mercoledì 31 luglio 2019

Nevermind - la nostra recensione della commedia nerissima e surreale di Eros Puglielli



 Uno psicologo viene investito da un camion, perde la memoria e la sua capacità di aiutare i suoi pazienti. Come La segretaria di uno studio legale angustiata da un avvocato inspiegabilmente ossessionato dal comportarsi in modo perversamente lurido, come un aspirante chef amante della precisione perseguitato da un collega di lavoro superficiale, molesto e inspiegabilmente adorato da tutti. Per colpe indirette comunque riconducibili sempre allo psicologo "non più funzionante", una coppia si trova sul lastrico ed è costretta ad accettare lavori assurdi, come fare da babysitter a un bambino che forse non esiste, o a riallacciare i contatti con vecchi amici diventati quanto più inquietanti nel loro richiudersi nella più chiusa delle province italiane. 
Già il titolo di questo film, Nevermind, che tradotto significa "non pensarci", prepara lo spettatore a non stare troppo a cadere negli schemi logici, invitandolo a godersi il tuffo in una commedia nero pece amabilmente scorretta quanto inquietante a livelli kafkiani. 
C'è una massima di Aristotele, riportata ingegnosamente all'inizio del film, che recita più o meno: "Se c'è una soluzione/rimedio, perché ti preoccupi? Se non c'è una soluzione/rimedio, perché ti preoccupi?". La frase è un invito a non fare quello che fanno i personaggi di questa commedia. "Nevermind", non dobbiamo preoccuparci troppo, spendendo nella preoccupazione/comprensione tempo che si potrebbe destinare a fare l'unica cosa possibile "sopravvivere e adattarsi" a una situazione. Esattamente come in un horror. Certo che il mondo descritto dal film di Puglielli è un vero agglomerato di Leopardiana natura matrigna in cui anche la fuga (reale quanto psicologica) non è permessa. Mi viene quasi spontaneo (ma da paraculo) affiancare, a supporto di questo ragionamento, anche una frase tratta dall'Amleto di Shakespeare: "È una bella prigione, il mondo". Non a caso un testo che parla di pazzia. Questo mondo surreale (e quindi la vita dei personaggi di Puglietti) è davvero una bella gabbia di pazzi nella quale, "pur preoccupandosi", è difficile scovare un senso che poi magari "un senso non ce l'ha" (direbbe Vasco). Anche Bacone, davanti alla follia degli "aguzzini" di Nevermind, avrebbe da precisare come: "Il mondo è stato fatto per l'uomo, non l'uomo per il mondo". Ci dobbiamo quindi adattare pure all'assurdo, pure al folle, con il conforto di Seneca che chioserebbe: "Vuoi ottenere la vera libertà? renditi schiavo della filosofia!". E così, perpetrando questo gioco di citazioni invero facilissimo ai tempi di internet (andate a spulciarvi l'interessantissimo sito"filosofico.net") si potrebbe tornare circolarmente ad Aristotele e alla sua affermazione: "La filosofia non serve a nulla, dirai; ma sappi che proprio in quanto priva del legame di servitù (a qualsiasi folle regola di un mondo di pazzi) è il sapere più nobile". Ed ecco che arrivo alla mia confessione più intima, la "filosofia" che ha sempre retto il mio stile di vita, la cosiddetta "legge di Murphy" del maestro Arthur Block: "Se qualcosa può andare male, andrà male". Come a dire, la sfiga (che può manifestarsi benissimo nel dover vivere a fianco di persone scriteriate, non solo nella proverbiale buccia di banana su cui cadi) è vera! Tenetene conto e almeno preparatevi, sempre, ad avere un piano di riserva!! E pensate che mentre vi parlo di queste fesserie, ho appena preso il treno sbagliato e sa Dio e Arthur Block quando arriverò a casa trovando le giuste coincidenze. Questo perché il piano di riserva ti servirà sempre nel momento in cui non ne hai elaborato uno, e quindi sadico, ma anche un po' sarcastico, Block ci ricorderebbe: "Se qualcosa doveva andare male, ci andrà". 


Questo è il senso del film non-sense di Puglielli; il fatto che è da cretini perdere tempo a trovare un senso nelle cose... perché siamo in un film non-sense, cavolo!!! Cercare qualcuno che fornisca delle soluzioni per capire il mondo è sbagliato e futile, e non a caso i custodi "del sapere e della conoscenza" presenti nella pellicola, gli psicologi, vengono periodicamente neutralizzati. Cercare di trovare degli schemi mentali o dei "rituali" che possano avere un qualche effetto è ugualmente futile, perché se funzionassero dimostrerebbero che una pur strana logica è possibile. Cercare di assecondare la pazzia, porta solo ad altra pazzia. Rendere evidente che una cosa è folle, non aiuta in alcun modo alla comprensione del perché quella storia è folle.
Non ci resta che guardare agli amabili e sfortunatissimi eroi della pellicola di Puglielli come a degli indomiti titani fantozziani. Prossimi all'inevitabile fallimento, cercano una medicina per migliorare il loro mondo o per lo meno si sforzano di capirlo. Non siamo lontani dal titanismo del recente e riuscito Il grande salto di Tirabassi, anche se la struttura ad episodi scelta da Puglielli dà un sapore diverso per ritmo e "spietatezza", avvicinandosi per carattere se vogliamo di più a quel manifesto di umane pazzie che fu I Mostri di Dino Risi. Difficile scegliere l'episodio più gustoso del film, perché mi piace pensare che a certe "coordinate" un po' tutti siamo capitati nella vita davanti a situazioni che se non sono state assurde come quelle della pellicola, poco ci mancava.  Rimane impresso per me più di tutti l'episodio della babysitter del bambino "invisibile", per via della incomunicabilità dei sentimenti, ma anche lo sconfortate e nichilista segmento sulla provincia e l'episodio dello studio legale, quello dal taglio più "politico" se vogliamo, sono decisamente sulfurei e abrasivi. L'episodio dello chef poteva essere quasi un film a sé stante, qualcosa dalle parti di Ai confini della realtà. È probabilmente il meno cattivo, salvo un colpo di scena finale davvero spiazzante. L'episodio dello psicologo investito ha più il sapore di una lunga barzelletta cattiva, ma funziona benissimo nel legare tutti i fili narrativi e nel trarre la morale finale... che ovviamente è in linea con la premessa iniziale. Un buon ritmo narrativo, attori decisamente ispirati e delle idee scenografiche non banali, coprono in parte una fotografia forse troppo convenzionale e alcuni sfilacciamenti generali che non permettono alla pellicola di essere un cult. Ma Nevermind rimane un film carinissimo, sulfureo e dallo humor inglese che non mancherà di attirare a se gli orfani del ragionier Fantozzi e della commedia italiana cattiva che fu.
In genere delle commedie italiane ammiro l'impegno nella scelta dei contenuti e nella sinergia tra gli attori, ma sono poche quelle che mi fanno davvero sbellicare dalle risate. Nevermind mi ha fatto (cattivamente) ridere molto e ve lo consiglio se anche voi non vedete l'ora di vedere un film che vi faccia ridere (cattivamente). 
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