mercoledì 4 ottobre 2023

Talk to me: la nostra recensione del nuovo Horror targato A24, esordio alla regia per Danny e Michael Philippou, una coppia di giovani e talentuosi autori provenienti dal mondo dei social

 


Australia del 2023. L’ultimo sballo per animare le feste degli adolescenti è in breve diventata una curiosa “mano mozzata bianca”, ricoperta da strani segni “magici”.

Chi la porta alle feste, in genere nascosta in un borsone da palestra, non conosce tutta la storia di questo oggetto, da dove venga di preciso come il fatto che sia unico al mondo o ce ne siano in giro più copie. La mano è arrivata a lui per strane vie, da “un amico di un amico” come dalla soffitta di qualche famiglia eccentrica: c’è chi dice che sia solo un oggetto esoterico in gesso o simile di cattivo gusto, ma per molti al suo interno nasconde una “mano vera” che forse è stata di una strega, forse di un’indovina o addirittura di un demone. Qualunque sia la verità, la mano “funziona”. Con le giuste precauzioni e seguendo con attenzione un rito preciso, chi stringe quella mano recitando una formula che si apre con le parole “parla con me”, può venire in contatto ed essere posseduto temporaneamente da uno spirito che si trova nell’aldilà. 

Serve un tavolino dove appoggiare la mano e una sedia dove chi prova il rito può accomodarsi. Serve una candela per aprire il rituale e qualcuno che tenga il tempo perché non si superi il minuto, limite oltre il quale l’esperimento si dice diventi troppo pericoloso. Serve una corda per legare alla sedia la persona che si sottopone al rito onde evitare che qualcuno si faccia male, perché gli spiriti sono spesso irrequieti e cercano di muoversi e contorcersi. Bisogna alla fine della seduta spegnere la candela e chiudere con una formula, perché tutto termini per il meglio. Nel mezzo, c’è solo lo sballo. Anche le persone più timide appena toccano la mano possono diventare esibizioniste e senza freni, venendo travolte da sensazioni folli, proprie e “specifiche” di un'anima ultraterrena. C’è chi inizia parlare fluentemente lingue mai conosciute, c’è chi inizia a muoversi a scatti. Cantano, piangono e sbavano. Minacciano, insultano e sputano. Guardano gli altri partecipanti al rito in modi indicibili, terrificanti e grotteschi, mentre con il cellulare acceso riprendono tutto, ridendo e prendendo in giro tanto il fantasma che il posseduto, che da lì a poco saranno entrambi presi in giro su tutti i social della rete. Passato il minuto, quando lo spirito diventa troppo forte per essere contenuto, tutto precauzionalmente finisce. Il posseduto è di nuovo libero e urla in genere “che sballo!!” e il turno passa a un’altra persona del gruppo per un nuovo sballo, nuovi video da condividere, nuove risate e possessioni per tutta la sera. Si dice che qualcuno che ha provato il rito della mano sia morto in circostanze strane, anche durante proprio una di queste “feste”. Ma in fondo a queste storie non ci crede nessuno o se è successa una tragedia simile sarà stato per altri motivi. Lo sballo è troppo bello e divertente per rinunciarci e chi ha il coraggio di superare anche di poco il minuto, la massima “dose di fantasma consentita”, in genere è acclamato come un eroe. 


La diciassettenne Mia (Sophie Wilde) è una ragazza che dopo la scomparsa della madre malata, a seguito di un incidente con le dosi dei farmaci, vive per lo più a casa dall’amica coetanea Jade (Alexandra Jensen). Mia, che non riesce più a parlare con il padre, che accusa della disgrazia, si presta con piacere ad essere per tutto il giorno la babysitter del fratellino di Jade, il dodicenne Riley (Joe Bird), aiutandolo con i compiti e preparando da mangiare per tutti. Nella speranza di poter contattare la madre nell’aldilà, quando la storia della mano mozzata arriva anche a Mia, la ragazza inizia a frequentare i coetanei in possesso del misterioso artefatto, riuscendo presto a partecipare alle loro feste esclusive. Durante una possessione a cui assiste, Mia ha come la sensazione che uno degli spiriti che cercano di entrare in contatto con il gruppo sia proprio la madre, motivo per cui decide di sottoporsi personalmente al rito la volta successiva. La sera del grande evento arriva, ma Mia non riesce a lasciare a casa Riley, che vuole a tutti i costi assistere al rito e si imbuca alla festa. L’esperienza della ragazza è strana: appena toccata la mano entra in contatto con lo spirito di una donna anziana, orribile quanto lasciva. Mia si esibisce in smorfie orribili mentre tutti ridono e filmano, ma alla fine del rito è tutta esaltata e pronta a fare “un nuovo giro di giostra”. Anche Riley, che in quel contesto è il più piccolo, viene spinto dal gruppo a stringere la mano come “prova di coraggio”. Il ragazzino è spaventato quanto eccitato dalla possibilità. Mia è contraria, ma si lascia convincere a sottoporlo ad una “dose mini”, intorno ai 30 secondi massimi di contatto. La candela si accende, viene pronunciata la formula, Riley stringe la mano e quella che incontra, dall’aldilà, è proprio la madre di Mia. La ragazza la riconosce subito e vuole parlare con lei il più possibile, scoprire se è stato magari il padre a ucciderla, avere parole di conforto. La madre è confusa e spaventata, parla in modo lento e scoordinato mentre i secondi passano ma Mia insiste, vuole che il rito arrivi almeno al minuto e non lo fa terminare nemmeno quando arriva al minuto e mezzo, pur ricavando solo risposte incomprensibili. Riley, dopo essersi dimenato a lungo, ancora in stato di incoscienza si libera dalle corde e con una forza sovrumana inizia a picchiare la sua testa sul tavolo e poi sui muri, bucando le pareti e coprendosi di sangue. Il ragazzo sviene e entra in coma. Overdose da fantasmi. Tutti i partecipanti al rito sono spaventati dall’accaduto e si rimpallano le colpe. A Mia viene vietato dalla madre dell'amica (Miranda Otto) di fare visita in ospedale a Riley, che le ricorda di come un tempo la ragazza abbia già avuto problemi con l’alcol e ora abbia fatto patire “qualcosa di simile” a suo figlio. Mia è convita della causa soprannaturale del coma ed è intenzionata a salvarlo a tutti i così, affrontando nuovamente la mano monca e scoprendo quanto più possibile sulla sua origine. A complicare le cose, ogni tanto il fantasma della anziana donna lasciva del suo rito le compare davanti all’improvviso e sembra che anche altre persone che si sono sottoposte al “gioco” abbiano ricevuto visite dai “loro” fantasmi. Qualcuno inizia a morire e i fantasmi sembrano rivendicare nuovamente i corpi dei propri posseduti. Lo “sballo da fantasma”, esaltante e divertentissimo, è sempre più un ricordo. Riuscirà Mia a salvare Riley e a salvare se stessa dagli effetti collaterali della “dipendenza dai fantasmi”?


I fratelli Danny e Michael Philippou, dopo aver partecipato nel reparto tecnico alla produzione di una pellicola come Babadook (elettricisti/reparto montaggio) e dopo aver intrapreso una fortunata carriera sui social media, nella quale sono diventati esperti nel confezionare video e piccoli corti a tema Horror di grande successo, hanno infine conquistato con questo progetto il cuore della celebre casa indipendente A24, che ha offerto loro la possibilità di realizzare questo loro primo lungometraggio. Un budget contenuto ma che al contempo permettesse una piena libertà creativa, un gruppo di giovani attori poco noti ma adeguati al ruolo capitanati dalla brava Sophie Wilde e un reparto tecnico di tutto rispetto, frutto dell’esperienza della coppia, vengono in Talk to me messi al servizio di una idea particolarmente originale, facilmente “espandibile” quanto “trasgressiva”. Un autentico “high concept”, per dirla come Justin Wyatt, in grado di stuzzicare la “fame di horror” di un pubblico sempre più giovane e variegato, quanto in cerca di emozioni e “paure” nuove. Come It follows di David Robert Mitchell, Talk to me sceglie di raccontare metaforicamente attraverso il cinema di genere, ma con molta attenzione e originalità, una delle principali paure reali degli adolescenti di oggi, giocando con le trasgressioni, i riti e simboli della cultura, schivando la retorica e creando intrattenimento. It follows, che piacque molto anche al regista Quentin Tarantino, era un horror “zombesco” che parlava “tra le righe” di come affrontare i primi sussulti di sessualità in tutte le loro forme: delle conseguenze emotive del sesso occasionale non protetto sino ad arrivare, più sottilmente, alla “paura ad amare”. Lo faceva rappresentando una storia con protagonisti dei ragazzi immersi in una maledizione “simile a una malattia venerea”, a base di mostri che dopo il contagio inseguivano le vittime a piedi, lentissime, per molti anni se non per sempre, per tutta la vita, fino a raggiungerle e ucciderle, in caso loro non “infettassero/rendessero dipendenti/fertili” altre persone. Talk to me fa lo stesso e ci parla, senza stare neanche troppo tra le righe, delle “gioie e disgrazie dello sballo”: uno sballo che realisticamente, fuori dalla finzione cinematografica dello “sballarsi di fantasmi”, può imputarsi tanto all’alcol che agli stupefacenti. Uno sballo che è estensibile pure all’oggi attualissimo cinismo da “abuso dei social”, che il film di fatto ci mostra raccontando l’indifferenza ludica dei “filmati sui posseduti” realizzati da dei ragazzini “per divertirsi”, incuranti del rischio reale alla vita delle persone che riprendono. Usi e abusi di fantasmi come di alcol, stupefacenti e social, vengono vissuti all’inizio nell’accezione primaria di una necessaria ”fuga dalla realtà”. Una ilare fuga dalla noia momentanea che può anche articolarsi ed estendersi in fuga dal quotidiano, fuga dal lutto e dalla depressione, fino alla fuga dal reale verso la trascendenza, l’infinito e oltre, alla ricerca di un significato più alto della vita e in chiave “horror” oltre la vita. Tutte fughe che rovinosamente diventano prima o poi dipendenze, che dopo aver demolito ampiamente la vita relazionale possono pure portare alla malattia cronica, al coma e alla morte (o alla alienazione e ai deficit di ragionamento e concentrazione, nel caso dell’abuso da social). Come nel caso delle overdose, quando l’illusione di poter toccare il sublime e il trascendente in una botta sola evapora o quando, come nel caso del film, il trascendente si rivela (in uno dei momenti più belli e terribili della pellicola) uno spettacolo decisamente più angoscioso del “dantesco canonico”. Tutti i protagonisti della pellicola vanno oltre lo sballo e ne pagano le conseguenze, diventando le tragiche vittime di un gioco crudele che da subito può essere percepito come “sbagliato” e umiliante, cattivo e pericoloso. 


Un gioco che accettano comunque lucidamente di giocare. 

La storia si sposta poi sul “rimediare agli errori” e presenta ai protagonisti un conto da pagare altrettanto lucidamente spietato, che non fa sconti né favori. 

I due registi affrontano con convinzione e intelligenza questo magma emotivo, presentandoci personaggi che con l’evoluzione della trama diventano sempre più sfaccettati e “umani”, senza però dimenticarci di sorprenderci con un meccanismo orrorifico semplice quanto sempre esaltante. I fantasmi quando si manifestano fanno decisamente sobbalzare sulla sedia, sono ben caratterizzati e soprattutto disturbanti, quasi grotteschi. Il loro manifestarsi all’interno del rito è inevitabile e questo rende il gioco ancora più eccitante. La paura e l’eccitazione si sovrappongono in modo molto riuscito e appagante nelle scene di evocazione, mentre una tensione di fondo, dovuta al fatto che i fantasmi poi iniziano a presentarsi a sorpresa anche oltre i “limiti del gioco”, rimane presente e strisciante per tutta la visione, facendo provare allo spettatore vette di paranoia notevoli specie nella parte dove si palesa la deriva più “dantesca” della pellicola. Nel pre-finale l’opera cambia un po’ ritmo e si accartoccia in un paio di sequenze un po’ labirintiche e irrisolte. Si spinge verso una deriva narrativa quasi depotenziata, anticlimatica, forse timorosa di esplorare territori che sarebbe opportuno conservare per un secondo o terzo film, nella prospettiva conservativa di una buona idea che può facilmente diventare franchise. Ma in realtà verso il finale anche questo momento di caos viene in qualche modo contenuto/perdonato/giustificato, quando infine, sempre nell’ambito della metafora, la storia riesce a tirare le fila e rappresentare bene, quasi in modo plastico, un altro aspetto tipico dei problemi legati alle dipendenze. Questa soluzione finale ripropone uno dei meccanismi più noti e crudeli conseguenti a ogni genere di dipendenza e i due registi riescono a metterlo in scena al meglio, con intelligenza e anche  una piccola ironia. 

Il primo film dei fratelli Philippou ha una trama originale con tantissimi punti di interesse, un messa in scena chiara, efficace e debitamente “orrorifica” e dei buoni attori che rendono meno scontato e più intrigante l’intreccio. Ci sono alcuni problemi nel ritmo generale dell’opera, come nel secondo tempo alcune situazioni un po’ labirintiche, ma l’ultima parte funziona, pur lasciando magari in qualcuno una punta di insoddisfazione, che andrà magari a limarsi con un secondo capitolo. 

Nell’insieme un’ottima opera prima per una coppia di registi da cui ci aspettiamo molto nel prossimo futuro. Cosa potranno mai inventarsi dopo lo “sballo da fantasmi”? 

Talk0

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