mercoledì 22 dicembre 2021

Death Shield volume 3 - la nostra recensione


(Riassunto delle puntate precedenti) Nella città di Shin si erge la Shield Tower, sede della più importante e prestigiosa società fornitrice di guardie del corpo, la Life Shield. Ma al di sotto della Shield Tower si cela una torre speculare, sede della misteriosa Death Shield. La Death Shield ha per clienti persone in genere potenti e pericolose, che vivono in modo molto rischioso e di conseguenza possono qui fare affidamento su agenti speciali dotati di un potere unico: la precognizione. I precognitivi hanno un istinto supersviluppato, simile a quello di certi animali feroci, che permette loro di anticipare di qualche secondo una minaccia mortale imminente. Se addestrati a dovere, questi rari e preziosi soggetti possono riuscire anche a contrattaccare e ribaltare le situazioni più disperate. I servigi della Death Shield sono costosi e riservati a pochi. Trovare un precognitivo e addestrarlo è un incarico difficile, anche perché le persone che hanno tutto questo potere spesso hanno un animo instabile. Il giovane Kaito, precognitivo a capo della sezione Death Shield, possiede metodi di ricerca e reclutamento spietati e spesso non ha la giusta calma per trattare con i nuovi membri. Incontra così un giorno il promettente precognitivo Kris con una ricerca sul territorio. Lo testa e lo recluta, gli instilla la determinazione per diventare uno degli agenti migliori. Ma si fa odiare da lui. Così Kris, che meno di quattro mesi prima era un ragazzo normale e sorridente, impacciato e in cerca di lavoro alla fine degli studi, diventa un assassino a sangue freddo. Un uomo capace di uccidere a ripetizione degli innocenti come fossero “oggetti”, pur di attirare l’attenzione di Kaito e vendicarsi su di lui. Compiuta la sua vendetta, Kris viene scelto a sorpresa come nuovo capo della Death Shield dal misterioso Magus. 


Il fumetto scritto da Luca “Mangaka96” Molinaro e disegnato da Giorgio Battisti partiva da un’ottima idea di base che ricordava in qualche modo il classico Il mio nome è Remo Williams (o i combattimenti di Sherlock Holmes di Guy Ritchie per i più giovani), mischiando in modo “filosofico” sparatorie e arti marziali. I disegni, che ricordavano un po’ lo stile sobrio degli anime anni ‘90 (stile la serie basata su Virtua Fighters) erano molto stilizzati nei fondali ma appropriati per la messa in scena di una trama dai risvolti “mistey/investigativi/introspettivi”, un po’ dalle parti di Death Note. Il ritmo narrativo era spigliato, la scelta di seguire il racconto dal punto di vista di un personaggio misterioso ma “amichevole” come Kris interessante e al contempo “spiazzante”, specie quando il ragazzo iniziava a sbarellare diventando un killer quasi inconsapevole, la vittima di un gioco di potere che gli aveva fatto il lavaggio del cervello e prosciugato ogni senso morale. Una vittima che per lo più vive isolata dagli altri e si commuove solo a guardare un cielo stellato, che arriva a riconoscere nell’esistenza umana solo una acritica scalata al potere, ben rappresentata dalla “torre da scalare”, dai piani interrati fino alla cima, in cui si svolgono gran parte degli eventi. Potere per potere. Donne-trofeo ideali oggetti del “sé glorioso” narcisistico. La visione utilitarista della vita altrui che arriva all’oggettivizzazione più totale, quando vengono uccise delle persone a caso perché fungano da “messaggio sms”. La più semplice quando perfetta immagine della deriva del pensiero liberista che avvolge da due secoli la società occidentale. Veniva davvero voglia di divorarlo, il fumetto. Capitolo dopo capitolo. Se tutto funzionava abbastanza bene nel primo numero, con il secondo, nonostante l’affiorare di alcuni “problemi”, la voglia di andare in fondo alla trama non calava. C’erano di fatto molte ingenuità, come descritto nel nostro precedente articolo legato al manga, causate in parte dalla giovane età degli autori, come dalla voglia di stupire a tutti i costi. Ma si avvertiva anche la sensazione del grande potenziale di crescita di entrambi gli autori, che aspettavamo di cogliere in questo terzo volume. 

Ed eccoci al volume 3.


(Death Shield volume 3 di 4 complessivi). Kaito, capo della Death Shield è caduto dalla cima del palazzo e viene dichiarato morto. Magus, capo della Life Shield e capo “di tutto”, offre a sorpresa a Kris il perdono assoluto da tutti i suoi misfatti e gli offre il posto di Kaito. Il ragazzo, ebbro di potere, accetta. 

Kris è il nuovo capo del Death Shield, la società ha un approccio più “amichevole” rispetto a quello che aveva adottato Kaido per il reclutamento, arrivano buoni risultati, il successo, il riconoscimento, donne e navi sulle quali fare feste faraoniche. Ma Kris non è felice e pensa che l’unico modo per esserlo sia andare ancora più in alto nella torre, alzare l’asticella del suo status, defenestrare Magnus e prendere il suo posto. Poi boh, magari non si accontenterà neanche di quello, ma per ora non pensa ad altro. Ma ecco che arriva una situazione alquanto surreale, buffa quanto illuminante. C’è qualcun altro che vuole far fuori Magnus e mettere a capo della baracca Kris e Kris è d’accordo! Ma quando questo gruppo decide di agire, Magnus ha deciso spontaneamente di cedere tutta la baracca a Kris, perché molto ammalato, perché lo stima e perché non vede nessun altro in quel ruolo. Di colpo la “foga di potere” di Kris si inclina, ma ed ecco che accade il “patatrac”. Un patatrac che ci fa nuovamente riflettere sulle capacità di Kris di prevedere gli eventi… Ma soprattutto che ci apre dubbi su quale sia il vero piano di Magnus. Perché questi ha accettato senza battere ciglio che Kris uccidesse Kaito per poi affidargli le chiavi del potere? 

Con il numero tre del manga, Mangaka96 si prepara a “chiudere la storia” con il prossimo capitolo, forse in modo troppo frettoloso. Abbandona così una trama orizzontale possibile e fatta di nuove missioni e nuovi personaggi e va al succo, all’intrigo di potere centrale all’intreccio. Il numero tre diventa così un thriller con solo una parte finale dedicata all’action e ai superpoteri. Viene aperta con poca convinzione una veloce linea narrativa sullo sfruttamento scientifico dei precognitivi, arriva un plot twist molto “prevedibile” e il “cast” dei personaggi viene sostanzialmente a ridursi a tre persone in croce, due secondari e alcune comparse senza volto. La questione della “scalata al potere” è così ripida che fagocita ogni altra linea narrativa ed evoluzione logica e psicologica, al punto che nel lettore-tipo possono insorgere le classiche domande “arrabbiate” di chi vede un mondo narrativo ridursi ad una linea retta. Domande tipo: “Irrompere in una torre fantascientifica piena di soldati con poteri precognitivi, armati ma in grado di uccidere anche a mani nude, può essere davvero più facile che entrare in una discoteca protetta da un buttafuori?. Oppure: “Tra telecamere di sorveglianza, agenti di ronda e un sistema gps sottocutaneo che di fatto monitora e rende impossibile la fuga di chi sta dentro, possono mancare anche solo 2 telecamere in bianco e nero che controllino il cancello all’ingresso come quelle che ha il mio vicino di casa?”. Oppure: “Possibile che si accorgano del casino seguente all’assalto, con tanto di elicotteri e sparatorie,  solo tre persone, quando invece dovrebbe partire un allarme generale? Possibile che nessuno dei precognitivi della torre, che sono centinaia, abbia la precognizione di un assalto e di conseguenza nessuno faccia qualcosa?”. Sembrano davvero  tutte domande la cui risposta avrebbe richiesto almeno altri tre numeri del fumetto. Numeri che  però forse gli autori non potevano o non potranno sviluppare per ragioni che non conosciamo. È un peccato che alla fine Death Shield, con un potenziale action alla “Matrix”, ci cali mestamente in un mondo “piccolo”, abitato letteralmente da tre persone. Un piccolo mondo abitato da persone con “superpoteri” che si palesano solo quando l’autore si ricorda. Un mondo in cui le persone precognitive perdono tempo a calcolare al millimetro la distanza di chi si trova in una stanza, per cercare una strategia o vie di fuga, e poi si espongono su un balcone all’aperto al mirino di cecchini di cui ignorano la reale intenzione. 



Tutto questo è “recuperabile” con il quarto volume? Scaturirà una riflessione sulle inspiegabili ingenuità di personaggi che l’autore vuole continuamente presentarci come super-intelligenti? 

Un po’ voglio crederlo. Un po’ voglio credere che Death Shield diventi una apologia sul potenziale sprecato per la troppa ambizione e una critica sociale a un mondo che sembra nutrirsi solo sull’ambizione di potere. 

Di fatto ci sono nel terzo volume anche aspetti positivi. Il personaggio di Kaido assume un senso più ampio e ci potrebbero essere ulteriori sorprese per il futuro. La ragione reale per cui Magnus agisce getta una nuova luce sui reali fini per cui potrebbe esistere la torre. La paranoia e la difficoltà di autocontrollo di Kris anche “a causa dei suoi poteri” ci rimandano ad alcune figure di newtype della saga di Gundam

Questo numero “taglia corto e semplifica”, forse anche per sopraggiunte esigenze editoriali, ma possiede comunque un buon ritmo narrativo. I disegni di Battisti sono più solidi e convincenti e  una trama fatta più di thriller che di azione si sposa maggiormente  al suo stile. Migliora la caratterizzazione grafica dei personaggi, compare a sorpresa un interessante mecha design, il lavoro sui fondali è più convincente. Le scene d’azione della parte finale sono concitate ma interessanti, davvero “fighe”. 

Meno convincente del primo volume, decisamente meglio del secondo, per ora sospendo il giudizio su questo volume tre in attesa della  lettura del numero finale, in attesa di una svolta che lo completi. Segnalo per ora come comunque il progetto risulti piacevole a una lettura non troppo analitica e ogni tanto sia davvero in grado di sorprendere in modo genuino. Se Death Shield è il primo banco di prova di questi giovani autori, la prossima opera potrà di certo volare più in alto. Correggendo al meglio le asprezze ora evidenti, mettendo più a fuoco i punti di forza. Stando più sui personaggi e il loro mondo e meno sul senso universale che l’opera dovrebbe avere. Ma sono quasi aspetti che si possono aggiustare perché gli autori li vedo abbastanza “vicini” a quell’esito.  Avanti così. 

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