martedì 18 settembre 2018

I fiori della guerra, di Zhang Yimou



1937, Nanchino. Siamo nel pieno dell'invasione giapponese quando in una chiesa cattolica compare un uomo misterioso di nome John Miller (Christian Bale), che dice di essere un prete ma non ne ha nessuno dei modi. Nella chiesa sono presenti alcune studentesse e presto si uniranno al gruppo anche delle ragazze del quartiere a luci rosse, tra cui la bella Yu Mo (Ni Ni). La guerra all'esterno continua a mietere vittime per le strade, mentre i pochi scampoli dell'esercito cinese ancora in vita, tra cui il maggiore Li ( Tong Dawei) fanno di tutto per salvare i civili. A seguito di un brutale attacco alla chiesa, la situazione sembra trovare un momento di pace, quando il colonnello Hasegawa (Atsuro Watabe) decide di voler assistere all'esibizione di canto delle collegiali. 
I fiori della guerra è un film sulla guerra, un film sulla società e un film sul contrasto tra realtà e apparenza. Tutti temi che in molti momenti della pellicola coincidono e si sovrappongono in modo originale, a volte "eroici", a volte inaspettati. L'abito che i protagonisti indossano come preti, come soldati, come studentesse e prostitute, rappresenta al tempo stesso una corazza e un limite alla definizione del loro mondo interiore. In una trama che si dipana in modo preciso quanto geometrico ogni personaggio segue un processo di ridefinizione del proprio ruolo sociale, cambiando d'abito quanto di stato d'animo.
Il regista Zhang Yimou negli ultimi anni ha in larga parte abbandonato il suo forte cinema di lanterne rosse e temi sociali, vissuto per lo più al fianco della sua musa Gong Li, contribuendo invece alla ridefinizione e valorizzazione dei film di cappa e spada, anche sul piano "intellettuale", che tra pugnali volanti e città proibite si è posto con un volto rinnovato e più attraente per i palati occidentali. Insomma, i tempi di Keep Cool sono finiti e come John Woo e Ang Lee prima di lui, anche il nostro benemerito Zhang flirta sempre più con Hollywood, facendosi al contempo ambasciatore culturale del suo paese e fautore di "operazioni amicizia" come il recente The Great Wall. Pace. Rimane inconfondibile il suo tocco, l'eleganza visiva e sonora, la straordinaria capacità di dirigere attori, non mancano graffianti e straordinari colpi da maestro (la sua Città proibita è per me puro teatro tragico shakespeariano nonché lo scenario di uno tra i più notevoli, spettacolari e giganteschi combattimenti wuxia di sempre) ma il "volemose bene" ha quasi preso il sopravvento. Qui invece accade meno in effetti. Yimou torna a parlarci di caste, di onore, di melodramma, torna a parlarci del mondo femminile con la ricchezza e sfaccettature che lo contraddistinguono, sempre alla ricerca del punto di contatto ideale per definirle tra "forza e bellezza". 


Tanto le interpreti delle studentesse che delle prostitute sono straordinarie, nessuna esclusa. Tutte diverse, tutte uniche, con una Ni Ni che svetta per eleganza e fascino diventando in breve il motore emotivo dell'intera pellicola (a qualcuno ricorderà Meggie Cheung di In The mood of love di Wong Kar-Wei, per il particolare modo in cui è inquadrata, abbigliata e per il suo modo di camminare). Personaggi che "il mondo maschile" non può che proteggere e ammirare, perché in difetto non può che mostrare il suo volto più mostruoso. La carica rivoluzionaria e femminista dell'autore non si è spenta quindi ed è rinata nella contemplazione di questi fiori della guerra. Come da sempre il cinema cinese ci racconta, non esiste alcuna pietà né onore per i soldati giapponesi responsabili dell'invasione. Mostri sporchi e crudeli, barbari nei modi e nelle forme, malvagi e senza Dio che personalmente faccio sempre fatica a sovrapporre con i soldatini ordinati, leali e immacolati dipinti dal cinema (e tanti fumetti) giapponesi. Fanno una dannata paura. Ma anche questo è un dato interessante nello scoprire le varie declinazioni geografiche del cinema. Bravo Christian Bale, che accoglie con tutta la sua intensità e capacità il ruolo del gaijin sulle orme già tracciate da Richard Gere per Kurosawa. Rivedendolo qui in un contesto orientale a cavallo della seconda guerra mondiale non si può che ricordarlo ai tempi de L'impero del sole, anche se la geografia/regia/età/contesto è differente. 
I fiori della guerra è una perla preziosa da recuperare in home video. Sa essere spettacolare e crudele nelle scene di guerra, sa essere intensa e profonda, senza cadere mai nel facile melodramma, nella rappresentazione del mondo interiore dei protagonisti, concedendo a ogni interprete il giusto spazio per esprimersi al meglio. Quest'anno Yimou è alla Mostra del Cinema di Venezia con Ying, un wuxia tratto dal celebre Il romanzo dei tre regni (se vogliamo Hero sempre di Yimou era già "sul pezzo" e riusciva a rendere Jet Li quasi un attore drammatico), presentato fuori concorso. Mi pare non sarà lontano da Kagemusha, sarà sicuramente spettacolare e probabilmente sarà meno "sociale" ma voglio già vederlo. Mi dispiace un po' che non concorra direttamente, ma non vedo l'ora. 
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