mercoledì 28 settembre 2016

Indivisibili - la recensione del film di Edoardo De Angelis



Sinossi un po' allungata: Siamo dalle parti di Castel Volturno. In una casina minuta, fatiscente ma piena di ogni comfort  (dal televisore al plasma allo.... "scalda castagne"), vivono, insieme allo zio (Marco Mario De Notaris), papà Peppe (Massimiliano Rossi) e mamma Titti (Antonia Truppo,  David  2016 per attrice non protagonista di Lo chiamavano Jeeg Robot),  le giovani Viola e Dasy (le esordienti Angela e Marianna Fontana). Due ragazze solari e carine che, come tutta la loro famiglia e tutti i personaggi della pellicola, parlano in stretto dialetto campano, al punto che il film è completamente sottotitolato, come il Baaria di Tornatore. Dasy è estroversa, ha un carattere forte, porta sempre da vera rocker dei mezzi - guanti neri come Madonna. Sogna di cantare in pubblico brani di Janis Joplin, di innamorarsi, di girare il mondo. Viola è timida, coccolona, molto religiosa, sempre con una parola gentile per tutti. Sogna di vivere felice insieme a persone che le vogliamo bene. Viola e Dasy, due anime allegre che  condividono per una piccola parte, a livello del bacino, lo stesso corpo. Gemelle siamesi, alla maniera delle gemelle Hilton protagoniste dello storico film Freak (anno 1931 di Tod Browning). Se non fosse per quel lembo di pelle spesso nascosto dai jeans o dalla gonna non si direbbe che sono unite, ingabbiate, condivise l'una con l'altra. Unite al punto che quando una delle due beve troppo, l'altra prova di riflesso l'ubriacatura. Viola e Dasy sono così da sempre, hanno accettato la loro diversità perché non hanno mai visto possibili alternative e sembrano felici. Con qualche difficoltà riescono pure a correre sulla spiaggia giocando con un pallone. Possiedono entrambe voci intonate per la gioia di papà Peppe, il poeta della famiglia, il cantante mancato che le ha istruite a dovere fin da piccole per farne un duo neo-melodico. Ma nonostante questo talento, la gente che accorre ai concerti oltre ad ascoltarle vuole "toccare quel legame", mettere mano a quel lembo di pelle misterioso che lega Viola e Dasy. Viola e Dasy in fondo, anche se "non se ne preoccupano", anche se sono coccolate e amate da questa strana famiglia (che in fondo è meno disfunzionale di altre), sono "mostri". Mostri nell'accezione più oscura e originale del termine: "corpi da mostrare", che vengono caricati di significato spesso e solo dagli occhi di chi li guarda. Occhi interessati alla loro diversità, al loro essere stranezze fisiche. Nella scena della comunione ad una bambina viene detto dalla madre, invitandola a toccare quel punto al bacino: "Tocca, tocca che porta fortuna!". In fondo per tutti Viola e Dasy sono dei "corpi". Corpi che fanno sentire i normali più fortunati e al contempo crudelmente curiosi. Un aspetto il  film rimanda a Marco Ferreri, amabilmente omaggiato,e al suo storico e scomodo La Donna Scimmia. Corpi che "per chi ci crede" forse sono segno di un intervento divino, i "diversi" visti come angeli, magari  in grado di compiere miracoli. Aspetto che ci rammenta invece uno dei passaggi più struggenti di Educazione Siberiana trasposto al cinema da Gabriele Salvatores. Tanto che la gente guardi le gemelle come cantanti che come sante, la loro famiglia coglie queste suggestioni al punto da superare e supportare, a modo suo, i limiti dell'handicap, arrivando però a fare troppo, arrivando quasi a "branderizzarlo". E' così diventato per la famiglia una bandiera e una piccola hit il brano di chiusura dei concerti delle gemelle:  "Indivisibili". Questo titolo viene usato anche come nome del duo, scritto in grande insieme al recapito telefonico sulla fiancata del furgone che porta il gruppo ai concerti e che guida sempre e solo papà Peppe. Le cose vanno bene, il brand funziona. Un grosso produttore (Gaetano Bruno) rimane affascinato e si sta già muovendo per farne le nuove Tantangelo.  Le gemelle sono ugualmente richieste dal parroco locale (Gianfranco Gallo), perché ci sono pure testimonianze di gente che ha toccato "quel lembo che le unisce" e che poi ha sentito "profumi mistici", ha ricevuto miracoli, ha cambiato la vita. Anche quello è un business, tutto fa business. La famigliola intera gravita nell'entourage di queste due  sante/neo-melodiche, tra un concerto per i 16 anni e uno per un matrimonio, con tutto il folklore che ci è noto (a noi che non viviamo in quella splendida e vivace area d'Italia) da film come Song'e'Napule dei Manetti Bros e dal fortunato programma di Real Time Il boss della Cerimonie. Poi qualcosa cambia. Mentre stanno sempre in giro con il loro furgone, sempre sorridenti, Viola e Dasy stanno per diventare adulte. E accade il "fattaccio", nella persona di un medico interpretato da Peppe Servillo (cantante degli Avion Travel che non a caso in Paura 3D dei Manetti interpretava un tipo pericoloso). Il medico vede le gemelle e subito è sicuro, lapidario: non ci sono organi in comune, le può dividere. Lo farebbe gratis. Lo farebbe però a Ginevra, per un pallino suo, e per il viaggio e la sala occorreranno ventimila euro. E visto che saranno tra poco maggiorenni la scelta di fare o meno l'operzione potrebbe essere tutta delle sorelle.  Dasy vorrebbe toccare il cielo con un dito. Potrebbe girare il mondo, innamorarsi, andare alle due di notte a prendersi un gelato, ubriacarsi senza avere il senso di colpa di aver fatto ubriacare Viola. Viola è spaesata, è emozionata o forse solo subisce l'emozione (attraverso il corpo) di Dasy,  ma ha più paura di restare sola rispetto ai molti vantaggi della libertà. La famiglia invece entra nel panico al punto che è lei a diventare il vero "mostro". Papà Peppe reagisce con rabbia, vede svanire i suoi sogni di autore musicale e il futuro delle sue bambine, perché è convinto che, in questo brutto mondo, senza quello strano legame fisico a "sponsorizzarle" e renderle uniche, le gemelle non le noterà più nessuno. Inoltre si rivela vittima del gioco d'azzardo e inizia a considerare ossessivamente le figlie una sua proprietà esclusiva. La mamma Titti di conseguenza diventa il fantasma di se stessa, si ripete autisticamente che separarle sia un male ma non sa cosa volere veramente. Teme più di tutto il confrontarsi con un marito che sta diventando sempre più ombroso. Il prete e lo zio, con quest'ultimo che proprio non tollera quando Daisy dice le parolacce perché "Non è da santa",  non vogliono rinunciare alle loro sante. Soprattutto ora che si deve porre la prima pietra della nuova chiesa, vederle separate è fuori questione. Che miracolo sarebbe? Chi ci viene più alla inaugurazione della chiesa poi? Nessuno si preoccupa di cosa vogliano davvero le gemelle e per le due c'è come unica possibilità solo una fuga, rocambolesca e sconclusionata, dalla casetta di famiglia. Da qui ha inizio un viaggio che ha i contorni della favola nera quanto di una prova iniziatica. Per la prima volta Viola e Dasy saranno sole nel mondo e non è detto che troveranno un mondo disposto ad aiutarle. Riusciranno a recidere quel prima accogliente e ora sempre più scomodo cordone ombelicale? 


La donna scimmia neo-melodica: dopo il micro-cosmo di Perez, Edoardo de Angelis torna a raccontare come in Mozzarella Stories una storia corale con protagonista la campagna campana. Un luogo picaresco e senza tempo, brullo e dai colori accesi, molto kitch e molto spietato, ma qui dall'animo più gentile. Il soggetto di Nicola Guaglione punta dritto verso la favola e risulta lontano dal sangue e la carnalità fatta di dita mozze e teste recise varie della sua opera più recente e titolata, Lo Chiamavano Jeeg Robot, se non per una interessante/sconcertante soluzione nel finale, davvero "forte" e in grado di imprimersi nelle retine degli spettatori. Imprimersi come la bellezza acerba e strabordante delle sorelle Fontana, attrici che con il loro sorriso e forme avvenenti riescono a distrarci completamente dalla loro disabilità e a farci desiderare pulsioni non dissimili da quelle provate dal personaggio di "Marco Ferreri" della pellicola (interpretato da Gaetano Bruno). Il film non si spinge troppo nel grottesco, ma qualcuno potrebbe fantasticare sui loro corpi avvenenti "duplicati dalla natura" similmente come si facevano sogni strani negli anni 90 sulla prostituta marziana con tre tette di Atto di Forza di Paul Verhoeven. E questo crea uno strano corto-circuito nello spettatore che si sente in questo un po' sporco e morboso, alla maniera di Ugo Tognazzi ne La donna scimmia. Perché poi le Fontana sono davvero brave e autentiche nel rivelare il loro animo dolce, l'ingenuità propria delle bambine diventate solo da poco adulte, e anche noi ci sentiamo in qualche misura "mostri" ad averle guardate in quel modo, come oggetti di carne, alla maniera dei genitori e del prete e di tutto un microcosmo di personaggi che prima inconsapevolmente e poi volontariamente vuole che le due ragazze siano infelici. A peggiorare le cose, le due ragazze sono costrette a cantare, bene, le classiche canzoni smielate neo-melodiche che vomitano parole di miele su amori travolgenti e sul fatto che tutti hanno diritto di essere felici allo stesso modo e possono fare quello che vogliono. Quasi una tortura psicologica che se prima, quando l'operazione non era ancora possibile, veniva accettata, dopo diviene francamente insostenibile, un grido di dolore. 
Una favola nera: Il film gioca quindi sulla morbosità cui si associa l'esposizione della diversità/ mostruosità fisica, ma è una fisicità solo suggerita, quasi da favola e non certo con la volontà di replicare le suggestioni legate alle sorelle siamesi interpretate da Sarah Paulson di American Horror Story Freak Show. 
Ma anche se cerca di percorrere i territori della favola, questo non impedisce alla pellicola di essere una favola nerissima. Facile vedere nella fuga delle due gemelle la volontà dei giovani di andar via da una realtà, quella italiana, che in piena crisi dei valori fagocita tutto, brutalizza tutto, sembra quasi finalizzata a distruggere chirurgicamente i sogni dei giovani. La religione sembra un sempre più strano e confuso orpello del passato. La musica non solleva gli animi, ma mente idealizzando un mondo che non esiste o non è accessibile allo stesso cantante. La famiglia è un castello di carte che pur di stare ostinatamente in piedi preferisce incollare a sè i suoi componenti. Ogni possibile cambiamento dello status quo fa paura, è morta persino la speranza che le cose si possano migliorare. Rimane l'ironia a salvarci, ma è troppo poco e bisognerebbe avere la forza di sperare in qualcosa di meglio. Così le due gemelle scoprono come quella che potrebbe essere una notizia positiva sia in grado di diventare una maledizione e la morale della loro favola, la fine del loro viaggio alla scoperta del mondo, avrà dei risvolti curiosi sui quali non vogliamo rovinarvi la sorpresa. Un finale che si presta a diverse interpretazioni e che non lascerà indifferenti. 


Uno dei film più acclamati a Venezia: anche se fuori concorso, Indivisibili è piaciuto a Venezia ed è entrato anche nella short - list dei titoli italiani che potevano concorrere come migliore film straniero nella notte degli Academy Awards ( alla fine è stato scelto Fuocoammare). Un successo che riteniamo del tutto meritato. Molto bravi gli attori. Massimiliano Rossi interpreta un personaggio complesso, doppio, in grado di compiere slanci acrobatici tanto nella gioia che nella rabbia senza perdere una corazza ironica. Il personaggio di Antonia Truppo è ugualmente intenso. Una donna al limite con un animo troppo a lungo calpestato dalla vita e dallo stesso marito, che fatica a resistere alle infinite frecciate cattive che lui le invia considerandola alla stregua di una prostituta. Una donna in fuga dalla lucidità di una vita che non vuole avere, che non si dimentica, da qualche parte, di essere madre ma che non ha forza di reagire. Gianfranco Gallo interpreta un prete "che si è perso" e che sembra uno di quei predicatori americani esagitati. Vorrebbe quasi essere un anchorman e gli piace cantare con l'accompagnamento di bonghi africani davanti a una parrocchia in cui sono per la maggioranza stranieri, in processione lungo una spiaggia in cui la statua di un Cristo di legno rotto è abbandonata per terra ( e che lui sostanzialmente ignora). Più che delle sante vorrebbe degli elefanti, per rendere più pomposo il suo show. Lo zio Nando di Marco Mario De Notaris èun ossessionato solo apparentemente mite e tranquillo che è  così convinto che le gemelle siano/debbano essere delle sante da non sentire ragione, da redarguirle ogni qual volta escano dalla "immaginetta mentale" che ha cucito per loro. Il Marco Ferreri di Gaetano Bruno è un uomo che vive di eccessi, un esteta diventato quasi indifferente al mondo al punto da accumulare stranezze sul suo piccolo zoo galleggiante. 
Angela e Marianna Fontana, circondate da tutti questi "mostri", con la loro giovinezza e la loro voglia di "staccarsi" da questa famiglia allargata, rappresentano forse l'unico spiraglio di luce, gli unici personaggi positivi di questa favola. Hanno interpretato il "corpo condiviso" di Dasy e Viola con molta umanità, vulnerabilità e determinazione in una prova di recitazione difficoltosa tanto a livello fisico che emotivo, ma che si è rivelata in sala davvero interessante. Il regista è stato bravo nel costruire un mondo con poche pennellate, allontanandosi con classe dalle facili derive patetiche, usando bene l'arma dell'ironia e adottando un sorprendente registro action. Ma soprattutto si è dimostrato un ottimo direttore di interpreti. 
Non si può infine non parlare del lavoro di Enzo Avitabile per le canzoni. Dei brani che diventano quasi l'inconscio del personaggi e arricchiscono davvero il film, ne scrivono il DNA. 
Indivisibili è quindi un film notevole, che possiede diversi livelli di lettura e riesce come pochi ad incantare. Abbiamo di recente visto Il Racconto del Racconti di Garrone e il supereroe di Mainetti e dopo questa favola moderna di De Angelis ne vogliamo decisamente ancora. Vogliamo che il cinema italiano continui, come in passato, come con Fellini e con Ferreri, a raccontarci favole piccole e grandi. 
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