sabato 29 gennaio 2022

Grand Isle: la nostra recensione di un piccolo thriller “sexy” con Nicolas Cage


America, intorno agli anni ‘80,cittadina di Grand Isle. Ma chi è così pazzo da voler riparare il cancelletto di casa, quello in legno, basso e verniciato di bianco stile Peanuts, attaccato con un paio di chiodi e lo sputo, quando è previsto che arrivi di lì a tre ore un maledetto uragano? Perplessità a parte, questo tizio paga 200 dollari ed è l’uomo giusto per quel bietolone in bolletta di Buddy (Luke Benward), che in un caldo pomeriggio si presenta per il lavoro sotto il porticato del reduce del Vietnam Walter (Nicolas Cage). Non è che i due “si prendano tantissimo”. Walter è un simpatico sociopatico che dopo i primi convenevoli si mette a giocare al tiro al bersaglio con il suo fucile, facendo esplodere bottiglie di vetro a pochi centimetri dalla testa di Buddy, perché lo trova “irritante”. Buddy di suo è in effetti un cretino irritante, perché si è presentato sul luogo di lavoro vestito come l’idraulico dei film porno e non fa nulla per non attirare “un po' troppo” l’attenzione della milf ultra-arrapata moglie di Walter, Fancy (KaDee Strickland). 

La situazione è tipo questa che segue. Con Francy che sculetta fino alla staccionata in lingerie trasparente dicendo a Buddy: “La vedo tutta sudato, se vuole gliela do”. Con Buddy che risponde: “è davvero molto succosa la sua…limonata”. Con Walter che subito dopo esplode qualche colpo contro le bottiglie, cercando di uccidere “per sbaglio” il bietolone. Il tono è questo fino a quando arriva “a sorpresa” l’uragano e il nostro Buddy è costretto a passare la nottata presso la allegra coppietta in una casetta che pare il set di Psycho. Riuscirà il nostro eroe a trombare o a farsi impallinare o un mix delle due cose?


Stephen Campanelli nel 2019 è al suo terzo film da regista ma è una specie di leggenda come cameraman fin dagli anni ‘80, diventando presto collaboratore fisso di Clint Eastwood, di tutti i suoi film dai Ponti di Madison County del 1995 fino all’ultimo Cry Macho del 2021. Nel 2019 il grande Nicolas Cage, tra il film con cui combatte con un coguaro su una nave (Primal) e quello in cui combatte contro un alieno a colpi di arti marziali in un bosco (Ju Jitsu), decide di partecipare a questo strano thrillerino “vagamente erotico” per interpretare un interessante pazzo misogino e malinconico, che appare da subito decisamente nelle sue corde. Walter è rabbioso, bipolare e sempre armato, forse proprio per compensare una vita davanti alla quale si sente impotente, tradito e abbandonato: “castrato dalla società”. Cage lo fa muovere nell’ombra come un mostro, quasi fosse un personaggio uscito da Non aprite quella porta, giocando sui continui sbalzi di “umore e amore” che costantemente scatena tra le quattro mura di questa villetta di campagna cigolante e piena di sinistri lucchetti alle porte. KaDee Strickland, attrice nota per lo più per serie televisive come Private Practics, interpreta un personaggio non meno di impatto: una moglie ambigua quando complice e “doppio perfetto” del personaggio di Walter. C’è grande intesa tra Cage e la Strickland e i due si scambiano sovente il ruolo di mattatori sopra le righe, per lo più ai danni del povero Luke Benward che davanti a loro appare sempre più come un topolino con cui giocare, da amare o spaventare a seconda del “modo scelto” per farlo impazzire. Cage esibisce i suoi fucili e il suo sigaro, la Strickland guêpière, vestiti trasparenti e un trucco da diva del burlesque. Fancy, sentimentalmente frustrata esprime con queste armi una carnalità incandescente e bulimica, alla continua ricerca di relazioni e contatti. Deve poter sedurre con lo sguardo, coccolare e abbracciare come una madre, muovere sberle come donna ferita, ma il film spesso non glielo concede. Francy viene perennemente castrata nella femminilità non solo dalla trama ma anche “artificialmente”, da un montaggio che letteralmente taglia le situazioni più spinte e cerca di adombrare le anatomie più birichine. La sensualità persiste ma sottotraccia, come i segreti che si celano tra gli scantinati della casa. L’ambientazione è molto bella, stimolante e visivamente ricca: frutto dell’indubbio bagaglio tecnico del regista. La componente horror/thriller arriva da suggestioni inizialmente pruriginose, un po’ come nella celebre fiaba di Barbablù, e per questo l’essere solo “vagamente erotico” è senza dubbio il peccato mortale della pellicola. Tra eros e thanatos, Grand Isle gioca su un senso di castrazione e insoddisfazione continua, che affligge la coppia protagonista e progressivamente si propaga al piccolo paesino fino a coinvolgerci come spettatori, in un finale che appare “per noi” anche “narrativamente castrato”, involuto quanto tragico. Un finale forse un po’ “tagliato via”, negli ultimi 10 minuti. 

Anche se può essere una scelta “creativa” coerente, seguire questa “strada della castrazione”, con un po’ più di scene erotiche e di azione Grand Isle poteva risultare un prodotto più completo, appagante e memorabile. Allo stato attuale la pellicola rappresentata più un esercizio di stile in attesa di futuri lavori più a fuoco, ma questo non toglie che la visione possa risultare gradevole. 

Campanelli porta in scena un piccolo thriller ben confezionato sul lato tecnico quanto forse un po’ acerbo nella narrazione, che ogni tanto procede a strappi e non sa appagare al meglio le aspettative dello spettatore. Sicuramente un b-movie, ma con buoni interpreti e un buon ritmo, con un Cage oscuro e straripante e una Strickland da sogno. L’intesa tra i due è un piccolo spettacolo che premia dei novanta minuti di visione. 

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Nota di Stile: Cage esibisce per il suo veterano del Vietnam sociopatico una pelata con capello lungo e baffoni da biker anni ‘70 da antologia.

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