martedì 31 gennaio 2023

Profeti: la nostra recensione del film di Alessio Cremonini con Jasmine Trinca e Isabella Nefar

 


Siria, giorni nostri. Sara (Jasmine Trinca) è una donna sui quarant’anni, non sposata e non credente. Fa la giornalista e ogni giorno indossa un giubbetto antiproiettile e a bordo di un furgone, con un paio di guide e un cameraman al seguito, attraversa il deserto per raccontare la realtà delle zone di guerra. 

Una mattina, dopo aver visitato una chiesa distrutta, Sara è a Kobane insieme alle combattenti curde. Una donna soldato le racconta di come il conflitto con gli estremisti non finirà mai, a meno che non si arrivi a un cambiamento culturale importante, una rivoluzione che deve partire proprio dalle donne. Quella stessa notte Sara è di nuovo nel deserto quando due veicoli affiancano il furgone dei reporter e li catturano. Dopo averla imprigionata in un luogo segreto e averle coperto il volto, il capo degli estremisti si presenta a Sara. È sicuro che non sono giornalisti, sa che tra di loro ci sono delle spie e non li lascerà fino a che non arriveranno delle confessioni. È disposto a farli a pezzi. Sara cerca di convincerlo per molti giorni, ma senza esito. Viene tenuta in una specie di magazzino fatiscente pieno di sabbia e adibito a fortino, dove in una stanza isolata è costretta a dormire per terra e orinare contro i muri. Una mattina sente che gli estremisti vogliono farla fuori, ma la realtà è diversa: “Una donna non può dormire in un posto dove ci sono gli uomini”. Così Sara viene mandata a stare da Nur (Isabella Nefar), la moglie di un mujaheddin, in una casetta poco distante, che condividerà con altre donne. Può vivere per ora con loro, aiutarle con le faccende domestiche, dormire in un letto, mangiare la cioccolata e fare i propri bisogni in un vero bagno. Proprio mentre Sara è al bagno scopre un’apertura nella parete, dietro un mobile, dalla quale può vedere oltre il cortile. Lì si trova il suo cameraman, rinchiuso in una gabbia a cielo aperto, con una guardia che ogni tanto gli allunga del cibo. Lei è stata più fortunata. Nur è una ragazza giovane e gentile, ha vissuto anche a Londra e le parla correttamente in inglese, ma non si è mai sentita integrata in Occidente, l’hanno sempre squadrata come una persona “cattiva”. Ovunque andasse non era accettata. Da quando si è sposata e si trova in Siria, Nur si sente invece davvero felice. Passa il giorno tra le preghiere, la cura della casa e del suo uomo, sogna un futuro con dei figli e sostiene una battaglia che ritiene importante, qualcosa che porterà a un mondo migliore. Sara è per lei una persona strana. Nur non comprende il suo non essere credente o non avere una famiglia. Trova strano che la giornalista cerchi di “comprenderla senza giudicarla”, le faccia continue domande “sulla libertà”. Nur quelle domande non le capisce, perché è proprio seguendo la sua religione che si sente davvero libera. I giorni passano un po’ tutti uguali, scanditi dagli orari delle preghiere e il timer del forno, il bucato e le visite sporadiche del marito della ragazza. Oltre la soglia della casetta si avvertono sempre spari e scoppi e la sera la corrente si interrompe sempre fino alle prime luci e ai canti dei muezzin. Sara inizia a pensare che la stanno cercando di manipolarla in qualche modo, perché Nur parla spesso di lei con chi comanda, anche se non comprende quello che si dicono. Il suo futuro è sempre più incerto, ma dopo tanti giorni pensa che in fondo ci si può abituare a tutto. Fino a che gli estremisti non decidono la sorte del suo cameraman. 


Alessio Cremonini scrive e dirige la sua terza pellicola dopo il successo di Sulla mia pelle del 2018. Ancora una volta sceglie un film che affonda nella realtà odierna, spigolosa quanto complessa. Una realtà attuale anche se magari sfugge ai telegiornali, che viene però raccontata oggi da voci interessanti come quella del fumettista Zerocalcare (nelle opere di graphic journalism Kobane Calling e No sleep till Shengel), come dal regista Jafar Panahi (Gli orsi non esistono). Cremonini cerca di descrivere questa realtà con uno sguardo attento, disincantato quanto quasi documentaristico. Tenendo conto della voce e del punto di vista di ogni suo personaggio, sospendendo ogni forma di giudizio di parte e lasciando che la trama si srotoli lentamente, in modo quasi invisibile, scandendo i ritmi del quotidiano. Vengono mostrati e descritti i singoli momenti di preghiera della giornata di un musulmano ed è qualcosa di interessante e arricchente, che il cinema spesso non rappresenta. Non viene nascosta l’atrocità di una guerra che pone fine alla vita di persone giovanissime, su tutti i fronti. Si riesce soprattutto a parlare con estrema naturalezza e onestà della vita di due donne, culturalmente molto diverse quanto intimamente simili, che si trovano nella singolare circostanza di condividere la stessa casa in una situazione-limite. È una convivenza che giocoforza scava oltre le etichette di “nemico”, “infedele”, “persona libera”, portando a un confronto dialettico tutto al femminile che progressivamente spoglia le due protagoniste di ogni sovrastruttura. La scrittura di Cremonini con garbo arriva a toccare dei nodi nevralgici, sociali quanto emotivi, su cui effettivamente si può costruire un dibattito relazionale quanto multiculturale nuovo, proficuo. Rimane un film crudo, dove la guerra e la pressione psicologia legata al conflitto è sempre presente, anche se tenuta al di là “della bolla”: oltre il piccolo mondo di Sara e Nur. Non mancano scene forti e disturbanti, da puro thriller se non da horror psicologico, che in qualche modo sottolineano l’urgenza di un dialogo come come quello che va a instaurarsi, nel bene e nel male, tra Sara e Nur. 

Straordinarie, davvero bravissime, entrambe le interpreti principali. Jasmine Trinca e Isabella Nefar dimostrano di avere trovato una grande intesa sul set e questo le ha permesso di dare corpo a due donne che sanno essere forti quando fragili, piene di dubbi quanto determinate a “sopravvivere”. Nemiche che nonostante tutto possono sembrare amiche. Molto “ruvida” quanto realistica la fotografia. Ben strutturato il ritmo narrativo, che si mantiene sempre alto e interessante. Un film che sa intrattenere e riflettere, che conferma il talento di un regista che a ogni prova si dimostra sempre più bravo. 

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