mercoledì 26 febbraio 2014

Rampage

 di Uwe Boll, perché averci le palle girate è un diritto!

(Attenzione! Il film che in seguito viene descritto è un film assolutamente per adulti, la cui visione da parte di minori e persone impressionabili è sconsigliata in toto in ragione della rappresentazione di scene molto cruente, dialoghi non adatti e una morale finale del tutto agghiacciante. Ad ogni modo chiunque voglia avvicinarsi alla visione deve essere carico dell'adeguato spirito critico, ironia e non privarsi della presenza di un adulto ugualmente raziocinante con cui scambiare due parole nel post visione... e magari due birre)

Sì può parlare bene di Uwe Boll? Ammetto che è un argomento peso e quindi ho bisogno di tutto l'aiuto possibile. Motivo per cui passo la parola al migliore insegnante del mondo:


Ora immagino vi sentiate di mente più aperta, degni di accogliere con gioia le stronzate pretestuose che sto per propinarvi (acc... forse questa frase non la dovevo scrivere...)!
Partiamo da principio!
C'era una volta e c'è tuttora un regista davvero terrificante. Un tizio tedesco amante dell'orrido con una visione del cinema così personale, ma così personale, che riesce sempre a scontentare il pubblico. Provoca così sdegno al punto da ricevere in cambio un sacco di sonore pernacchie, da tutti. E la cosa è imbarazzante se ci pensate: pernacchie dai vicini di casa, alla posta, in coda per il colorado boat... mi sono spiegato a dovere credo. Pochi mezzi tecnici a disposizione, produttori-padroni distratti o disinteressati (immagino sempre i produttori di Boll come magnati dell'esportazione di Tonno nella Finlandia del nord), attoracci economici o decaduti o svogliati, sceneggiature di base imbarazzanti involontariamente esilaranti. Ostacoli che in genere non sono insormontabili se sei un gigante della macchina da presa come John Carpenter (che riscriverebbe bene l'aborto, addestrerebbe gli attori-cani con frustate, metterebbe ritmo forsennato anche a una partita di sudoku, creerebbe personalmente gli effetti speciali con Photoshop e scriverebbe personalmente la colonna sonora senza nemmeno chiederne la fatturazione extra di un dollaro), ma che diventano un cospicuo ostacolo se non sei un top gun. E Uwe Boll, diciamolo, non è un top gun e grossi “aiuti produttivi” non ne ha mai avuti. 

Sicché tra filmacci tratti da videogiochi e filmacci horror pesantemente influenzati da videogiochi (queste le “due” categorie da lui trattate) alle pernacchie si sono accompagnati magri guadagni e tanto, tanto rancore. Ma visto che costa poco (e certi filmacci non li girerebbe nessun altro e due lire di base si tirano sempre su) i produttori di tonni lo vogliono e rivogliono e lo rivogliono ancora in mille occasioni (tutte occasioni di infimo gusto) cosicché il nostro in cuor suo, pur sommerso in un esponenziale mare di pernacchie, crede tutto sommato di essere bravo. Ci crede così tanto che quando arrivano le critiche non le capisce. Siccome, in cuor suo, ritiene di fare solo film perfetti amati dai produttori, le offese devono probabilmente discendere da un'innata antipatia-invidia verso di lui. Boll, non scherzo, ritiene che se dei brutti nerdacci insultano i suoi lavori cinematografici, questi di fatto stiano di fatto insultando lui e l'onore di sua madre. E se l'insulto è personale, fila benissimo che la risposta debba essere altrettanto personale, motivo per cui Boll decide di sfidare in un incontro di pugilato alcuni dei suoi più perfidi detrattori.


è come se Beppe Fiorello chiedesse ad Aldo Grasso una rivincita a tennis nel caso quest'ultimo gli abbia stroncato il suo consueto palloso sceneggiato su rai 1 (dico Beppe Fiorello in quanto esempio calzante, non avendo lo stesso mai fatto un singolo film decente in tutta la sua vita, giudizio mio personale avvalorato dalla legge sulla libertà di opinione... e se vuole può sfidarmi a freccette!!). Credo che la logica perversa, di classico stampo germanico-superomistico, sia: “Non mi puoi criticare se non sei migliore di me in tutte le cose che faccio, quindi non puoi dirmi che giro male un film se non mi batti in tutte le discipline in cui eccello, compresa gara di rutti”. Certo, dalla stazza i critici pensavano “Boll mena e non rutta” ma si considerava :“è brizzolato, cicciottino e vuoi mettere l'orgasmo di dare un pugno a chi ti sta sul cazzo?”. Alcuni critici abboccano al contest e come finisce il tutto? Bagno di sangue con il mastino germanico trionfante. E non è per la preparazione, che comunque c'è, non è per la risibile abilità degli sfidanti, che comunque pure lei (risibile) c'è. La vittoria “bollina” si coniuga soprattutto all'atavico, mostruoso sentimento di odio verso il mondo che Boll cova nel suo profondo. Una scimmia che gli pulsa nel cervello urlando “uccidi” e che per la prima volta gli fa vedere chiaramente cosa può fare nel suo percorso artistico. Il nostro dice a se stesso: “se è odio quello che mi viene riversato, godo nel rimandarlo indietro e nell'abbeverarmene io stesso diventandone il cantore” (mi immagino una frase simile detta con sottofondo un pezzo dei Rammstein).

Appagato del sangue dei perdenti, il nostro ritorna al lavoro e scrive sceneggiature ruvide, essenziali, cattive (e pure logiche e funzionali, per la prima volta!) incidendone le parole sulle pareti di casa facendo uso di un coltello alla Rambo e spezzando le dita a chiunque cerchi di mettere mano al suo lavoro. Gira sporco come nei peggiori snuff movie, fa ampio uso di telecamera a mano e incredibilmente riesce a fare queste cose bene! Decide di girare prevalentemente film estremi e nerissimi +17 per il mercato tedesco, restrizione di censura che va ben oltre al “nostro” VM18 e che in sostanza ricomprende tra il pubblico adatto“assassini seriali, terroristi e agenti della Folletto”. Film che nessuno vorrebbe importare ma che sono forti, disturbanti, sono fighi e per il tam tam mediatico tutti i produttori sono costretti a importare per non regalare alla rete-pirateria-importazione un fetta della torta. Nascono il nerissimo Seed (ne riparleremo, è un film sulla tortura e sulla pena di morte per i cui ricavati Boll ha offerto una percentuale alla PETA per la sua lotta contro le sevizie agli animali... usare la violenza contro la violenza... machiavellico...), l'ingenuo-cattivissimo-videogiocoso Postal e la più estrema e urtante sintesi nichilista dei due, il film più stronzo, brutto e cattivo del creato, il disturbante capolavoro sull'odio esistenziale conosciuto come "Rampage" da poco, solo 4 anni di ritardo, uscito anche da noi nei circuito home video.

Poi l'ispirazione si è disciolta, il successo ha rimesso nella gabbia la scimmia, Boll è tornato a fare porcherie più o meno deprimenti e pure un po' presuntuosette, tra le quali le insalvabili "Darfur" e "Aushwitz", brutti snuff-movie di ambientazione pseudo-storica di una gratuità oscena (pur voluta ma che non appoggio) che qualche buono spunto non salva dal cattivissimo gusto (cacchio, a Darfur ho preferito "A Serbian Movie"!!!). Tornerà a fare qualcosa di significativo o il nostro continuerà nel percorso si assoluta macelleria? Forse un regista come Boll è riuscito comunque a essere per poco un buon regista ed è questo che conta. Magari con il 2014 e Seed 2 si tornerà a vedere qualcosa di bello.
Ma Chellè 'sto Rampage?
Parenti-genitori-morosa-amici-osteopata a chiederti che farai domani della tua vita, lavoro che non c'è o se c'è è merda, traffico costante scaturito da operai fancazzisti di rotonde mai ultimate e bastardi che passano in corsia di sorpasso per poi imbottigliare tutti al primo restringimento di carreggiata, pioggia battente e ghiaccio cane nelle tre ore di ferie che hai da qui a un anno, commessi-farmacisti-postini-baristi-impiegati stronzi che ti trattano come un criminale se non hai 20 centesimi, donne che non te la danno (tradendo un loro preciso obbligo morale! In genere non vale il contrario, l'uomo anche se stanco si “sacrifica”), macchinette erogatrici di soldi, bibite o biglietti che non funzionano o sono vuote o comunque ti fottono la moneta, la birra per dimenticare che è finita o trovi calda a un passo dal frigo, ma che ti ricorda di avere una panza da birra. Routine.
Come insegna questa celeberrima gag di Aldo Giovanni e Giacomo, alle volte dobbiamo essere liberi, almeno metaforicamente, di dire al mondo quello che effettivamente pensiamo di lui:


Come insegna Troisi la gente deve smettere di usare il prossimo come capro espiatorio dei suoi problemi, solo perché il prossimo è un po' più sfigato e male inquadrato nei confronti della società:


In "Falling Down" (anno del signore 1993, una delle massime espressioni cinematografiche dell'ingiustamente bistrattato Joel Schumacher, che Hollywood ha in pratica vergognosamente messo in pre pensionamento dopo Number 23 del 2007... non parlatemi di Trespass...) aka "Un Giorno di Ordinaria Follia" l'uomo con la targa dell'auto personalizzata D-Fens (Michael Douglas) arriva al culmine dopo la peggiore giornata della sua vita e una prolungata sosta in autostrada. Il nostro eroe quindi decide che è tempo di sbroccare, di “andargliele a dire”, a tutti, magari armato, su quanto gli abbiano rotto le palle:


Basta quindi! Basta “a tutto”! Quanto sono liberatorii questi film! Nessuno uscirà dalla sala brandendo un mitra, ma tutti avranno in dote quel sorrisetto cattivo di aver sognato per un istante di fare una marachella. Il film di D-Fens riesce, diventa un piccolo classico ma lascia l'amaro in bocca per i limiti hollywoodiani nei quali inevitabilmente è imbrigliato. Sopra la follia vige e vigila la morale a rimettere insieme i cocci, a smorzare la follia. Il sistema (Savianamente parlando ma anche no) si auto-protegge e isola le schegge impazzite, il “volemose bene” incide su marmo di Carrara il (purtroppo) prevedibile epilogo.
Se Schumacher fa di necessità virtù e smorza i toni in vista di dirigere il tranquillizzante e Grishmaniano "Il Cliente" per poi approdare ai suoi controversi Batman da revival anni settanta, Uwe Boll ai tempi di "Rampage" paga ancora il disastro produttivo di "In the name of the King" (film peraltro non bruttissimo con Jason Statham, ma indegno di assomigliare a una puntata di Hercules) e della pioggia costante di critiche che ovviamente non smette dopo l'assurda grottesca vittoria pugilistica contro i critici. 
Tuttavia scopre anche di essere amato dalla nicchia dei festival, dove la gente accorre ed applaude il suo "Seed" e (un po' meno) il suo "Postal". Questo lo convince a perpetrare la sua ideologica visione cinematografica senza limiti, sa che qualcuno che lo ama c'è, e scrive la sua pagina più incazzata di sempre, il suo personale "Vaffanculo” di Masini. E lo fa alla grande perché non sarà un grande drammaturgo (e infatti non lo è), non sarà un genio (ah ah ah ah), ma un uomo frustrato (sì, cazzo!!) lo è eccome e ha tutta la grinta (ostinazione-pazzia) e consapevolezza (ottusità) per esporre al massimo e con genuinità questo suo modo si sentirsi fino a elevarlo ad arte. Questo non fa certo di lui un autore a 360 gradi, ma se siete incazzati con il mondo troverete in questa pellicola tutto ciò che nei vostri sogni più malati almeno una volta avete immaginato. Ma il film non è solo questo, ed è qui che l'opera dimostra di essere di maggiore peso delle sue singole parti.
Sinossi. Bill (Brendan Fletcher, che avrete visto in tv più o meno ovunque ma che io ricordo con affetto in Freddy vs Jason, era tipo l'unico attore maschio, pertanto l'unico di cui non si vedessero le tette) è un ragazzo normale, che svolge un lavoro normale in un'autorimessa e vive in una famiglia normale. Certo gli fa schifo la società, che lo tratta come un perdente, che lo emargina dalla gente che conta, che lo attacca e lo giudica senza che lui abbia fatto effettivamente mai nulla di male. Per questo si sfoga con gli amici, tra una birra e l'altra, sognando felice ipotetici complotti per rovesciare il sistema e vivere sereni, ma la cosa lì finisce. Poi arriva l'ultimatum da parte dei genitori: “Sei grandicello, hai il tuo lavoro, è tempo che trovi una tua vita e ti faccia una casa tua, noi comunque una mano te la diamo, ne parliamo con calma, ti diamo tutto il tempo che vuoi”. 

Non esattamente quindi un “questa è la porta, vaffanculo parassita”, ma una soluzione accettabile, politically correct, lungo termine. Ed è lì che Bill inizia a sbroccare, anche se sintomi preoccupanti si erano già visti a guardar bene. Grazie alle sue doti di saldatore si assembla una corazza in kevlar che farebbe invidia a Batman. Grazie ad Amazon e al fatto di trovarsi in America si fa arrivare a casa una vagonata di armi pesanti. Con impegno costante si allena duramente fino a scolpirsi muscolo dopo muscolo. Poi arriva il giorno. Armato e corazzato Bill farà un giro nella sua amata cittadina. E ucciderà qualsiasi creatura bipede gli attraversi la strada.


Pulire il mondo. Esattamente come avveniva nel videogioco Rampage, in cui dei mostri radevano al suolo la città e l'azione non si fermava se non dopo che l'intera strage era compiuta.



Cinico, bastardo, crudele quanto perfettamente oliato, ritmato, funzionale e con un finale a dir poco inquietante e in grado di offrire una lettura prima inimmaginabile di tutti gli eventi. Boll non a caso esperto di trasposizioni da videogame (dopo 16 tentativi qualcosa per inerzia si impara sempre) si dimostra ferrato nel ricreare una frenesia da sparatutto che decolla nelle scene action più concitate. Veniamo così travolti direttamente sul campo di battaglia grazie a una frenetica guerrilla cam a mano supportata da una fotografia, figosamente dai colori esautorati viranti gun metal, che smorza i colori in luogo di definiti contorni pece e neri tenebra. 

Il mood disturbato più adatto per seguire le gesta di Bill il carnefice, unico avatar con cui lo spettatore ha il privilegio-schifo di non-immedesimarsi. Tale tecnicismo grafico da luogo altresì a uno strano effetto-michael-bay-di-ritorno che permette con plastico distacco di innalzare una qualche barriera emotiva tra noi e lui, che ci appare spesso come un animale ingabbiato nelle telecamere di un documentario del national geographic. Un occhio osservatore freddo-asettico-estraneo che rimanda al documentarismo malato del capolavoro "Henry pioggia di sangue". Non cadete nella tentazione scatologica di ripescare il massacro alla Columbine o le suggestioni visive di Elephant di Gus Van Sant. Boll conosce bene la materia ma ci trolla gioiosamente sopra (e direi quasi da bastardo) in ragione di un finale che eleva il film al di sopra del trito-rassicurante-perbenista disagio sociale e delle critiche ai videogame malati proprie di molte trasmissioni pomeridiane, verso le quali eleva “bonariamente” il dito medio.
Barbara D'Urso, puppamelo!
La crudeltà è qui ben insita-residente nelle persone e non negli oggetti-cattivi-consumismo-nazi-capitalistici. Vengono così smascherate-distorte-inchiappettate ipocrisie facili volte a nascondere il male dietro la semplice stupidità-ingenuità. Gli uomini sono cattivi indipendentemente se possono o meno accedere a delle armi da fuoco (anche se limitarne l'uso non è che faccia male, bene inteso!). Quello che più sorprende del film, promuovendolo a pieni voti e spalancandogli la porta dei cult, è proprio come si renda veicolo di questo messaggio attraverso la grande abilità con cui Boll gestisce l'intreccio narrativo. Se essere odiati, presi a calci da tutti e sputtanati costantemente porta a diventare buoni registi, dobbiamo quasi ammettere che tante scudisciate sui denti abbiano fatto bene a Boll. Il regista tedesco è di fatto riuscito qui a rielaborare alla grande il suo dramma interiore di regista-monnezza perennemente preso in giro per incapacità, sferrando finalmente e compiutamente un pungo autoriale d'odio verso il mondo, sentito, sincero e credibile che il mondo stesso è grato di ricevere in faccia. Mai Boll è stato così serio e sul pezzo in una operazione di critica sociale alla massificazione-mercificazione-disinformazione della cultura americana, "Rampage" per Boll equivale a "Essi Vivono" per Carpenter (sempre con le dovute proporzioni). E oltre ai meriti della scrittura e al dato tecnico, di standard molto più elevato (leggasi “film visivamente più che buono”) a quello cui ci ha abituato in precedenza il regista tedesco (leggasi: “ciofeca”), abbiamo anche un ottimo interprete in Brendan Fletcher, non fosse che questa è la classica pellicola che bolla l'attore per sempre in ragione del suo coinvolgimento e un ruolo tanto ipocrita, stronzo e pomposo di certo non lo aiuterà a trovare nuove fan. Difficilmente vedremo Fletcher protagonista in una pellicola Disney. Domani potremo serenamente tornare a parlare di quanto faccia merda Uwe Boll, di quanto sia fascista, misogino, puerile, superficiale, arrogante, tronfio e inutile. Domani magari torneremo a raccogliere fondi (già una prima petizione è stata fatta, pazzasco!) per assicurare a Boll una cifra per la quale lui giuri di non mettersi più dietro una macchina da presa. Domani rideremo ancora ad equivoci come quello che riguarda il coinvolgimento di Boll nel film di Metal Gear, al quale è seguita la subitanea secca smentita di Hideo Kojima: “A lui il mio videogioco non lo darò mai!”. Domani torneremo a irridere il pagliaccio. Però ha fatto "Rampage" e "Seed". Pellicole delle quali qualcuno con un po' di onestà intellettuale non può negare l'esistenza nonché il valore. Forse anche solo un valore derivativo (ossia quello che i critici leggono di un'opera quando manco l'autore sapeva di volerci leggere qualcosa) sono pellicole che si ricordano e si ricorderanno. 
Talk0

Nessun commento:

Posta un commento