mercoledì 12 aprile 2023

Stranizza d’amuri: la nostra recensione del film drammatico e sentimentale diretto da Beppe Fiorello


L’amore quando si è giovani arriva spesso tumultuoso, gioioso e accecante come un bellissimo pomeriggio  d’estate.

Siamo tra i campi di grano nei pressi di un paese della Sicilia degli anni '80, alla vigilia della storica partita di calcio Italia Germania 3 a 1, anche se il calendario esposto nel bar locale è rimasto un po’ indietro e recita ancora 1970. 

In una mattina di sole lo zio che amministra la cava porta il giovane nipote Nino e il  piccolissimo nipotino Totò a caccia di conigli. Nino (Gabriele Pizzurro) è un adolescente segaligno con la testa piena di riccioli buoni e lo sguardo solare. È la prima volta che tocca a lui sparare e lo zio lo invita a usare la giusta freddezza: calibrare il respiro e mirare senza fare movimenti con il braccio. È il suo battesimo del fuoco, un colpo di fucile che separa l’infanzia di Nino dalla sua età adulta. Ma una volta che sarà tornato dalla battuta di caccia, ad aspettare il ragazzo ci sarà una torta di compleanno e un motorino nuovo tutto per lui. A pochi chilometri di distanza un coetaneo di Nino più muscoloso e dai capelli scuri, Gianni (Samuele Segreto), lavora col volto livido in una officina meccanica: sta preparando un altro motorino, da consegnare a un altro compleanno lì in zona. Non appena il veicolo è pronto Gianni è in strada, inseguito dai ragazzi del bar con cui si era scontrato poco prima per aver osato entrare nel locale a prendere un caffè, lui che è “diverso”. Anche Nino sta percorrendo lo stesso sterrato della campagna quando la sua strada si incrocia con quella di Gianni, che tallonato dagli inseguitori gli va addosso. Dallo scontro nasce l’incontro di Gianni con Nino, che subito si scoprono simili e amici. Nino aiuta Gianni a lasciare il lavoro all’officina vicino al bar, per andare a faticare con più soddisfazione e meno lividi alla cava dello zio. Nino invece lavora con il padre alla piccola azienda familiare di fuochi di artificio, costruiscono i botti e girano tra le feste rionali per farli esplodere. Il genitore di recente ha una salute cagionevole e magari ad aiutare potrebbe arrivare proprio Gianni, che è sempre disponibile e tanto a modo. Poi i ragazzi iniziano a frequentarsi sempre più assiduamente, prendendo l’abitudine di incontrarsi dopo il lavoro per nuotare nel laghetto nei pressi di una piccola oasi tra il verde, separata dal resto del mondo da una galleria poco frequentata. Iniziano così a baciarsi di nascosto, per poi arrivare a baciarsi nel buio quando in cielo è illuminato solo dai fuochi d’artificio della ditta del padre di Nino. La stranezza dell’amore fa si che presto i giovani abbiano bisogno di esporre sempre più in pubblico il loro sentimento, cercandosi e abbracciandosi, con la madre di Gianni che è particolarmente spaventata dal modo in cui si sta evolvendo la loro relazione. La donna, rimasta vedova, già vive in casa del meccanico, un uomo che dopo fatti ancora recenti tollera a fatica la sessualità del ragazzo, anche perché tutto il paese lo sfotte. Il meccanico la tratta alla stregua di una prostituta ed è sovente manesco con Gianni, così la donna teme che qualcosa di simile e infausto possa accadere anche alla famiglia di Nino, una volta che anche loro avranno capito la vera natura dell’amicizia con suo figlio. Quando la famiglia di Nino sarà così chiamata ad “aprire gli occhi” su questo sentimento, la presenza nella casa di Gianni, prima accolto quasi come un nuovo figlio, inizierà a non essere più accettata.


Beppe Fiorello esordisce alla regia con una storia di amore adolescenziale per molti aspetti vicina alle atmosfere estive e romantiche del cinema di Francois Ozon (Estate ‘85, Swimming pool) quanto a Chiamami con il tuo nome di Luca Guadagnino. In una Sicilia di periferia ricca di prati dotati, lussureggianti laghetti e fresche serate illuminate da festosi fuochi d’artificio, sboccia con assoluta naturalezza e genuinità la storia d’amore di due bravi ragazzi comuni, giovanissimi e a modo. È il più classico degli amori estivi e viene descritto con tanti dettagli e tanto “cuore” da far pensare che in questa costruzione ci sia una forte e decisiva componente autobiografica, come se Fiorello cercasse davvero di trasmettere con queste immagini e le musiche dei Pooh e di Battiato un bagaglio emozionale che oggi possono dire di aver condiviso moltissimi cinquantenni che nell’82 avevano la stessa età di Nino e Gianni. È un amore dai “tratti universali” che esplode nel gioioso momento di festa collettiva dei mondiali di calcio: quella strana congiunzione astrale in cui tutti gli italiani si riscoprono ad abbracciarsi per strada, anche tra estranei, come se si sentissero per la prima volta tutti fratelli. Una esplosione d’amore che coincide con l’esplosione dei fuochi d’artificio, che i giapponesi chiamano forse più romanticamente “fiori di fuoco”, che Fiorello riesce sempre a inquadrare con una struggente bellezza, nel loro incedere dal basso all’alto accompagnati dai suoni potenti del dolby digital e dai colori dello schermo in 4K. C’è questa esplosione d’amore collettiva che grazie alla bravura degli interpreti e alla calda costruzione della scena riesce a travolgere tutto il pubblico, superando le differenze di genere, età e colore, ma c’è  anche il “rumore diverso” degli iniziatici colpi di fucili “da caccia”, che rimandano alla primissima scena di apertura del film ma anche ai fatti di sangue del 1980, a cui la pellicola liberamente si ispira. Nel 1980 c’erano infatti due ragazzi come Nino e Gianni a Giarre, un paesino in provincia di Catania, stroncati dai colpi di un fucile per essere stati scoperti omosessuali e quindi “disonorevoli”. Da quel fatto di sangue i cui esecutori sono ancora misteriosi è nato il primo circolo Arcigay di Palermo, che da allora ha fatto moltissimo per perorare l’uguaglianza e la non discriminazione nella libertà di amare, nel rispetto dei diritti umani universali. Fiorello vuole parlarci con il suo film della purezza del sentimento più che della sua barbara “punizione”. Fa in modo che tutti i suoi personaggi si interroghino attivamente, sulla base del sentire comune della loro epoca, su cosa significhi per loro il fatto che due ragazzi dello stesso sesso si possano volere bene. Fiorello mette in luce così la meravigliosa stranezza dell’amore quanto i suoi socialmente inaspettati effetti collaterali. C’è il ragazzo del bar che forse prova qualcosa per Gianni ma deve pestarlo per “purgarsi”, per non essere visto simile a lui. C’è il meccanico che non ha problemi a trattare la madre di Gianni come una giumenta e una prostituta con la sua finestra davanti al bar, ma non tollera che qualcuno dica che vive con un omosessuale. C’è lo zio di Nino, generoso e potente, che per l’amore dei ragazzi potrebbe essere accusato di essersi “distratto”, di non saper comandare bene. Ci sono  il padre e la madre di Nino, che temono che il figlio non potrà avere la sua famiglia, ma non hanno problemi sul fatto che Totò è il figlio della loro figlia maggiore, con un padre sparito chissà dove dopo averla ingravidata. C’è la madre di Gianni, che vive su se stessa lo stigma di avere un figlio “diverso” e “si butta via” tollerando la rabbiosa pietà del meccanico. Poi ci sono i tizi del bar, che deridono chi è diverso perché hanno sempre saputo con le loro limitate capacità emotive che deridere i diversi è divertente. Gianni e Nino sanno solo che sono innamorati ed è bello essere innamorati: “non pensano ad altro” in un periodo storico in cui vivere con leggerezza questo sentimento era percepito “al meno” come qualcosa di incosciente. È interessante quindi che Fiorello nel 2023, con tutta la forza e “leggerezza adolescenziale ”di questa pellicola , “universalizzi l’amore” di Gianni e Nino, concentrandosi sulla cristallina e positiva purezza del sentimento in quanto tale e offrendoci la plastica sensazione di uno “strabismo di vedute” che oggi (forse) appare ancora più strano e lontano. Come se quel calendario del bar che recita 1970 al posto di 1982 segnasse un divario tra presente e passato ancora più marcato. 


Stranizza d’amuri è un film che cerca di porre al pubblico degli interrogativi interessanti su cosa significhi per lui l’esistenza dell’amore “in quanto tale”. Si ispira a un importante fatto di sangue ma non punta a esplorarlo nel dettaglio con piglio storico o investigativo, proprio a partire dal diverso anno dei fatti (in modo “ingegnosamente empatico” spostato di 2anni). Non vuole che ci si soffermi sulla sessualità nella sua componente erotica, non vuole dare troppa voce alla “vergogna” e alle ragioni “più intime” del costume o religione che condannavano la “diversità” (perché anche oggi è un tema spigolosissimo), ma vuole rimandarci con tutta la forza emozionale del cinema al solo primo istinto: il “voler bene a qualcuno” nell’età in cui è più semplice e spontaneo voler bene a qualcuno. In questo Beppe Fiorello riesce in pieno, con una pellicola visivamente molto bella, dotata di una storia semplice ma ben strutturata, recitata con trasporto e molto affiatamento da entrambi i protagonisti principali e da tutto il cast di supporto. Un film per ricordarsi di quanto è bello essere innamorati da ragazzini e per far riflettere su quanto poco l’omofobia possa davvero comprendere i sentimenti umani. 

Talk0

Nessun commento:

Posta un commento