sabato 16 marzo 2024

Povere Creature! (Poor Things!): la nostra recensione del nuovo film di Yorgos Lanthimos, trionfatore agli Oscar, con protagonisti Emma Stone, Mark Ruffalo e Willem Dafoe

 


Ci troviamo in una sgargiante Londra blu notte, nell’epoca vittoriana di un mondo alternativo, tra macchine a vapore, dirigibili e novelli Prometeo. 

Una donna bellissima, aristocratica  e misteriosa, in un bellissimo e sgargiante abito blu da sera (Emma Stone), si getta da un ponte nelle fredde acque dei Tamigi. 

Ritroviamo subito dopo sulla scena una donna uguale a lei, di nome Bella Baxter, viva, ma dall’atteggiamento del tutto incompatibile a prima, eccentrico e quasi infantile.

Ama sporcarsi il volto con ogni genere di cosa, correre su e giù, giocare con piccoli animaletti anche in modi crudeli e fare i capricci con il cibo. Spesso ha in mano armi da taglio e indossa vestitini sporchi di terra. 

Questa donna non la vediamo più muoversi in una Londra sgargiante e colorata ma in un surreale piccolo mondo in bianco e nero, dai contorni dell’immagine “sbordati”: esteticamente ci sentiamo di colpo proiettati nell’atmosfera degli horror delle Hammer degli anni '50 e al contempo ci pare di scrutare attraverso l’immagine di una antica telecamera medica per laparoscopie degli anni '70. Stiamo forse assistendo “clinicamente” alla nascita di una creatura fantastica. 

Questa Bella si trova nella sfarzosa e immensa villa di un eccentrico e imponente figuro, uno scienziato con il volto e il corpo rappezzato e ricucito come un puzzle umano, dall’aria buona ma dalla voce quasi atona, che la ragazza chiama “God” (Willem Dafoe): un “God” che pur essendo il diminutivo di un nome, Godwin, in italiano si può tradurre come “Dio”. 

Il dottor Godwin Baxter, da perfetto ed elegante “scienziato pazzo” vittoriano, seziona cadaveri e qualche volta li ricompone cercando di “riportarli in vita”, conservando l’immagine pubblica di stimato docente di una rinomata facoltà di medicina. 

In facoltà insegna e redarguisce sui limiti della chirurgia, nel tempo libero crea, tagliando e ricucendo, ibridi con la testa di una papera e il corpo di un cane: piccole povere creature ibride che gironzolano indisturbate nel suo parco. Lo stesso corpo a mosaico di God, a sua volta, sembra essere stato “ricomposto” da qualcun altro: è fragile e percorso da continui dolori e per essere conservato al meglio ogni tanto deve essere collegato a degli enormi macchinari. Come effetto collaterale e surreale qualche volta l’uomo-mosaico, con uno strano rumore, riesce ad emettere dalla bocca  quelle che sembrano enormi bolle di sapone. 


God guarda a Bella come lo farebbe un buon genitore, anche se ha decisamente dei brutti ricordi di chi lo è stato per lui: di fatto sente di aver contribuito attivamente alla nascita della ragazza, anche se in un modo incredibile e per la scienza quasi impossibile. Ma prima di ogni cosa le è affezionato. 

Bella ricambia a suo modo, pur essendo involuta nei modi e nell’eloquio come una bambina piccola. Scostante nelle emozioni, passa da felicità a ira in pochi secondi. È lunare nell’approcciarsi alle cose ma soprattutto agli altri esseri viventi, come se non distinguesse il gioco dalla violenza, non afferrando la differenza della vita dalla morte. Spesso è autolesionista, più per la curiosità spericolata di scoprire il suo corpo e i suoi limiti che nel trovare piacere nel dolore. 

Questa strana donna-bambina sta crescendo in fretta in pochi giorni e in modo sempre più bizzarro, così “il suo God” ha bisogno di un aiuto esterno. 

Un aiuto che potrebbe essere offerto dallo studente di medicina  Max McCandles (Ramy Youssef), un uomo posato e attento, premuroso quanto sensibile nell’annotare nel suo taccuino ogni singola variazione fisica e caratteriale di Bella. 

Max inizia a frequentare l’eccentrica Villa Baxter, trovando una sempre maggiore confidenza con la ragazza e il suo strano mondo di animali ibridi, governanti arcigne e autopsie e “riassemblaggi” a cui lei attivamente partecipa come assistente maldestra. Tra un nota e l’altra i due si avvicinano e forse la ragazza prova qualcosa per lui. Il corpo di Bella, ancora prima della sua “testa”, sembra rivolgere sempre più attenzione alle zone erogene, al punto da sviluppare una precoce sessualità. Parallelamente, sale in lei l’insofferenza nel dover essere costretta a vivere in quella villa e Max decide di perorare questo bisogno, offrendosi di accompagnarla personalmente “fuori da quel piccolo mondo”, con tutte le cure e premure necessarie. Anche Max sente di essere legato a lei, forse anche innamorato, decidendo così di proteggere quella creatura con tutto se stesso. 

God accetta i tanti mutamenti di Bella e le riflessioni accorate di Max. Pur rattristato, in virtù di una libertà che lui stesso non ha potuto sperimentare, decide di assecondarli, magari gradualmente, magari con tutte le precauzioni possibili. 

Ma ecco che nella vita della ragazza irrompe l’avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), formalmente chiamato per redigere un accordo scritto tra God e Max. Duncan è affascinante, ambiguo, egocentrico, perennemente eccitato e amante del gioco d’azzardo. In un attimo seduce e rapisce Bella, la porta in giro per l’Europa facendole conoscere un mondo che la ragazza non aveva mai immaginato potesse esistere. 

È un mondo che torna ad essere anche per noi spettatori tutto a colori: sgargiante e infinto, pieno di macchine volanti, architetture vittoriane, cavalli meccanici, vapori steam-punk. Un mondo che sembra uscito da una graphic novel di Jodorowsky o Moebius o da un videogame come Bioshock Infinite.

Un mondo tutto da esplorare per Bella, anche se Duncan non vorrebbe mai farla uscire da una camera da letto. Duncan scatena costantemente sulla ragazza tutta la sua energia sessuale e libido su un corpo che sembra non averne mai abbastanza. Bella sembra presto averlo a noia, preferendogli la compagnia di altre persone, l’esplorazione di luoghi ed esperienze sempre nuovi. 

L’eccentricità continua della ragazza, unita alla incapacità di Duncan di controllarla e alla sua sempre più frustrata gelosia e inadeguatezza come compagno, spingono l’avvocato a portarla in una lunga crociera: ponendola così su una nave bellissima, ma dove per lo meno la ragazza non può fuggire continuamente alle sue attenzioni. Sulla nave Bella incontra prima la gentile appassionata di filosofia Martha (Hanna Schygulla) e poi il cinico e malinconico Harry (Jerrod Carmichael), che durante una fermata del viaggio ad Alessandria le mostra come il mondo possa essere un luogo anche brutto, iniquo per i più poveri, più simile a un inferno che a un paradiso. Nonostante le continue angherie e insicurezze di Duncan, qualche volta “guardata a distanza” da God e Max, Bella continuerà a viaggiare, conoscendo sempre più qualcosa su se stessa e sul mondo. 

Progressivamente trasformandosi in donna emancipata anche con la testa. 

Arriverà forse a conoscere qualcosa anche sul suo passato: i dettagli più tragici e inaspettati della sua strana origine. Dettagli che inevitabilmente riportano ad una donna in elegante vestito blu che un giorno si gettò nel Tamigi, che forse venne raccolta da un novello Prometeo.

Il regista greco Yorgos Lanthimos, autore di film “disturbanti”, affascinanti quanto surreali come Dogtooth, The Lobster, Il sacrificio del cervo sacro e La favorita, adatta con la sceneggiatura del sodale Tony McNamara (già insieme a lui ne La Favorita) un romanzo dello scozzese Alasdair Gray, autore di “low-fantasy” considerato dal The Guardian come uno dei pilastri della letteratura del ventesimo secolo. 

Sperimentatore, sensuale, surreale e per alcuni critici anche “post-moderno” (in riferimento alla costruzione della sua più opera monumentale, Lanark), Gray in qualche modo “reinterpreta” nel suo romanzo Povere Creature! il Frankenstein di Mary Shelley, quasi fosse un “seguito”, quasi fosse una “versione al femminile”. Giocando con temi cari alla scienza come alla psicologia, creando infiniti giochi di specchi e rimandi tra religione ed etica, passato e presente, Gray va a delineare personaggi complessi, simili a  mosaici: personaggi a cui mancano però sempre delle tessere per essere “completi” e che per questo, nell’imperfezione, ci appaiono ancora più profondamente umani. 

Umane e imperfette creature “sospese” come God e Bella, ma anche un po’ come l’Edward (Mani di Forbice) di Tim Burton,  come il Pinocchio di Collodi. 

Creature “pure”, di fatto “neo-nate”,  in costante confronto e critica verso un mondo “moderno”, con i suoi usi e costumi ricchi di chiaro-scuri, affascinante quanto respingente, una “realtà” nei loro confronti spesso troppe volte “giudicante”. Creature libere di pensare, quanto poste più volte nella condizione di essere rinchiuse in gabbie sociali sempre più elaborate.  

Lanthimos ci ha raccontato più volte nella sua cinematografia di personaggi rinchiusi in gabbie sociali e morali opprimenti, costretti a decisioni difficili se non impossibili, al solo scopo di sopravvivere a un ingranaggio “più grande” che li contiene. Nell’horror Il sacrificio del cervo sacro, come nel surreale fantascientifico/esistenziale The Lobster, un destino beffardo incombe sulla vita di persone che non possono fare altro che accettarne la crudeltà: accogliere la melanconia degli eventi o impazzire. 

Lanthimos ama immergerci nel caos emotivo che vivono i suoi personaggi, un caos che il regista vuole farci assorbire in tutta la sua anarchica ma inestinguibile potenza anche a livello uditivo, affidandosi a musiche sperimentali, dissonanti e quasi ipnotiche, per le quali in questo caso ha scelto il compositore Jerskin Fendrix. 

Più che una colonna sonora, il musicista crea un “rumore avvolgente”, spigoloso, che sono dopo qualche minuto si riesce a comprendere, introiettare e infine accettare e apprezzare. 

Se il sonoro esprime un caos che poi “riverbera nelle relazioni umane”, il caos rimane invece nascosto tra le pieghe di uno scenario caratterizzato da una geometrica precisione formale (quasi alla Dario Argento). Una “scenografia statica” simile a quella di un palco teatrale sulla quale si muovono i personaggi, qui improntata su una fantascienza “estetizzante” di stampo quasi pittorico, con rimandi sì alle Graphic Novel e Moebius, ma con tratti oscuri e viscerali anche vicini alla scene espressionista tedesca. 

Lanthimos con questa formula ha spesso parlato di disperazione, dell’impossibilità dei suoi personaggi di gestire il proprio destino in un momento di particolare caos esistenziale. 

Ma in Povere Creature! a “cavalcare il caos” e “piegare il destino al suo volere” è un personaggio in controtendenza su tutto e tutti. Bella Maxwell diventa lei stessa, con la sua vitalità e poliedricità un “motore del caos, gioioso, per una volta quasi un caos “positivo”. Forse sono vere le voci che vorrebbero Lanthimos innamorato della sua attrice al punto da mettere da parte per lei il suo pessimismo cosmico. 

Emma Stone, da sempre considerata alla stregua di “fidanzatina d’America” dopo l’esordio di SuXbad, Zombieland e pellicole come La La Land, è sempre più sgargiante e spregiudicata al suo secondo incontro “cinematografico” con Lanthimos dopo La Favorita (e al terzo incontro con lo sceneggiatore McNamara, che ha scritto per lei Crudelia). La diva riesce a dare vita a un personaggio unico, fuori da ogni schema e per questo nella condizione di spezzare ogni tipo di gabbia che provi a reprimerla. Un'eroina che con la forza della sua interpretazione è in grado di gettarsi a testa alta, con coraggio e incoscienza, in scene di stampo horror/fiabesco, momenti carichi di sensualità esplicita, “giochi infantili”, soliloqui drammatici, parentesi oniriche, scene sarcastiche, situazioni dalla forte carica emotiva. Senza mai vergognarsi o trattenendosi, esprimendo al 100% lo spirito libero e anticonformista di una creatura che va al di là della morale costituita, Emma Stone piano piano riesce a far evolvere Bella, aiutandola a smarcarsi, diventare sempre più “proprietaria e consapevole” della sua esistenza e del suo pensiero. 

Una bambina, una donna, un'amante e una creatura artificiale sono tutte racchiuse dalla Stone nello stesso tempo e nello stesso corpo: ognuna di esse riesce a trovare la sua voce con assoluta naturalezza attraverso i mille volti e la corporatura quasi mutante di Bella Baxter. L’attrice offre in assoluto la sua performance più complessa e riesce in ogni frangente narrativo a trovarsi a suo agio, dando prova di un talento eclettico quanto generosa, anche grazie a un Lanthimos che riesce sempre ad illuminarla al cento della scena rendendole satellite ogni altro personaggio, offendo a quella che è stata definita come la sua nuova “musa” la possibilità di improvvisare e dominare ogni spazio con eleganza quando “sfacciataggine”. Un po’ Pinocchio, un po’ Edward Mani di Forbice, Bella Baxter è forse più di tutto la sorella segreta della Barbie di Margot Robbie. Anche se la chiave di lettura di Povere Creature! è più vicina a una sensibilità adulta, il tema dei corpi e ruoli femminili in evoluzione e rivoluzione è il medesimo di Barbie, risultando forse per qualche spettatore scomodo quanto per altri magari affascinante, ma sempre gioiosamente scorretto, intelligentemente cattivo e ben coperto sotto una patina di glamour. 


Dicevamo che Bella ha quasi il potere di rendere satelliti tutti gli altri personaggi sulla scena, ma ce ne sono almeno due che vanno oltre questo ruolo. 

Uno è il dottor Godwin Maxwell di Willem Dafoe, che ogni giorno sul set si è sottoposto a lunghe sessioni di trucco, per incarnare idealmente una “creatura di Frankenstein pentita”: un uomo/meccanico, plasmato dalla cattiveria paterna, che ha saputo rinascere da un dolore che ci viene raccontato, più che da mille parole, dalle mille cicatrici e disfunzioni del suo complicato corpo-mosaico. C’è nel tragico God qualcosa del paterno Vincent Price di Edward Mani di Forbice, ma il riferimento principale sembra essere proprio il Frankenstein di Boris Karloff. God è per lo più assente alle emozioni, afflitto nel suo modo di incedere, poco loquace. Ma riesce a sprigionare la sua grande umanità in ogni piccolo movimento e sguardo, anche solo giocando con la sua stessa ombra. È un mostro “inattuale”, che non fa più paura ma in cui rimane una piccola forza vitale che lo spinge ad amare, anche le piccole cose, come L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello. Del tutto opposto, in corpo e spirito, al God di Dafoe è il Duncan di Ruffalo: un esagitato ed esagerato omuncolo vanitoso, tragicomico in una ostentazione di virilità e potenza che viene più volte, con facilità e quasi indifferenza, disarcionata proprio dal personaggio della Stone. Ruffalo, giocando con intelligenza e sarcasmo con lo stereotipo dell’uomo tutto di un pezzo, dimostra ancora una volta di possedere incredibili tempi comici, quasi una “allure fantozziana” al contempo respingente quanto travolgente. Lo fa in un modo così spazzante che conquista. 

Lanthimos con Povere Creature! crea una delle sue opere più anarchiche e sarcastiche, divertente quanto ricca di spunti narrativi e visivi. Emma Stone è straordinaria e non a caso ha vinto per la sua interpretazione gli Academy Awards come miglior attrice per questo ruolo, ma molto bravi sono anche Dafoe e Ruffalo. Magnifiche le scenografie, curate da Shona Heath, che anche loro, insieme ai ricchi costumi vittoriani di Holly Waddington, hanno ricevuto le onorificenze della Academy. Belli anche gli effetti visivi che senza essere troppo invasivi sono riusciti a ricreare la “fantascienza a vapore” vittoriana del romanzo originale. Strane ma infine quasi “accoglienti” le musiche. 

Anche solo per la performance di Emma Stone e per il bizzarro e complesso mondo in cui la storia è ambientata Povere Creature! meriterebbe una visione, magari sul grande schermo ora che è tornato in sala. Ma l’ultimo film di Lanthimos è un'opera carica di mille dettagli e suggestioni in grado di affascinare anche oltre una prima visione, andando a dipingere un nuovo piccolo surreale mondo di celluloide, sospeso tra passato e presente, dove è ancora bello e affascinante perdersi. 

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