sabato 25 agosto 2018

Soulcalibur VI esce a ottobre... ma mi interessa? Parliamone un po'



I lavori del team che presto sarebbe stato noto come "project Soul" di Namco (così chiamato da quando a capo è subentrato Hiroaki Yotoriyama) sono stati tra i miei amori videoludici post liceo più intensi, che mi hanno coinvolto proprio a partire dalla mia prima "era PlayStation". Prima di Tekken, prima di Final Fantasy, forse prima di qualunque altro gioco "completo" per il parallelepipedo Sony, in un'epoca in cui fioccavano "i dischetti di demo" in edicola, c'era solo Soul Edge. Secoli avanti a livello grafico a tutti i vari Virtua Fighters, Toshinden, Star Gladiator e allo stesso Tekken, veloce come un proiettile (sembrava già a 60 fotogrammi al secondo), esaltante, con personaggi iconici e fighi, ma soprattutto longevo, fresco e con quella attitudine, dei migliori giochi da sala, di volerti coinvolgere sempre per una partita in più. Ho ancora stampata in testa la colonna sonora "remix", voluta per la console Sony in aggiunta allo score da sala giochi, che per un'estate intera ho ascoltato in loop, all'infinito. Ricordo il filmato di presentazione, con la musica cantata e le sequenze animate impattanti, che pure lei in loop, con bava alla bocca, vedevo, rivedevo, rivedevo. Ricordo i fasci di luce delle spade volteggianti (riprese dal cinema come estetica anche nei combattimenti con pugnali di V per Vendetta) che cozzavano tra di loro con scintille che saltavano fuori dallo schermo. Namco, che non "frequentavo" dal cabinato di Pac-man dei bagni Miramare di Sanremo del 1985, era tornata, di punto in bianco, a essere un nome che mi affascinava un casino. Fino a spingermi a sbandate come Libero Grande, pur di collezionare tutti i titoli pubblicizzati su quel cartoncino colorato promozionale presente nella mia copia di Soul Edge (purtroppo la pistola guncon con i suoi Point Blank e Time Crisis non mi è mai arrivata però, costava un botto, se ci ripenso piango). Se era Namco, all'epoca, "doveva essere bello", perché Soul Edge era magnifico. Era un picchiaduro a incontri uscito direttamente dai miei sogni più nascosti, intrusi di Dark fantasy come Lady Hawk, L'amore e il sangue, Legend ed Excalibur. Un gioco pieno di arene con cavalieri in armature che si affrontavano a spadate, con ambientazione "prevalentemente di stampo occidentale" ma con tocchi greci, orientali  ed egizi. Una atmosfera stilosa, storico-fantasy, molto "marinaresca", con le battaglie che si svolgevano su ring di base quadrata ambientati tra castelli sotto assedio, fossati, navi pirata, canoe sul fiume, luoghi maledetti e grotte misteriose, templi maledetti. Si vinceva abbattendo l'avversario a fendenti, ma anche spingendolo fuori dal bordo del ring gestendo dei particolari jumping. Scontri rapidi ma ragionati, curva di apprendimento dolce ma inesorabile. Molto appagante nella gestione delle mosse di difesa e attacco. Una libidine. Come era cosa buona e giusta tra i personaggi selezionabili c'era un mare di gnocca, tra cui svettavano, per motivi del tutto diversi, la bionda, elegante, fatata e virginale (che combatteva non le infradito estive con tunica con tanto di gonnellino bianco che svolazzando mostrava le grazie)  "Cavaliera di Athena" Sophitia e, in senso contrario, la Ninja mora, veloce, letale, determinata e un po' zozza (con il generoso seno poligonale sballonzolante contenuto in una tutina rossa nude - look ) Taki. 


Ma era tra i combattenti maschietti che trovavo subito l'empatia giusta, soprattutto per quell'eroe tormentato di Siegfried, biondo cavaliere dai natali crucchi, coperto di armature medioevale pesanti e vistose come caffettiere, armato di spade assurdamente gigante stile l'eroe di Berserk di Miura. Siegfried aveva una storia tragica, un po' come erano tragiche tutte le "biografie dei personaggi" sapientemente raccontate in pagine descrittive presentate come "extra" non da poco. Non che fosse mai servito ai lottatori di un picchiaduro avere una storia, ma il fatto di avere un contesto affascinante era di sicuro un surplus per la saga di Soul. La storia di Siegfried era interessante perché particolarmente oscura. Lo scopo del gioco era di impossessarsi di una spada maledetta, la Soul Edge del titolo, manufatto mistico dagli immensi poteri, di proprietà di un pirata baffuto, nerboruto e maledetto. Arrivati alla fine della classica modalità arcade, dopo un sei/sette scontri all'arena bianca contro samurai, cavalieri, primitivi ante-litteram, monaci e perfino un tizio inquietante vestito in modo sadomaso di origine italiana, il giocatore incrociava la lama con il pirata baffuto, che prima di soccombere diventava la versione Ghost Rider di se stesso. Sconfitto pure lui, il personaggio scelto dal giocatore (molti dei selezionabili, per lo meno) davanti a questa potente reliquia poteva avere una scelta, selezionabile con un quick-time event: impossessarsene o gettarla in un baratro. A Siegfried diceva male più che a tutti, se decideva di prendere la spada. La sua armatura a caffettiera si deformava su di lui, si contorceva, uccideva l'eroe trasformandolo in un cavaliere maledetto, di nome  Nightmare. Una creatura con un occhio sulla spada, con un braccio mostruoso e tutti i capelli lunghi spettinati. Dannato per sempre. Qualcosa di magnificamente tragico, anche se decisamente lontano da Shakespeare, ma comunque uno spunto per imbastire un futuro canovaccio "potenzialmente" (...ci torneremo...) molto interessante a base di maledizioni, redenzioni, diavoli, immortali, vampiri e spiriti fatti di fiamme. 


Una "trama" elaborata, pur nelle semplificazioni ovvie, che si arricchiva nel tempo di più eventi, alleanze e nuovi personaggi mitici come la strega Ivy (una bomba sexy s-vestita da dominatrix con frusta, lo spadaccino Raphael (uno dei personaggi più veloci è male vestiti del gioco), il demone -bestione lentissimo ma implacabile  Astaroth, una specie di faraone pazzo. Ma il gioco era bello, ed è bello, anche perché non era, e non è mai stato solo una serie di combattimenti nello Story mode o in 1 contro 1 con amici o cpu. C'era "tanto" da giocare da soli nella solitudine eremitica della propria cameretta, sotto la solinga luce del led della play come unico lume. Esisteva ad origine una modalità "campagna" gigantesca, in cui si affrontavano centinaia di scontri contro avversari modificati e in qualche caso "unici", allo scopo di collezionare con le vittorie, per ogni personaggio selezionabile, delle spade uniche, alcune molto diverse dall'originale, una davvero leggendaria e dai poteri pazzeschi (e in genere una particolarmente "buffa" o "cretina"). Spade "avvelenate", spade fulminanti, infuocate, invisibili, curative, che rendono più veloci, che rendono più potenti, senza glutine. Un ottimo elemento tattico studiato per non essere solo un vezzo grafico, importante per la progressione, appagante da padroneggiare, difficile e gratificante. Ma sopratutto una meccanica che faceva giocare e rigiocare al titolo anche se non si avevano amici a disposizione con cui incrociare il pad. 
Il Project Soul (che ancora non si chiamava così, come dicevo) arrivava così al capitolo numero 2, Soul Calibur, in esclusiva su Sega Dreamcast. Il Dreamcast costava un botto, aveva le esclusive più fighe (Power Stone, Shenmue, Street Fighter 3...), i picchiaduro in 2D che ci giravano giravano meglio che su Ps1 (Darkstalkers, Jojo...) e in fondo è fallito per tutte le maledizioni che gli tirava chi non ce lo aveva. Così la festa fu doppia quando Soul Calibur II (di fatto il capitolo 3, ma nella numerazione Soul Edge fu escluso per questioni di marketing, considerato il mega successo del capitolo 2 in jappolandia) non fu più un'esclusiva Sega e arrivò con una grafica ancora più figa e con una "trama" ancora più accattivante su PlayStation 2. Anche qui c'era un corposo spazio su disco dedicato alle modalità single player e i fan gradivano. All'epoca furono realizzate pure delle action figures pazzesche e un personaggio bonus, Necrid, fu affidato a Todd McFarlane. Ma in un certo senso stava iniziando un trend nefasto. Invece di sviluppare personaggi nuovi che implementassero organicamente il roster e la "storia", Namco iniziava a sprecare  tempo e risorse su famigerati "guest characters". La versione di Soul Calibur II per ps2 aveva come "combattente ospite" Heihachi di Tekken, la versione X-Box aveva come guest esclusivo l'antieroe a fumetti Spawn, sempre di McFarlane, la versione Nintendo aveva Link di Zelda. Tutti personaggi interessanti, con tecniche di combattimento uniche e un loro perché nel mondo di Soul Calibur, ma che in quanto "esclusivi" non sarebbero più ricomparsi come giocabili nella serie. Necrid stesso, che era un guest-character ma poteva benissimo integrarsi alla trama in quanto in quell'ottica sviluppato, non sarebbe più stato visto. 


Rimaneva una strana costante nei primi Soul, la presenza di personaggi e livelli che parevano frutto di LSD. Vuoi per la voglia di sperimentare i limiti grafici dei nuovi motori tridimensionali in fatto di effetti di illuminazione, vuoi le scie delle spade e la volontà di creare personaggi composti da fiamme generate in tempo reale, in alcuni frangenti giocare a Soul Calibur era come drogarsi. Vorrei parlarvi delle convulsioni che mi provocava all'epoca la sola vista del boss finale, un ammasso di fiamme così stroboscopiche e intense che temevo fondesse per concentrazione visiva il catodo del mio vecchio monitor, acquistato nel 1988, ma non vorrei parvi esagerato. Sta di fatto che facevo fatica, una fatica fisica, anche solo a vederli, mentre loro, che erano pure fortissimi e stronzissimi, erano di fatto gli avversari più duri da tirare giù. Fortuna che il trend dei boss stroboscopici e ultra particellari semi-mistici sarebbe terminato. Si arrivava di li a poco a Soul Calibur III. In aggiunta ai guest- personaggi "usa e getta", Soul Calibur III riuscì a fare quasi peggio, introducendo nei picchiaduro Namco la piaga dei "personaggi personalizzabili". Se ha sempre avuto un senso la direzione artistica di un gioco a partire dai "costumi" dei personaggi, stava per finire tutto, con i chara design più ispirati volti a finire nell'immondizia. Se oggi è normale giocare online a Tekken contro un giocatore che usa Brian Fury che va in giro nudo, coperto di polvere dorata e con un cesso portato in testa come fosse un elmo, che apre e chiude il coperchio a seconda dei movimenti, sappiate che è colpa anche di Soul Calibur III, esclusiva ps2 a sto giro. Certo giocare impersonando un orso di pelouche con carica a molla sulla schiena, le pinne da subacqueo e un cono gelato in mano può distrarre in parte l'avversario dando un indubbio vantaggio tattico, ma ha tramutato in sterco ogni possibile caratterizzazione dei personaggi, ormai riducendoli a dei burattini senz'anima, distinguibili solo per le "mosse" come i "pattern random" di Mokujin, ricoperti di spazzatura varia. E siccome questo trend "piace ai giovani" perché li fa sentire incredibilmente "acuti e originali" quando abbinano a un combattente di sumo dei guanti da forno rosa, ormai affrontare online qualcuno che non si conci da pagliaccio (o che dimostri quanto poco fantasia possieda, che spesso è pure peggio) è raro. E già qui l'atmosfera del gioco per me si andava rovinando. In più Soul Calibur III si macchiava di un peccato capitale mica da ridere che ne minava la fruibilità del single player dalle fondamenta. La modalità campagna risultava buggata in modo devastante, con l'alta possibilità che un salvataggio della partita non solo si corrompesse, ma fosse in grado di distruggere tutti i salvataggi presenti sulla stessa memory card ps2. Naturalmente all'epoca non c'era la correzione dei bug con aggiornamento perché la play 2 al 90% non la aveva nessuno collegata a internet. La gente voleva giocarci al single player, ma era frustrante. Namco dal canto suo poteva magari inventarsi una patch, da implementare in qualche modo, magari con i dischi di demo allegati alle riviste di videogiochi o regalando un po' di dischi-patch ai rivenditori, ma nei comunicati ufficiali attribuiva il bug a insormontabili problemi sistemici di matrice aliena, insondabili e trascendenti la volontà umana. Nessuna soluzione. Nasceva un po' di psicosi a riguardo. Tra fan che decidevano di abbandonare il titolo, non comprarlo proprio o dedicare al gioco una memory card ad hoc, da controllare e formattare periodicamente o alternare ad un'altra memory card ad hoc in un complesso "sistema sicuro per giocare", che veniva illustrato in rete attraverso tecniche di salvataggio più o meno deliranti. Con uno spirito di osservazione del tutto giapponese, in Namco ricavavano dall'esperienza di Soul Calibur III che ai giocatori piaceva giocare vestiti in modo idiota e non avevano più voglia delle modalità single player (se avessero ammesso "abbiamo fatto una cazzata perché siamo incompetenti" forse per qualcuno finiva a seppuku del resto... la rimozione dell'onta passava per forza, per la loro natura umana, dalla negazione dei fatti ad un fattore esterno) E tutto questo, ed è quanto fa più incazzare, avveniva all'ombra di un "cuore di gioco" che rimaneva ad ogni modo fantastico. I personaggio su schermo erano  sempre più belli, gli scenari ancora più evocativi, il divertimento con amici e la grande tecnica dietro al gameplay in continua evoluzione. Soul Calibur sul versante grafico pisciava in testa a tutti, da sempre, e rimaneva sempre un titolo divertente, immediato, ricco, ideale per una partita o due o seimila. Peccato che il single player non interessava più ai jappi o alle nuove generazioni o ai responsabili del marketing. 


Quel mondo fatto di pirati, magia e castelli in fiamme, con le sue componenti da gioco di ruolo, non fregava più a nessuno ed era da stronzi voler giocare da soli a Soul Calibur. Così risultava per qualcuno "sensato" che Soul Calibur IV fosse una specie di cross-over con Guerre Stellari. Nello specifico un crossover con il gioco action Star Wars- Il potere della forza, un noto titolo con una divertente idea di gameplay che diventava un vero abominio ludico a causa di insensate meccaniche legate ai comandi di "salto" del protagonista. Così mentre il cast fisso di Soul Calibur non si incrementava di un singolo personaggio (invero c'era Hilde, una tostissima Giovanna d'Arco realizzata da Yas, il disegnatore di Gundam in persona, che in effetti era una delle cose migliori del gioco), con già peraltro presenti personaggi che "riciclavano le mosse di altri", Namco creava ex novo i "guest characters" del "signor nessuno protagonista de Il potere della forza", di Darth Vader e di Yoda. Ora direte: "Però, dai, che figata. Yoda contro Vader in un picchiaduro famoso per i combattimenti con le spade, a incrociare le light sabers, su un livello creato ad hoc con tanto di astronavi e John Williams in sottofondo...". E ci hanno pensato pure quelli di Namco a questa sorta di "sogno erotico", rendendo sadicamente il personaggio di Vader esclusiva Ps3 e il personaggio di Yoda esclusiva Xbox. Naturalmente il "signor nessuno protagonista de Il potere della forza" era personaggio presente gratuitamente su tutte le versioni di Soul Calibur IV per console, che tanto non se lo inculava nessuno, ma per rendere ancora più fastidiosa la sua esistenza Namco decideva di farne il personaggio più potente e squilibrato tra tutti i lottatori, capace di uccidere i giocatori più esperti anche solo alle prime fasi di una partita arcade. Se si voleva giocare con Yoda o Vader senza avere la console con la relativa esclusiva un modo però c'era. Pagando. Uno dei primi e più infami DLC a pagamento con personaggi sbloccabili, antesignano di uno dei trend più controversi dei videogiochi attuali, è proprio Soul Calibur IV. Convinti del fatto che ai giocatori il single player non interessava più, per i motivi di cui sopra, il single player diventava una cosetta senza senso di quattro livelli e morta lì, da giocare senza un perché in mezz'ora scarsa, una specie di "inutile tutorial" al gioco online. Con ovviamente per semi boss finale il "signor nessuno protagonista de Il potere della forza". Ormai i tempi del primo Soul Edge erano lontani e al posto dei "doppi finali" con QuickTime event, animati con il motore del gioco, di un paio di minuti l'uno, ecco un premio a fine single player un filmato quasi uguale per tutti i protagonisti, accompagnato da un paio di disegni a mano e due fesserie scritte a corredo. C'era ancora una modalità survival divertente per il giocatore singolo, ma di macro-campagne non se ne parlava più, quanto di questi personaggi fregava sempre meno, perché di fatto tutti li personalizzavano cambiando, con le nuove opzioni,  anche i connotati come viso, capelli, peso, sesso, profondità di voce e altezza. Naturalmente in mano al giocatore medio uscivano indicibili cagate visive. I "pacchetti a pagamento" con nuove armature e colori per i mostri creati dall'editor iniziavano ad infestare gli shop online e i bonus prevendite. Ma comunque il gioco piaceva ancora di brutto tra i fan, perché rimaneva lo sballo da giocare che era sempre stato, veloce, divertente, ecc. ecc. 


Rispediti nello spazio Vader, Yoda e il "signor nessuno protagonista de Il potere della forza", Namco tornava sulla strada dei guest characters con più "sensatezza tematica". In quello che dovrebbe rimanere un picchiaduro fantasy medioevale arrivava così nel quinto capitolo Ezio Auditore da Assassin's Creed e arriverà nel capitolo sei in uscita ad ottobre Gert dalla saga di The Witcher. Ma avere in Soul Calibur V un guest "più adatto al medioevaleggiante" non era il solo cambiamento, perché in realtà cambiava quasi tutto sul fronte personaggi, in ragione di una ambientazione che si distaccava di alcuni anni rispetto al capitolo precedente. Alcuni combattenti venivano sostituiti dai rispettivi figli o "allievi" che ereditano le medesime tecniche di combattimento, altri scomparivano del tutto, si affacciavano  al ring un paio di personaggio nuovi, invero parecchio mutuati da Tekken (Zwei, che è pure la new entry più interessante, ricorda Unknown, mentre nel sempre più florido character creation "che i videogiocatori amano" è possibile selezionare per un combattente creato ex novo i pattern di Devil Jin). Scompariva, del tutto o quasi, e questa era la pietra dello scandalo di Soul Calibur V, la "storia dietro ai personaggi". Anche al finire di un arcade mode, sempre più blando, sempre più "trainer del gioco vero", Namco non ci regalava manco le due righe, o anche solo un brutto disegno a mano fatto da un bambino delle medie, che potesse contestualizzare o parlarci sommariamente della "trama" di quasi la totalità dei personaggi di gioco. Si finiva la partita, si vinceva e arrivava il "Game over" con i titoli di coda uguali per tutti. A ragion veduta manco il minimo sindacale che ci veniva concesso fin dai picchiaduro degli albori. In realtà c'era un "parziale" Story mode che riguardava le gesta di un paio dei nuovi personaggi, venti combattimenti in tutto per un'oretta abbondante, tre disegnini bruttarelli e un paio di testi recitati male dai doppiatori di lingua inglese. Ma era di fatto una "cosa offensiva" che non dava un significato alla presenza della larga maggioranza dei personaggi in quel contesto, soprattutto in ragione del fatto che cose da raccontare ce ne sarebbe state a quanto si intuiva. E mentre sui forum "chi gioca solo in multiplayer" diceva "chissenefrega della trama", chi era anche un minimo affezionato alla trama fantasy del gioco (e ama giocare per cazzi suoi, aspetto che il gioco curava in modo sempre più svogliato) un po' si dispiaceva. Si dispiaceva anche perché dietro a questo Soul i complottisti, tipo me, inutuivano un insolito "single-player-gate". Si raccontava in rete, prima dell'uscita del gioco, del diretto coinvolgimento di Cyberconnect2 nella elaborazione del single player di Soul Calibur V. L'azienda giapponese, al lavoro per Namco-Bandai a quei tempi per .Hack e i videogiochi di Naruto, era famosissima e stimata per i suoi QuickTime event narrativi in grado di trasformare in un istante un gioco in un cartone animato. Qualche fan di Soul Edge della prima, tipo me, aveva già l'orgasmo a ricordare quella scelta "prendi la spada /lascia la spada" aggiornata tecnologicamente a quasi 15 anni dopo. Poi sa il signore cosa succedesse. Si perdono progressivamente in rete le tracce della collaborazione con CyberConnect2 sul progetto e Namco dichiarava che ormai il single player era morto. Voci di corridoio parlavano di ritardi nella progettazione in ragione di una data di uscita troppo imminente (cui si legava bene la diceria, in parte fondata, che il Project Soul fosse la cenerentola di Namco, a cui veniva concesso per i suoi lavori autonomi solo nelle pause caffè da Tekken) e dell'impegno convulso del team nel finire almeno "quello che davvero contava": il multiplayer. Ciliegina. L'immancabile personaggio scaricabile, peraltro uno dei pochi un minimo originali, già pronto e finito al day -One, disponibile solo se si preordina il gioco o lo si paga a parte. Ma ormai a quei tempi era la norma. I bambini e i puri di cuore per un certo periodo erano sicuri dell'uscita di un DLC gratuito che implementasse lo Story mode e portasse nuove modalità a beneficio del single player. Non arriverà mai. Siamo nel 2012 e nel giro di poco tempo Soul Calibur come brand e giochi... moriva. Usciva comunque  nel 2014 una fallimentare iterazione  del franchise, concepita solo online sulla scia della famigerata moda del free to play, Soul Calibur: Lost Swords, ma era un progetto maldestro, superficiale e disastroso, che raccoglieva a ragione dalla critica voti infimi per una serie infinita di problemi, dalla gestione claudicante dell'online, alle micro transazioni esorbitanti e immotivate, alla pochezza del gameplay e una generale e sconfortante scarsa varietà di gioco. Non se lo è filato giustamente nessuno. 


Tralasciando questa infausta parentesi, è incredibile come una delle saghe di combattimento più belle e iconiche degli ultimi vent'anni sia stata bistrattata dai suoi sviluppatori senza un perché, soprattutto mortificando il comparto per giocatore singolo in situazioni che a volte pareva bastare pochissimo per rifinire meglio. Quanto diavolo può costare far realizzare, se non filmati in computer grafica, almeno quattro o cinque disegni a mano per "raccontare una storia"? Quanto complicato può essere inserire nel menù opzioni la possibilità di implementare di qualche livello gli scenari del single player? Quanto può costare copia-incollare le modalità campagna dei primi episodi, creando ad hoc un paio di personaggi extra avendo a disposizione un editor potentissimo già implementato nel gioco? Sembra che Namco abbia fatto di tutto per spingere i giocatori verso l'online-only, senza sapere all'epoca che tipo di giocatori fossero quelli che prediligevano l'online. Con gli anni (ma si capiva dai tempi dei primi sparatutto arena per pc) si è visto come siamo giocatori molto esigenti, che si muovono nelle preferenze solo tra titoli molto consolidati da anni nelle community e decidono di dedicare in alternativa spazio del loro tempo a esperienze nuove solo in ragione di mode passeggere. E quando il gioco non interessa più o, come nel caso dei giochi sportivi, ha un "aggiornamento annuale", sono giocatori che "migrano in massa", lasciando vuoti i server del prodotto "vecchio" al punto da rendere impossibile a chiunque trovare una anima pia con cui giocare.  Senza aggiornamenti costanti, con una curva di apprendimento che faceva erroneamente sembrare il titolo inizialmente troppo facile e permissivo per i neofiti (basta di fatto pigiare un tasto per vincere se si ha contro uno che non sa cosa sia "parare e schivare"), finito il fattore novità con la voglia di programmare accessori come elmi a forma di innaffiatoi, guantoni a tostapane e buste dell'umido al posto di scarpe... anche Soul Calibur V ha scemato il suo interesse per i giocatori on-line in poco tempo, senza avere sviluppato nulla che desse la voglia ai giocatori single player per riprenderlo in mano, in più con dei personaggi di un roster che in cinque titoli ufficiali si è allargato pochissimo e con davvero scarsa inventiva. Capitava così che a Soul Calibur non ci giocasse più nessuno, almeno fino ad oggi o per meglio dire al prossimo ottobre. Bisognava in qualche modo andare avanti facendo al contempo qualche strategico passo indietro. Street Fighter V di Capcom era stato in qualche modo, per perdite economiche (è solo oggi una parziale "redenzione"), il gioco che più aveva aiutato gli sviluppatoti giapponesi  (da sempre "di coccio" quando si tratta di cambiare opinione su qualcosa) a capire che la via del solo online senza modalità single player e senza una minima caratterizzazione dei personaggi era dannosissima. In un periodo in cui innovare e avere un minimo di creatività nei picchiaduro (se non ti chiami Arc System Works) sembrava una utopia, sia Capcom che Namco dovevano "tornare dolorosamente sui loro passi". 
Su questa linea di pensiero arrivava in Namco un omino di nome Motohiro Okubo. Quando ormai nessuno ne aveva voglia, produceva un nuovo Tekken, il 7, in cui la principale innovazione era trapiantare nel roster dei combattenti un massiccio numero di nuovi guest characters... così nella saga del pugno di ferro ideata da Harada facevano il suo ingresso, in prestito da Capcom,  Akuma di Street Fighters, Geese Howard, in prestito da SNK, di Fatal Fury (a pagamento), Noctis, in prestito da Square Enix, da Final Fantasy (a pagamento) e, annunciato da poco, in prestito da ABC e da Robert Kirkman, Negan e la sua mazza direttamente dalla saga di Walking Dead... Non si fa mancare ovviamente uno dei (pochissimi) personaggi nuovi e potenzialmente interessanti da aggiungere al "cast fisso",  disponibile peti solo in pre-ordine o a pagamento. Commette lesa maestà togliendo dai selezionabili alcuni personaggi storici come Lei, Nina, Murdock. Si è fatto perdonare tipo... ieri... annunciando all'EVO 2018 che Lei, Nina e altre vecchie leve, che saranno presenti nel nuovo season pass... Harada , storico e mitologico sviluppatore di Tekken, aveva poi dichiarato un giorno su Twitter, per alcuni in un probabile momento alcolico, di non volere lucrare sui vecchi personaggi, e così qualche bambino e anima candida ha supposto che con questo il nostro intendesse che vedremo Lei e Nina, più altre verghe glorie, in Tekken 7, come personaggi gratuiti... certo fosse vero sarei felice... Certo sarebbe bello se riuscissimo a uscire fuori da questa piaga dei guest characters, con gli sviluppatori che tornassero davvero a investire sui personaggi di un gioco invece di perdersi in comparse colorate di lusso, contrattualmente a scadenza più risicata del latte. Certo se la politica è questa significa che l'investimento paga. Però è uno strazio. Invece di Geese Howard o Akuma si poteva creare personaggi "ispirato a questi", da aggiungere al roster permanentemente, magari simili ma stabili, con una propria identità, a cui ci si poteva affezionare negli anni. Senza contare gli stili di lotta ancora non esplorati da Tekken, tra cui metterei anche la lotta greco-romana. 


Le modalità single player in Tekken 7 sono un po' naif... ma per lo meno "ci provano", tentano di "esistere" nel regno sempre più online dei "lottatori (ormai solo) vestiti da fessi "dalla creatività di videogiocatori sempre più creativi". Perché Tekken non si è eclissato come Soul Calibur? A mio parere perché ha sempre offerto più contenuti e varietà, sapendo evolvere senza perdere una precisa identità, con esperimenti spin off riusciti (la serie tag) al netto di esperimenti di cambiamento pur lodevoli anche se sfortunati (come il 4), unitamente a una curva di apprendimento più morbida e graduale, unitamente a personaggi che hanno saluto diventare icone forti e riconoscibili. Il solito single player storico di Tekken è sempre rimasto old-school, con un numero appagante di scontri (salvo strane, sporadiche e folli "modalità storia", in aggiunta al comune arcade, pensate senza un motivo per far compiere a ogni personaggio un paio di scontri e stop... incomprensibili...), presentando boss fight esaltanti e persino bonus stage (come il "robottone" di Tekken 6) godibili e impegnativi. A queste si è sempre aggiunta una bizzarra modalità campagna, strani ma lodevoli  esperimenti alla Final Fight (ma improntati su comandi macchinosi e senza senso, quasi  da galera), delle modalità survival varie e piene di ricompense e cotillons. In Tekken, mia opinione personale, il single player è sempre stato in qualche modo tenuto in considerazione è questo è stato un bene. Okubo ora  produce Soul Calibur VI e decide di tornare al cuore della serie, ambientando la storia tra Soul Calibur e Soul Calibur II per impreziosire il contesto e dare il giusto lustro ai personaggi più carismatici e interessanti. Ci sono nuovi arrivati, come Groh, che effettivamente per ora non appare figo quanto si vorrebbe. Spero almeno nel ripescaggio di Zwei e Viola dallo sfortunato capitolo V e di Hilde dal IV, ma soprattutto spero, come anticipato da Okubo, in delle modalità single player in grado di riportare alla saga la mia voglia di giocarci appunto da single player. Ne sapremo di più forse alla Gamescon o al Tokyo Game Show di Settembre. I filmati di gameplay presenti in rete in numero già generoso sono decisamente accattivanti e indice di una qualità grafica sempre di alto livello. Magnifici gli scenari, i combattenti sempre più belli e dettagliati anche grazie a un asset di movimenti che appare meno legnoso che in passato. Le armature che si rompono dopo alcuni colpi dando vita a una specie di graduale strip-tease dei combattenti sono un po' anacronistiche, ma buffe e perfettamente inquadrate nel DNA del titolo. Si respira aria di casa, anche se l'effetto spacca-mascella che sapevano irradiare i primi titoli non sembra forse più replicabile. Non vedo l'ora di divertirmici un po' e scoprire i molti aspetti ancora misteriosi della produzione. Di sicuro ne riparleremo, perché tra noi nerd i giochi con enormi spade falliche ci piacciono tanto. 
Talk0

2 commenti:

  1. In effetti la lotta greco romana (che non va confusa col pancrazio, da quel che ho capito) è uno stile inesplorato, solo in street fighter uno la usa.

    p.s. ma quanto era figo il samurai che balzava da una barca all'altra parando proiettili e spezzando frecce?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La mitica intro di Soul Edge... magari si vedesse un game giovanile dopo tutti questi anni! Nuovi stili di combattimento aiuterebbero e ci sono, mi piacerebbe vedere anche uno stile da gladiatore con la rete, qualche boomerang, spade scomponibili... ma ci deve essere a monte la voglia di lavorarci sopra e questo vale anche per Tekken. E' come se anche Namco si stesse incancrenendo e sclerotizzando sui suoi canoni, senza capacità di rinnovarsi. Ha la testa tutta sull'online, ma manca di creativi che siano in grado di scrivere personaggi davvero nuovi e interessanti (Gro non lo è) e spesso non capitalizza delle potenziali buone idee (Zwei). Ed ecco che come DLC arriva la tipa di Nier: automata al posto di un personaggio da aggiungere al cast fisso (con uno stile che nel prossimo gioco scomparirà come tutti gli stile dei guest character). Ed ecco che lo Story mode tanto ventilato, ma di nuovo dei disegnetti approssimativi come contentino a chi segue la trama. Purtroppo veste grafico a parte e ottima giocabilità di fondo, un gioco che non fa grandi passi avanti.

      Elimina