lunedì 6 dicembre 2021

Napoli Eden: la nostra recensione del docu-film sulle opere di Annalaura di Luggo, in lizza per concorrere tra i documentari che parteciperanno agli Oscar del 2021


C’è una Napoli sempre diversa e unica, in continua trasformazione, come in un infinito balletto tra tradizione e futuro, nel film diretto da Bruno Colella con al centro il lavoro della vulcanica Annalaura di Luggo. È una Napoli che crede nell’inclusione sociale e nella valorizzazione delle sue zone più periferiche. Una Napoli che motiva le nuove generazioni ad “ascoltarsi” e sentirsi parte di una tradizione artigianale antica quanto rinomata. È una Napoli che studia, scompone e ri-crea quanto viene considerata a “fine ciclo”, “spazzatura”. Prende oggetti dismessi, li riporta allo stato di “materie prime” e poi gli conferisce nuova vita, più nobile, come arte moderna, per poi riciclare ancora, nel rispetto della natura. È una Napoli che fuori dalle “botteghe” trova al contempo la voglia di andare casa per casa per raccontarsi, attraverso una ragnatela di storie umane piccole e grandi quando spesso uniche, originali: quasi fossero la testimonianza di un estro e inventiva scritti nel dna. È una Napoli bella e sorridente, vista con gli occhi di qualcuno che la ama profondamente, con tutti i suoi pregi e difetti, fiducioso nel suo futuro.  


Napoli Eden è un prodotto dalla natura mista, in parte documentario e in parte film, in parte  servizio giornalistico e in parte favola. L’ambiente in cui hanno luogo le riprese è sempre reale e concreto, ma riesce con naturalezza ad “ammantarsi di cinema” a ogni inquadratura. La scultrice, pittrice e fotografa Annalaura di Luggo ci racconta della sua vita personale quanto della sua ricerca artistica. La vediamo recarsi in luoghi per il riciclaggio e smaltimento che paiono quasi scenari “steam-punk”, dove si tuffa con la gioia di una bambina tra l’alluminio di recupero e i misteriosi ingranaggi a elica di un'imbarcazione, in cerca di forme e cromie antiche quanto nuove da cui costruire qualcosa di nuovo (con la mente di qualche spettatore che magari vagherà anche dalle parti di Tetsuo di Tsukamoto, seguendo una simile fascinazione per tubi, trivelle e forme post-industriali). Poi la nostra eroina si infila tra le strette strade di periferia in cerca del significato del misterioso e “fantascientifico” caleidoscopio dell’iride umana, forse specchio del nostro potenziale innato, fotografando con una macchina fotografica speciale in super-zoom gli occhi della gente comune, in quella che appare per metà una visita oculistica e per l’altra metà una intervista biografica (attraverso un modo di “guardare dentro” le persone che a qualcuno ricorderà il fantascientifico test oculistico/empatico del Blade Runner di Scott). C’è poi un po’ di neorealismo nei giovani ed eroici “cacciatori d’arte” colleghi della di Luggo che su un’Ape Cross vagano tra i cassonetti in cerca di tesori nascosti, con le madri un po’ perplesse per il loro amore per la spazzatura. 



C’è satira, quando un esperto d’arte dichiara che il futuro è nella spazzatura, mettendo su un tavolo un cestino pieno di rifiuti. C’è un po’ di commedia dell’arte nel modo di Annalaura di proporre alla commissione comunale e ai critici i suoi lavori, nell’apparire disordinata e sempre in ritardo (spesso è ancora in una galleria mentre qualcuno la porta sul retro di un motorino), nel vedere il bicchiere sempre mezzo pieno, nel guardare con un entusiasmano infinito persone che la considerano “troppo felice” per essere vera (con le reazioni di queste ultime che sono spesso imperdibili). Una felicità che apre anche alla dimensione della favola, che si rivela nei momenti in cui la nostra protagonista sembra inseguire la se stessa bambina, nei luoghi della sua infanzia (su un triciclo che magari a qualcuno nell’incedere ricorderà più  una storia di fantasmi come Shining). Anche se la Di Luggo si dichiara ancora inesperta nel cinema, il piccolo mondo che racconta è densamene imbevuto nella settima arte e risulta, al netto di qualche spigolatura, quanto mai gustoso, ricco di immagini e punti di vista originali. Con tutta questa esuberanza ed energia, tra momenti recitati e documentati, tra interviste e visioni oniriche, l’artista ci parla dei lavori dietro la realizzazione della sua Napoli Eden: un percorso artistico modulato su più opere concomitanti rappresentative di Napoli, esposte in zone diverse della città intorno al 2020. Opere diverse, nate dalla ricerca individuale della di Luggo “sugli occhi e sull’anima” come dall’impegno civico per stimolare la cultura del riciclo e del green, come dalla volontà di stimolare l’arte tra i giovani. Opere realizzate dalla di Luggo stessa da sola, tra saldatore e macchina fotografica, o con la collaborazione delle scuole d’arte (tra cui i magnifici vestiti realizzati con materiali di recupero dalle Belle Arti) come con i ragazzi della associazione Miniera dei Quartieri Spagnoli. L’arte crea ponti tra le varie storie, stili, passioni e linguaggi che animano Napoli Eden, fondendo la pellicola in un unico amalgama di colori e suggestioni che a noi spettatori cadono addosso in modo generoso, fragoroso e spiazzante. Napoli diviene nell’originale “linguaggio della di Luggo”, qui anche sceneggiatrice dell’opera, una città che può essere vissuta in un unico abbraccio, dai suoi lati più chic a quelli più kitsch, dal suo mare al tramonto alla sua musica di piazza, dai suoi palazzi altolocati e silenziosi ai mille suoni e sfumature delle periferie. Napoli Eden è un giro panoramico di un’ora e mezza su molti aspetti di Napoli che per alcuni spettatori potrebbero sembrare nuovi e pertanto oltremodo preziosi e trova un modo molto originale e interessante per parlarci di arte e cultura del territorio. 

Il film è disponibile anche sulla piattaforma ITsART, a cura di  Cassa Depositi e Prestiti e del canale streaming Chili e concorre nella rosa dei documentari che potranno accedere agli Oscar del 2021. 

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