America dei giorni nostri, aeroporto JFK di New York. Mattina presto, già tanti viaggiatori in attesa.
Il giovane barbuto e assonnato Benji Kaplan (Kieran Culkin) attende seduto su una sedia di plastica l’arrivo del cugino David (Jesse Eisenberg). Il segaligno e agitato David ritarda, corre e intanto continua in modo convulso a inondarlo di messaggi vocali: per assicurarsi che Benji sia lì, in tempo, in salute, pronto con i bagagli. Felice di iniziare il loro tanto atteso viaggio in Polonia, per commemorare la nonna scomparsa.
È un tour organizzato che toccherà Varsavia, Lublino, il campo di concentramento di Majdanek e infine porterà i due cugini nei pressi di Krasnystaw, dove si trova ancora la vecchia casa della nonna, anche se ora appartiene ad altri.
È un tour sul loro passato ma anche sull’Olocausto, partecipato per lo più dai discendenti di quelle famiglie che sono scomparse o sono dovute emigrare in America, per cercare un futuro in quell’epoca buia. Un viaggio “nella memoria e nel dolore”, che dovrebbe servire ai cugini a ritrovarsi dopo tanto tempo, ma anche elaborare il loro recente lutto.
Il volo verso Varsavia è rapido, i posti stretti, hostess cortesi. L’incontro con il gruppo previsto per la mattina dopo. David per tutto il tempo appare introverso e schematico, riservato al punto da sembrare antipatico. Sorride solo nel raccontare l’insana passione che condivide con il suo bambino più piccolo: contare e ricordare il numero dei piani di ogni grattacielo newyorkese che vedono: per poi verificare con le planimetrie chi c’è andato più vicino.
Benji non si è ancora sposato e non conta palazzi. Viveva con nonna e ora vive libero e scapestrato. Si ricordava un cugino più allegro, con cui era bello sbronzarsi e passare tutta la notte a zonzo per New York, tra locali e panchine da cui guardare sdraiati le stelle. Benji vuole riconnettersi con quel David che amava un casino fare casino e aveva “bellissimi piedi”: a costo quella notte di inondarlo di canne e alcol, costringerlo a tirare tardi fino al mattino. Se non proprio su una panchina per strada, sul tetto del loro albergo: sempre che riescano a forzare la porta di sicurezza dell’ultimo piano.
La cosa dei piedi un po’ sorprende David. La forzatura della porta blindata all’inizio inibisce ma riesce. È puntuale anche la consegna delle canne, frutto di uno spropositato pacchetto “losco” consegnato a Benji tramite corriere veloce. La serata può aprirsi piacevolmente eccessiva, in un modo tutto adolescenziale, ma da troncare il prima possibile in vista dell’alba.
David a letto ha l’incubo di svegliarsi senza trovare al suo fianco Benji: magari partito senza ritorno per bisbocciare in qualche bar o finito in qualche casino. Ormai Benji bisboccia troppo.
Infatti il giorno dopo David troverà Benji direttamene al bar della hall, brillo ma amabilmente sarcastico, già insieme ai loro compagni di viaggio.
L’empatica e dettagliata guida James, sempre pronta a ricevere consigli e suggerimenti utili (Will Sharpe). La neo divorziata Marcia (Jennifer Grey), depressa ma non del tutto. Gli anziani e compassati coniugi Mark e Diane (Daniel Oreskes e Liza Sadovy) dall’Ohio, un po’ noiosi. C’è nel gruppo anche Eloge (Kurt Egyiawan), un sopravvissuto al genocidio ruandese, ora convertito alla religione ebraica, che per questo in qualche modo “sente un po’ sua” anche la storia degli ebrei polacchi e pronto a dispensare abbracci a chi glielo chieda.
La prima tappa è al “Monumento degli eroi del ghetto”, dell’architetto Leon Suzin, eretto in memoria della rivolta del ghetto di Varsavia del 1943. Imponente e un po’ freddo, geometricamente claustrofobico, ma con al centro figure eroiche, quasi titaniche. Tutti ci scattano una foto, Benji decide che è meglio “partecipare all’opera”: convince il gruppo a mettersi in posa a fianco di quelle figure eroiche, per “combattere con loro”. Trascina tutti, compreso il riluttante David. Trascinerà tutti, per tutto il viaggio, invitandoli a rivivere in prima persona il dolore degli esuli polacchi attraverso una condivisione di emozioni e pensieri forti. Facendosi amare, ma a volte pure odiare, per la sua eccentricità e zero peli sulla lingua.
Non si può del resto andare in un campo di concentramento, se il treno che prendi per arrivarci è una carrozza prima classe full extra.
David osserva il cugino fare quello che da sempre sa fare meglio: “arrivare al cuore delle persone che ha intorno”. Tuttavia prega con tutte le forze che Benji, nella sua continua fuga dalle responsabilità, non torni a cadere, ogni sera, negli eccessi che da sempre auto-distruggono la sua vita.
Riusciranno ad affrontare dritto negli occhi il “vero dolore”, dando una svolta alle loro vite?
Il regista, attore e sceneggiatore Jesse Eisenberg è uno degli interpreti più interessanti del cinema contemporaneo esordiva piccolissimo come volto della pubblicità della Dr Pepper, aveva una particina in The Village di Syamalan, diventava protagonista della commedia horror generazionale Zombieland di Fleischer, assumeva i connotati del creatore di Facebook in Social Network di Fincher, diventava (forse conseguentemente?) il super cattivo Lex Luthor per il Superman di Snyder. Al contempo veniva eletto da Woody Allen a suo alter-ego in To Roma with love e poi in Cafè Society, dava la voce al pappagallino Blu in Rio, partecipava a gioiosi disastri come American Ultra e a interessanti horror a sfondo sociale come Vivarium. Il suo debutto alla regia avviene nel 2022 con la commedia Quando avrai finito di salvare il mondo, una storia sul difficile legame tra padre e figlio. A real pain è il suo secondo film ed esplora nuovamente il mondo delle relazioni familiari.
Kieran Culkin, fratello più piccolo dell’attore-bambino prodigio Macaulay Culkin di Mamma ho perso l’aereo, esordisce di fatto pure lui nel classico di Natale di Columbus, nel ruolo di Fuller, cuginetto intollerante alla Pepsi del protagonista. Nei suoi ruoli di attore bambino non si può dimenticare quello del figlio di Patricia Arquette, nel classico action Accerchiato, con Jean Claude Van Damme. Nel 2010 è nel cast del bellissimo Scott Pilgrim, nel 2013 riesce a finire dentro a Movie 43, definito tra i film più brutti della storia del cinema. Una vita personale complessa lo ha allontanato per molto tempo del set, ma ora è tornato più forte di prima.
Jesse Eisenberg scrive e dirige un “film a due”, nella struttura narrativa simile a una piece teatrale, lineare ma ricchissimo di sfumature, quasi tutto al servizio del talento del bravo Kieran Culkin.
Un lavoro di altissima “sartoria”, che permette ai due protagonisti principali di esprimersi a trecentosessanta gradi, andando a comporre una storia che da commedia on the road passa con disinvoltura a farsi tragedia familiare, satira e ricostruzione storica. In alcuni frangenti quasi un action movie, ma pure un film meta-narrativo: sull’arte di raccontare la Storia e le emozioni attraverso le parole e i luoghi.
Il “dolore reale” (in originale “Real pain”), quello che nasce dalla difficoltà di costruire o preservare dei “ponti emotivi” tra le persone, ponti inevitabilmente recisi “dalla Storia o dagli eventi”, diventa l’unica bussola emotiva da preservare al centro della scena. Un dolore da affrontare con rispetto, ma anche sagacia. Con titanica autoironia, poesia, magari con il black humor, ma sempre con la consapevolezza che è una parte interiore con la quale bisognerà prima o poi cercare di fare i conti: perché altrimenti può portare alla autodistruzione.
A Real Pain è un film che “sa scavare” dentro all’animo dei personaggi, con una leggerezza e dinamismo che lo rendono vicino a opere come “Qualcosa è cambiato” di James L. Brooks. Ma il viaggio nella memoria degli esuli polacchi, vissuto attraverso i luoghi reali in cui si è perpetrato il genocidio, offre una dimensione tragica ulteriore: vivida quanto spietata.
Eisenberg è riuscito a intrecciare trama e dialoghi con assoluta eleganza e passione. Culkin ha dato fondo anche al suo tormentato vissuto personale, per costruire un personaggio unico e indimenticabile, che non a caso quest’anno gli è valso l’oscar come migliore attore agli Academy Awards.
A Real Pain è un piccolo film che riesce con estrema facilità a fare breccia negli spettatori. Una pellicola preziosa.
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