lunedì 1 aprile 2024

Un mondo a parte: la nostra recensione della nuova commedia di Riccardo Milani con Antonio Albanese e Virginia Raffaele

Un paesino di montagna di 200 anime scarse, in capo al mondo e circondato da boschi, branchi di cervi e di lupi, neve e gelo. Poco meno di 150 chilometri da Roma, ma siamo letteralmente in “un mondo a parte”, nel cuore del parco nazionale d’Abruzzo. 

Questa è la nuova meta per il maestro elementare Michele (Antonio Albanese), che dopo 40 anni di esperienza viene trasferito, “in sostituzione temporanea” dalla capitale, tra il ghiaccio, la neve e la tormenta eterna che perseguita la cittadina di Rupe (paese immaginario, di fatto “ispirato e ambientato” a Ope, con scorci di Pescasseroli). Lo reclama la scuola gestita dalla vicepreside Agnese (Virginia Raffaele), l’istituto “pluriclasse unica”, 7-10 anni, Cesidio Gentile, detto “Jurico”, poeta pastore. 

Pochi bambini ma vitali per tutto il borgo: perché quando da quelle parti una scuola chiude è tutto un paese a scomparire, con tutti che vanno via. “La montagna lo fa”, questo effetto. 

La notte fa freddo e i lupi ululano, anche se tutti rassicurano Michele che in genere non aggrediscono. In genere. Ruspe e spazzaneve sono sempre all’opera fin dalle 6 del mattino, ma se fiocca all’infinito e il cellulare non prende è un problema, e l'eroica vicepreside, pur di tenere la scuola aperta, è disposta a usare la sua auto per raccattare lungo la strada gli altri insegnanti la cui vettura è rimasta sepolta da una slavina. 

Le persone che si incontrano per strada a Rupe in genere hanno poche parole per via del freddo e il massimo di comunicazione è “Oh?”. Un “Oh?” che suona come un affettuoso “Eh, come va?!”, ma può suonare anche per un impropero, con la giusta intonazione, perché non si ha la forza di dire o pensare ad altro mentre si arranca in questo piccolo mondo artico e freddissimo. 

Come se non bastassero i vestiti super pesanti da indossare, le scarpinate quotidiane per raggiungere l’istituto e tutta la complicata fase di ambientamento cui è sottoposto il nuovo professore, in cui è particolarmente vitale scoprire come si usa la caldaia, pare che ci siano problemi più grossi. Se non si trovano quattro ragazzini per formare la classe per giugno, è da poco stato messo pure nero sul bianco che l’istituto rischia la chiusura. 

Lo vuole il preside, perché vuole costruire un centro commerciale sulle rovine di Rupe, e ha già le firme per i lavori. 

Servono soluzioni positive, anche perché i bambini dello Jurico, poeta pastore, sono incredibili, gentili e geniali, lavoratori e poeti. Sono pure i soli bambini in Italia a sapere la storia dettagliata della vita del poeta che dà il nome alla loro scuola ed è una cattiveria portare via loro la casa e il futuro su quelle montagne.

Anche se l’unico lì per lì a essere entusiasta di quei luoghi sperduti, a parte i bambini, sembra solo il nuovo prof.: che predica la “restanza” al posto della fuga verso la città. 

Tutto il resto del borgo si è ormai arreso alla “estinzione”, a parte la vicepreside, un bidello e un ragazzo che ostinatamente ha deciso di rimanere lì a coltivare i campi, ultimo tra gli ultimi nella zona. Forse il professore ragiona solo da “turista”: stanco del traffico cittadino e felice della nuova realtà giusto per i primi mesi, dopo di che si romperà pure lui le scatole per il gelo perenne. Ma l’ottimismo, come sempre, può essere contagioso.

E il fascino che irradia dall’ottimismo del prof può far breccia anche sulla disillusa, ma non per questo arrendevole, vicepreside. Al punto da aiutarla a “restaurare” la sua vita oltre che la sua casa. 

Trovare quattro bambini per continuare a tenere viva Rupe è però possibile, insieme. Si può chiedere di avere allo Jurico i figli dei lavoratori africani non distanti dalla zona, promettendo alle famiglie alloggio e Netflix “per sempre” a spese del comune. C’è poi la guerra in Ucraina e molti bambini necessitano di una scuola che possa accoglierli: con il sociale che si sta muovendo in zona Pescasseroli e l’albergo locale che può accogliere i genitori durante la bassa stagione, Rupe può aiutare sicuramente qualcuno di loro. Certo siamo sempre fuori dal mondo, ma qui si può anche trovare un modo di vivere, magari anche meglio, in un “mondo nuovo e diverso”. 


Riccardo Milani torna al cinema dopo il documentario Io, noi, Gaber e l’ottimo Grazie Ragazzi, film sulle carceri dove era sempre protagonista Antonio Albanese, in un ruolo da “insegnante” che gli sta sempre meglio,  pellicola dopo pellicola. 

In Un mondo a parte prosegue per il regista romano anche la collaborazione con lo sceneggiatore Michele Astori, per una storia “civica” sull’insegnamento e la conseguente disillusione, che in qualche modo ci rimanda al primissimo lungometraggio di Milani, Auguri Professore, del 1997. 

Un mondo a parte è però una storia più positiva, quasi solare. 

Solari sono i volti dei piccoli interpreti e degli abitanti di “Rupe”, tutti attori non professionisti, presi la maggior parte a Pescasseroli e dalla zona tra i locali: piccoli studenti come vigili del fuoco, postini e artigiani. La loro recitazione è spontanea quando divertita, il lavoro generale ricorda, per freschezza e spirito, la felice esperienza di Paolo Villaggio con i bambini della provincia di Napoli, per Io speriamo che me la cavo di Lina Wertmuller. 


Sono solari anche Albanese e la Raffaele, molto carini anche come coppia inedita, che si trovano perfettamente a loro agio in personaggi che suonano “autentici”, protagonisti di un storia di “piccoli eroi civici” che si ispira in larga parte a situazioni reali, srotolandosi con semplicità, in modo quasi invisibile, tra gli scorci più belli del parco nazionale d’Abruzzo, città semi deserte e città abbandonate. Non c’è quasi nulla di patinato, ci arrivano scorci di una realtà spesso ruvida e irrisolta: ma per questo, quello a cui assistiamo ha anche un profumo più autentico.  

Spesso bastano solo i volti di queste persone prese dalla strada a raccontare, con ironica ma anche dura e realistica consapevolezza, la quotidianità e precarietà cui vanno incontro molti paesi di montagna della nostra penisola. Paesi dimenticati “per necessità o profitto”, che lottano per continuare ad esistere tenacemente quanto eroicamente. Persone che smettono di credere nel futuro perché ancorate a uno stato delle cose che appare ineluttabile e già precostituito dall’alto, ma che sono pronte a cambiare idea quando un nuovo nato arriva al mondo.

Milani con garbo, anche grazie ad Albanese e alla Raffaele, riesce a dare voce a queste realtà, mandandoci in sala a guardare una cartolina bellissima di luoghi che non vorremmo venissero mai dimenticati. 

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1 commento:

  1. Questa volta non sono d'accordo con te. Pur con tutte le buone intenzioni il film è di una banalità sconcertante: tutti i clichè più ovvi sulla scuola, senza un'idea originale che sia una e buonismo che si taglia a fette. Un film "da feste", per intercettare il pubblico che va al cinema due volte l'anno, ma poco altro...

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