giovedì 26 ottobre 2023

Foto di famiglia: la nostra recensione del delicato e commovente film di Ryota Nakano, ispirato ai libri fotografici di Masashi Asada

Siamo nel Giappone dei giorni nostri, nella cittadina costiera di Tzu, nella prefettura di Mie. Ci troviamo nella casetta di due piani dove vive la famiglia Asada ed è un giorno molto triste, perché è venuto a mancare il capofamiglia, Akira (Mitsuru Hirata). 

Sono tutti presenti, nipotini compresi, quando il primogenito, l’impiegato trentenne Yukihiro (Satoshi Tsumabuki), guarda nuovamente l’orologio in attesa che si palesi alla porta l’ultimo ritardatario, il suo scapestrato fratello minore, il fotografo Masashi (Kazunari Ninomiya). Quando questo appare infine al capezzale del genitore, con lo sconcerto e imbarazzo generale insiste perché venga esposta la foto del padre con la sua uniforme da pompiere. Solo che il padre Akira aveva passato tutta la vita ad occuparsi della casa e non è mai stato davvero un pompiere! 

È qui che inizia, andando a ritroso nel tempo, la storia degli Asada: a partire da quando a essere incaricato di realizzare le foto di famiglia è stato proprio un giovanissimo Masashi, ricevendo come “investitura” la macchina direttamente dal padre, quando non aveva più di dieci anni. 

Masashi da allora ha sempre avuto un rapporto molto speciale con la fotografia, cercando di usarla solo per raccontare le emozioni forti più che i soggetti in posa. Realizzando una delle sue prime foto, che avrebbe cambiato per sempre la sua vita sentimentale facendogli trovare di fatto la compagna della sua vita, aveva dichiarato il suo amore alla coetanea Wakana (da adulta Interpretata da Haru Koruki) poco prima dello scatto, perché lei sapesse esprimere, per sempre e al meglio, sul negativo quel sentimento. I lavori del piccolo fotografo sapevano creare emozioni, ma quando non era in grado di “costruire quella magia” attraverso le foto, era come se il ragazzo si spegnesse. Non amava particolarmente lo studio o la compagnia, passava intere giornate a fissare il mare dal molo. Era taciturno e sembrava più di ogni cosa coltivare una strana passione per le tartarughe randagie di cui osservava ogni mossa e spostamento lungo i corsi d’acqua cittadini.

Arrivò un concorso scolastico dal titolo “racconta la giornata più bella delle tua vita”. Masashi pensò a quando da piccolo, per colpa della cera sulle scale, finirono lo stesso giorno in ospedale lui, il fratello e poi il padre. Tutti e tre nella stessa stanza, sotto le cure amorevoli della madre infermiera Junko (Jun Fubuki), che non sapeva se essere più sconcertata o divertita. Tutti gli Asada insieme, coperti di cerotti e bende, quella sera a mangiare ridendo con lei in reparto. Masashi quasi dieci anni dopo volle ricreare quella foto coinvolgendo tutta la famiglia a indossare di nuovo i cerotti e pigiami da ospedale, tutti parteciparono al “piano” e lui vinse un premio prestigioso. Per poi subito dopo tornare a deprimersi per anni, fissare il mare, le tartarughe. 


Incombeva su di lui un posto di lavoro da guardiano notturno procuratogli dalle conoscenze del fratello o in alternativa un impossibile viaggio a Tokyo insieme a Wakana per fare di nuovo fortuna con la fotografia. Gli serviva come biglietto da visita per il successo un album fotografico, e allora Masashi decise di realizzare degli scatti che rappresentassero i grandi sogni mai realizzati della sua famiglia. Il padre Akira da piccolo voleva fare il pompiere e allora con la complicità della locale caserma, facendosi prestare divise e autopompa, tutti gli Asada posarono come eroici vigili del fuoco. Jun avrebbe voluto essere la moglie di un gangster e tutti gli Asada posarono vestiti da terribili criminali. Yukihiro voleva fare il pilota di formula 1 e la famiglia fece foto al circuito, ma i sogni si moltiplicavano. Gli Asada come partito politico in campagna elettorale, gli Asada ubriachi al bar, gli Asada supereroi, rockstar, gestori di un ristorante. Tutte foto piene di complicità, gioco e ironia che facevano ridere chiunque le vedesse, che dopo qualche difficoltà e il passaparola diventarono un libro che rese famoso il fotografo a livello nazionale. Masashi dopo l’ennesima pausa decise di fotografare i sogni delle altre famiglie e partì in giro per il Giappone, con lo stesso intento giocoso e voglia di ritrarre persone felici in situazioni assurde. A volte costruendo dei piccoli set pieni di “effetti speciali casalinghi”, come dei ventilatori per lanciare per aria dei fiori di ciliegio fuori stagione. Non fece quasi mai ritorno a casa per molti anni, completamente assorbito dalla sua arte. Poi un giorno, nel 2011, quando il nuovo album era quasi pronto, un terremoto colpì la regione del Tohoku. Era il luogo dove aveva scattato le foto alla prima famiglia protagonista del suo nuovo album. Masashi andò a cercarli tra le macerie e finì per rimanere lì come volontario per molto tempo, raccogliendo e pulendo in una scuola tutte le foto di famiglia, ritrovate tra il fango e le macerie delle case distrutte. Una bambina rimasta orfana di padre, del quale non si ritrovava alcuna foto, gli chiederà lì un giorno di realizzare la foto impossibile della sua famiglia ancora al completo. Riuscirà il fotografo a realizzare nuove foto di famiglia e a trovare il tempo per non dimenticarsi in futuro della propria famiglia?


Divertente, ironico, pieno di dolcezza e molto malinconico, arriva nelle sale Foto di Famiglia, ispirato alla storia vera del fotografo Masashi Asada. È un film che ci parla delle difficoltà fisiche, lavorative ed emotive di vivere al fianco dei propri cari, a volte sublimate dai ricordi e dalla nostalgia. È un film che parla della fotografia come di una possibile finestra aperta sulle emozioni, dove ogni scatto può essere qualcosa di intimo, surreale e magico come un’opera di Michel Gondry. È un film sulla famiglia (nell’accezione di “tutti i tipi di famiglia possibili”), ma anche per “estensione” sulle “famiglie di volontari” delle associazioni impegnate nel campo della solidarietà, intese parimenti come luoghi di incontro e sostegno reciproco, dove poter trovare una strada comune in cui riconoscere il proprio posto nel mondo, specie nei momenti più difficili. È un film sulla solitudine degli artisti, spesso intenti a perseguire il loro lavoro, travolto dalle passioni, fino dolorosamente a dimenticarsi di vivere a fianco delle persone a cui vogliono più bene. Con garbo e ironia fa questo il film di Ryota Nakano, trasportandoci nel primo tempo in un Giappone gentile e colorato da commedia, che poi nel secondo diviene drammatico, tragico e coperto di fango, a fianco di famiglie che vengono più volte spezzate e ricostruite proprio grazie alle fotografie, grazie al carico emozionale che questi piccoli oggetti sono in grado di irradiare anche nei momenti più duri. 

Molto bravi tutti gli interpreti nel saper bene cogliere l’incredibile “leggerezza” del racconto, melodico e agrodolce quasi come un film della Pixar. Molto bravo Ryota Nakano a giocare nello stesso campo grafico ed emotivo di Michel Gondry, dove ogni fotografia immaginata dal protagonista diviene una costruzione scenica tra sogno e cartapesta. 

Ci si affeziona fin dall’inizio a tutti gli Asada e a Wakana, qualche volta sentendosi confusi, un po’ attoniti e “persi nell’arte” come il nostro protagonista fotografo, interpretato da un Kazunari Ninomiya qui lunare, entusiasta quanto fragile.  

È un film che “fa stare bene” e un po’ commuovere, ma che a fine visione si vorrebbe rivedere subito da capo, per cogliere le mille sfaccettature emotive e visive con cui è stato realizzato.

Se siete in cerca di un film dove i buoni sentimenti vengono rappresentati in un modo gioiosamente eccentrico e mai banale, preparate i fazzoletti e buona visione.

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