Fare la super notizia definitiva e mettere al centro del film il super trionfo del super gruppo del super giornale  più Figo del pianeta sembra l'unico scopo del regista Tom McCarty. Manca giusto qualcuno che urli "Fermate le rotative!!" e che da qualche parte spunti Robert Redford a fare un sorrisetto di compiacimento. La "fotta" di fare la notizia si mangia la notizia stessa. Ma come rendere al meglio il super-intuito in pellicola? Cioè, come renderlo senza fare addormentare le persone in sala in un maremoto costante di parole, tra (pur interessantissimo) gergo tecnico legale/clinico/sociologico ed estenuanti procedure e contro procedure di indagine, valutazioni a campione di dati ricorrenti in archivio e ricorsi per aperture indirette di fascicoli di prove secretate et similia? 


La risposta è nel dotare i super intuitivi supergiornalisti della super corsa. Nel film tutti parlano, ma sempre muovendosi, un po' come nei Transformers di Michael Bay, ma senza Transformers che sparano e si trasformano. Telecamera puntata sui giornalisti, frontale diametralmente opposta ad Elephant di Gus Sant, pronti e... via! Marcia sostenuta nelle scene interne al Globe (dove almeno venti persone vanno avanti e indietro come nel centro di Coruscat in Star Wars), camminata veloce nei tribunali, sprint del jogging mattutino e cento metri cronometro per raggiungere aeroporti o mete dell'ultimo secondo. Medaglia d'oro a Mark Ruffalo, che corre più di tutti e a fine riprese potrebbe per me partecipare a qualche maratona. Ma tutto questo correre ossessivo-compulsivo aiuta la pellicola? Certo fa venire il fiatone anche agli spettatori, è un effetto che stordisce più che aiutare al ritmo generale. L'effetto finale è quindi: "wow, tra mille difficoltà e duro lavoro abbiamo fatto la notizia", ma sulla notizia in sé non si scava emotivamente a fondo quanto era lecito per rendere davvero potente il messaggio. E ripeto, ribadisco e sottolineo con il pennarello grosso per l'ennesima volta: parliamo di messa in scena, non del Valore Storico della vera inchiesta. Se (per assurdo) togliamo ai 140 minuti della pellicola  i 10 minuti in cui effettivamente vediamo fugacemente vittime e pedofili, possiamo mettere al loro posto 10 minuti in cui si parla tipo dell'inquinamento marino dovuto agli scarichi delle multinazionali e chiamare il film "il caso tonno mutante". L'indagine avrebbe uguali problemi burocratici, legali, di omertà e politica e ugualmente non affronterebbe al meglio, cioè "direttamente", il problema . Ovvio che ogni giornalista sogni di diventare un supereroe, in fondo anche Superman è un giornalista. E infine il titolo stesso del film è "il caso Spotlight " e non "il caso dei preti pedofili". E pertanto il tema da subito è sulla potenza dei media. Potenza che si esprime solo grazie all'impegno e abnegazione dei giornalisti, entità per virtù più simili a Dei benigni che a uomini, capaci di smascherare e forse migliorare la realtà che li circonda. Giornalisti che saggiamente imparano dai propri errori (pochi) e sacrificano la loro esistenza e affetti, da veri cavalieri Jedi senza macchia, in virtù della massima verità di cronaca, correndo di qua è di là per 140 minuti di pellicola, recitando di continuo dei mantra fatti di tecnicismi multidisciplinari contorti,  che ovviamente padroneggiano con competenza assoluta.


Ma. Che. Palle. 

Va bene, vi piace questa prospettiva, ma perché  poi vedere il regista andare a ritirare l'oscar come miglior film dicendo: "Lo abbiamo fatto per i bambini che ancora oggi subiscono abusi". Ma dove??????
Per quei 10 minuti su 140 dove non è in scena il superomismo giornalistico? 
Non era piuttosto tutto il film un super elogio alla super "fava" dei giornalisti ? 
Questa è ipocrisia. 
Avesse avuto le palle, il regista per rendere credibile questa dichiarazione avrebbe dovuto mettere al centro della scena vittime e carnefici, con il giornalista di Spotlight che prende appunti in un angolo, interviste con allegate davvero scene di sopruso. A quel punto il giornalista si sarebbe dovuto schifare, fare ricerca e infine andare a casa la sera e vomitare. Magari per tre minuti sedendosi, astenendosi da una maratona che ha del demenziale, e riflettendo "da fermo". Da essere umano. Chiamatela "retorica" ma per me è questo soprattutto che dovrebbe fare il cinema per distinguersi da dei pur bellissimi documentari o inchieste (che è meglio che non scimmiotti se non ne è capace): raccontare storie, anche brutte perché vere, che arrivino a toccarci il cuore. Perché ci sono persone (e credetemi "esistono") che si commuovono di più se muore una persona in un film piuttosto che la propria zia nella vita reale. Il cinema ha il potere di far commuovere e pensare perso e comunemente insensibili e allergiche a quegli attentati al comune vivere tranquillo rappresentati dalle notizie dei telegiornali. E queste persone (vi giuro che "esistono e sono tante, troppe") vedranno la pellicola gioendo per la vittoria dei super-giornalisti dimenticando in tre minuti "per cosa" hanno vinto. E la pellicola avrà fallito nel trasmettere la Storia. 


Come conseguenza di questa impostazione da superhero movie poi, gran parte dei giornalisti non si permetterà mai di parlare male di questa pellicola, che presto arriverà nella spazzatura del dimenticatoio, salvo che qualcuno (sadico) la imponga in qualche corso universitario sul giornalismo. Anche perché la recitazione è assolutamente nella media di una qualsiasi puntata di Law'n'Order, sebbene interpretata demenzialmente su un infinito tapis roulant. Anche perché la sceneggiatura straborda di incensate continue agli eroi di Spotlight in modo stucchevole e compiaciuto. All'inizio si respira anche una salutare aria di intrigo, ma è una brezza che si concretizza in niente già da subito. 
In sintesi. E' importante e vitale che si parli di certi fatti di cronaca, soprattutto di quelli scomodi che diventano enormi e arrivano a farci ripensare alla nostra considerazione del mondo. La Storia può migliorare solo nel modo in cui si può imparare (sempre che lo si "voglia fare"...) dagli errori passati. Però un film come questo dovrebbe essere in grado di trasmetterci emozioni più vicine ai fatti che analizza. E' un elogio della carta stampata più che di quello che "c'è scritto sopra". Quando c'è un incendio siamo contenti che arrivino i pompieri a spegnere le fiamme, ma ci sono spesso anche persone che muoiono sotto le fiamme. La storia dei pompieri è una storia di coraggio che riporta in equilibrio il modo come lo percepiamo. La storia delle persone rimaste vittima dell'incendio è una storia che non si potrà mai archiviare e per questo deve avere almeno lo stesso spazio. O almeno, io la vedo così. Se avete visto il film o la vedete diversamente da me sarò ben felice di leggere i vostri commenti e parlarne un po'. 
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4 commenti:

  1. Non condivido il suo pensiero. Anzi apprezzo che un film che non vuole essere melodrammatico e affronta il problema in modo "non splatter" e arrivi comunque. Nessuno nella sala cinematografica ha applaudito dicendo: bravi, siete dei super eroi. Tutti i commenti che ho sentito erano a sostegno delle vittime e di contestazione ai carnefici e al sistema (ed evidenziare questo è stata la genialata di questi giornalisti). Se mai è lei che mi sembra abbia una visione cinematografica classica "all'americana", dove più c'è sangue e pianto meglio è.

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  2. Per aggiungere un esempio concreto di "non violenza ma altamente toccante e ricco di contenuto": la frase (non ricordo con esattezza le parole ma più o meno era in questi termini): "ma quando il vescovo diceva queste cose a sua madre lei cosa faceva?" la vittima: "gli offriva the e pasticcini. Non serve altro.

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    1. Gentile Michela, la ringrazio per essere passata da queste parti ad esprimere il suo punto di vista. Sono contento che il film sia piaciuto a lei come alla platea con cui lo hai condiviso, uno dei miei principali dispiaceri in merito a questo film era che non avesse abbastanza "forza"da trasmettere il suo messaggio, finendo per essere presto dimenticato insieme alla Storia che racconta. In questo caso sono contento di sbagliarmi. Ci sono anche per me dei momenti della pellicola che colpiscono al cuore e riescono a farlo anche in modo elegante, non urlato. Da una pellicola di questo tipo in effetti non mi aspettavo nè pretendevo una rappresentazione della violenza e un tono melodrammatico che andassero oltre al "sussurrato". Tuttavia avrei volentieri sacrificato un mare di scene sui giornalisti e le loro indagini e sarei stato più tempo ad analizzare il personaggio del prete pedofilo che ragiona come un bambino di dieci anni. Avrei voluto vedere quella casa di cura di cui si accenna solo in una conversazione al telefono, magari anche in un flashback che, nella logica di un approccio realistico ai fatti, può per me essere comunque tanto vero o falso a seconda di chi lo "narra". Avrei voluto per un istante guardare in faccia il "vicino di casa"del giornalista (anche se può funzionare , e infatti funziona, come splendido uomo qualunque senza volto), quanto stare a contatto delle vittime di abuso con le loro crepe psicologiche. Avrei voluto, per assurdo e senza entrare nel merito, vedere l'atteggiamento della gente comune che muta nei confronti di un prete che non è pedofilo e che è del tutto estraneo, ignaro di questo scandalo e che viene "additato". E'vero, c'è la scena della nonnina che dopo che la nipote giornalista le fa leggere la notizia quasi non vuole più andare in chiesa. E'una scena intima quanto forte, sottile e "funziona". Avrei preferito un maggiore "equilibrio", anche puramente di "tempo sullo schermo" tra la narrazione della indagine giornalistica e l'analisi dei fatti, delle vittime e carnefici coinvolti. (continua)

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    2. (continua) Quindi più che una maggiore drammatizzazione emotiva (che per me poteva comunque starci bene, se non troppo urlata) mi sarei accontentato di questo maggiore equilibrio narrativo. Ciò non toglie per me che la parte dedicata ai giornalisti sia davvero bruttina e alla fine ciò che mi piace di meno. Un ibrido tra la cronaca,sintetizzata malino (ma qui si poteva fare effettivamente poco, la faccendaa era molto ingarbugliata), e il classico racconto (questo sì molto americano)sul giornalista integerrimo che, per me, forse per via dei tempi in cui viviamo, abbraccia fin troppo la moda del supereroistico. Probabilmente un'immagine che ai giornalisti e a chi sogna di fare giornalismo piacerà. Poi chiedo venia, mi cospargo di ceneri e genufletto in segno di perdono, ma vedere i giornalisti correre come maratoneti per dare una impronta cinetica a montagne di dialoghi,a me non convince per niente. Ma forse la mia è solo invidia, che a correre per due ore di fila non ce la faccio e a vedere questo film mi è venuto pure un po'il fiatone. Chiedo scusa per essere stato prolisso, ringrazio se ha avuto l'animo di seguirmi fino a questo punto, se vuole aggiungere altri elementi alla conversazione sono sempre qui e felicissimo di risponderle. E già che ci sono le invio virtualmente un mazzo di mimose. Buona Serata. Talk0

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