sabato 21 novembre 2020

Kill chain - uccisioni a catena: la nostra recensione di un simpatico action b-movie con Nicholas Cage

 

 


Un giorno questo blog recensirà tutti i film con Nicholas Cage. È un impegno di vecchia data che dobbiamo mantenere con quello che è uno dei nostri numi tutelari, l’uomo che con la sua pazzia affronta a muso duro ogni sfida cinematografica che gli si presenti. Anche quando non è in vena, la storia è brutta, il budget ridicolo: Cage c’è. Si mette una faccia da matto, indossa strani parrucchini ed è dentro l’azione, perché “Lui” è l’azione.

Kill chain è un filmetto. Te lo dice subito, con una “sigla di testa” che pare un telefilm tipo Squadra Cobra 11, te lo ripete quando Nick Cage entra effettivamente in azione dopo 45 minuti, come Stallone di Escape Plane 2. I primi 45 sono così “bypassabili” che potreste gustare il film saltandoli del tutto e arrivando alla “ciccia”. Quindi fate partire il film, cucinate i pop corn, fate un paio di telefonate e iniziate ad accomodarvi sul divano dopo la metà abbondante. Il nostro Nick gestisce un alberghetto pieno di alcol e mobili sfondati in qualche paese caldo del Sud America. Una sera gli arriva una donna in vestito rosso che vuole una camera, seguita subito dopo da un paio di sgherri armati. Presto tutti tireranno fuori pistole e partiranno intrighi, doppi e tripli giochi, con in mezzo a tutto un “tesoro”. Ma Kill Chain rimane un film “situazionale”, con Cage dietro al bancone della reception/bar dell’alberghetto che parla un casino, come in un film di Tarantino, giusto in tono minore. Si potrebbe anzi dire che al 90% Kill Chain sia come la scena della barzelletta al bar di Tarantino nel Desperado di Robert Rodriguez. Si spara, ma è un po’ confuso. Si parla, tanto, ma è una gioia. Perché tutti i personaggi chiacchierano in modo cool e buffo, amano “ascoltare storie”, trovano degli impossibili ma gustosi momenti di cameratismo, discutono di onore, passato e sogni, puttanate. Il tutto abbassando la canna di un fucile e sedendosi a condividere una bottiglia, per poi riprendere subito dopo le schermaglie. Così non è infrequente che assassini armati di fucili di precisione si trovano a parlare di “cuoci-riso” e subito ci troviamo “a casa”, in una pulp fiction. Ogni tanto qualcuno parla in spagnolo e la traduzione a schermo rende quasi fumettosa l’atmosfera generale. Funziona bene, si vede che è fatto con due lire, ma è dignitoso. Ken Sanzel, dopo aver buttato mezzo film, scrivein modo appropriatamente “logorroico” quanto “surreale”, dirige con mano sicura un tour di topoi stra-noti ma lo fa divertendosi e divertendoci. Ed è tutto merito di Cage se le cose vanno in porto. Il suo personaggio è occhialuto e compassato, simpatico e inoffensivo, ma è solo un’impressione. Appena gli viene concessa la possibilità di “tarantinare” qualche dialogo il nostro eroe si scioglie e rivela un background assurdo, folle, imprevedibile. Tutto contornato con il suo amabile sguardo elettrico, febbricitante. Anabelle Acosta, la “ragazza in rosso”, purtroppo non buca e lasciare a lei la gestione della prima parte della storia non ha aiutato. Angie Cepeda dà corpo a un personaggio femminile ugualmente insipida. Premio stima per Alimi Ballard ( ilkiller curioso), Eddie Martinez (Sanchez) e il simpatico Yusuf Tangarife (il killer Rasta) che avrebbero dovuto stare più tempo su schermo. Tarantino ci avrebbe fatto un film intero sui tre killer che parlano con Cage in questo albergo, si raccontano storie e tutto il resto. Le intuizioni buone ci stavano, Tarantino avrebbe dato motivazioni migliori al cast femminile e avrebbe licenziato sul tronco il tizio della colonna sonora. Ma qui non c’è Tarantino. La colonna sonora c’è, è di tale Mario Grigorov, moscissima nel suo giocare con le chitarre distorte di qualche band di scuola superiore. Per fotografia, ritmo e azione, tutto ciò che sta fuori dall’hotel e in genere tutta la prima parte del film, lo spettacolo è così scarso e  le cose girano così lente che sembra di stare davvero, troppo, in un telefilm tedesco. Taccio su tale Ryan Kwanten, attore belloccio e inespressivo che infesta i primi 45 minuti.  Amazon Studios produce, 96 minuti che sono la durata perfetta per un film di questo tipo. I primi 45 minuti purtroppo sono “non pervenuti”, potevano farci un altro film di 45 minuti e sarebbe stato un film a episodi più riuscito, ma non l’hanno fatto. Tirando le somme: da vedere in seconda serata, nel dormiveglia, concedendo un occhio a Cage, può essere simpatico e quasi sorprendente, fatto “nel modo giusto” di un gangster movie molto “narrativo”. Peccato che a una seconda visione, più lucida e critica, rimanga per lo più l’effetto simpatia. Ma Cage di simpatica ne ha comunque anche qui a pacchi. 

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