mercoledì 22 settembre 2021

Joe - uno dei migliori film di Nicolas Cage, per la regia di David Gordon Green

 


In uno sperduto e depresso paesino tra i boschi della provincia americana, il grosso e minaccioso Joe (Nicolas Cage) “avvelena gli alberi” a martellate. Lo fa con una specie di zainetto dei ghostbusters, con un martello attaccato a un tubo collegato con una mistura venefica i grado a pieno regime di avvelenare 1000 alberi. Certo l’attività non è pensata come una strana “pazzia anti-ecologista”. Joe e la sua squadra scelgono gli alberi più deboli, li marchiano, li avvelenano e così questi potranno essere “abbattuti a norma di legge” dai boscaioli in quanto “malati”. Nuovi alberi più forti potranno essere piantati e tutti sono contenti. È un business un po’ ai limiti del legale, ma permette di magiare a tanta gente e garantisce al bosco di crescere più forte. Stimato quanto temuto da tutta la cittadina, Joe si sposta triste e infelice da un luogo all’altro, tra il bordello e la prigione locale, in uno stato emotivo sempre più esplosivo e desolante. Si sente un po’ come il suo bulldog, un cane da combattimento coperto di ferite che non può fare a meno di finire ogni giorno su un campo di battaglia, volente o nolente. Un giorno arriva a chiedere di far parte della allegra ciurma di Joe il giovane Gary (Tye Sheridan), figlio del manesco Wade (Gary Poulter). Joe vede in Gary uno “scopo”, forse la possibilità di essere per lui un vero padre. Ma Wade, perso nell’alcol e nella autodistruzione, farà di tutto per distruggere questa aspettativa.

Uscito in sala nel  2013, basato sul libro omonimo di Larry Brown del 1991, per la regia di un allora lanciatissimo David Gordon Green, Joe rappresenta una delle migliori prove attoriali di Nicolas Cage, nonché uno dei film più interessanti sulla depressa e bifolca provincia americana contemporanea. Una elegia redneck o in senso poi lato un western crepuscolare. Un film carico di atmosfere grigie, uomini ruvidi, vestiti sporchi di fango, afa, fumosi e appiccicaticci rapporti umani. 


L’hanno paragonato a quello che è stato Copland per Stallone e Joe è stato a ragione un film vincitore di tanti riconoscimenti ufficiali. Io vedo nel personaggio di Joe una sorta di “predestinazione” che segue Cage dai tempi di Arizona Junior (Raising Arizona, del 1987) dei Cohen. In quel film Cage impersonava un divertente, innamorato e squinternato ladruncolo/mezza tacca, così innamorato della poliziotta interpretata da Holly Hunter da convincersi a rapire il bambino di un grosso imprenditore locale, pur di farla “diventare madre”. Dopo il rapimento, i veri genitori mettevano sulle traccia di Cage un cacciatore di taglie a cavallo di una grossa moto e pesantemente armato, interpretato da Randall Cobb. Se avete visto Arizona Junior di sicuro non ve lo siete dimenticato e perseguiterà magari ancora gli incubi di qualcuno. Il personaggio di Cage “lo sente arrivare” in sogno, dice che sente di aver scatenato una “forza primordiale”. Il cacciatore viene da lui descritto come un vero e proprio cavaliere dell’apocalisse. Lo sguardo di ghiaccio coperto da enormi occhialoni, la pelle coperta da fuliggine e sporco, la stazza di un orco. La moto che inquadrata in soggettiva sembra volare sull’asfalto simile alla creatura demoniaca della Casa di Raimi, che lascia sulla strada una scia infuocata e con i fiori che appassiscono al suo passaggio. Fa paura, è grosso e inesorabile, primitivo e primordiale ed è “destinato a Cage”, ha un “legame con Cage”. Al punto che negli anni Cage, come attore, si è più volte avvicinato a questo “orco”, cercando di trasformarsi in lui. Come lui ha guidato una moto che lascia fiamme sull’asfalto, nei suoi due film di Ghost Rider. Come lui è stato una creatura ancestrale in Drive Angry. Come lui è diventato un moloch primordiale, in questo Joe, nel successivo Mandy e nel recente Pig. Creature metafisiche che vivono in strani mondi di confine ai margini della civiltà, legate a stretto contatto con una natura che spesso “depredano per vivere”, uccidendo o tagliando alberi, facendo affidamento su funghi allucinogeni per sballare, utilizzando animali come combattenti. Sono film sui redneck americani, certo, ma chi vuole scorgerlo può vedere in Cage questa creatura stanca e millenaria, simile al One Eye di Valhalla Rising di Refn, che cerca di continuo di combattere per non regredire a “bestia”, aggrappandosi con ostinazione ai pochi scampoli di umanità che gli rimangono. Joe si sente un orco e vive da orco, non permettendo a nessuno di avvicinarsi a lui per delle oscure colpe legate al suo passato. La cosa affascinante, merito dell’ottima caratterizzazione di questo piccolo mondo, è che Joe è assolutamente ben voluto nella comunità, alla stregua di un orco protettore”, risultando pericoloso solo per chi ne teme il potere e quasi ne scorge “l’aura minacciosa”. Quando incontra Gary, il personaggio di Tye Sheridan, Joe “sboccia”, anche se si considerava come una pianta avvizzita, velenosa e sterile. Sheridan interpreta un ragazzo nato in una famiglia difficile, abituato anche lui a prendere la vita a pugni, un po’ come Joe. Gary deve averne “passate tante” e spesso ha dovuto “guardare dall’altra parte” specie a causa di suo padre. L’animo di Gary si è così inquinato che ora si sta trasformando in uomo violento e impulsivo, esattamene come Joe.  Joe che “riconoscendosi in lui” potrebbe essere la prima e unica figura paterna della sua vita.


Il vero padre di Gary, Wade, è una specie di diavolo fuori controllo dominato dall’alcol. Si aggira cattivo tra i boschi, qualche volta ballando per strada senza alcuna musica nell’aria. Continua a ripetere a chi lo incontra “sei mio amico?”, appare spesso vulnerabile, quasi contrito, un vecchietto canuto e sbattuto. Ma possiede una certa luce matta negli occhi ed è pronto a uccidere pur di rubare una bottiglia di whisky a uno sconosciuto. Uccide per poi abbracciare la vittima come a scusarsi. Anche Wade è una belva pericolosa, mette paura. Il grande e purtroppo recentemente scomparso Gary Poulter ci ha infuso dentro un intero mondo di disperazione, rabbia e impotenza. Tutti i personaggi che si muovono su schermo sono complicati e contorti, cercano di vivere il presente nel modo più “felice/fugace possibile”, ma il dramma è dietro ogni angolo e li lascia completamente inermi davanti ai demoni del passato e del futuro. Sono la perfetta metafora di una provincia americana simile a una macchina incastrata con le ruote nel fango, sospesa in una quotidianità che sembra invariata da cento anni. Joe piacerebbe a Stephen King, si respira la stessa pesante aria rarefatta della sua provincia. Un ottimo ritmo, la giusta colonna sonora country, incredibili interpretazioni e personaggi che sembrano fatti per starti in testa e rimanerci.

E quindi dovete vedervelo questo Joe

Voi lo sapete, noi sul blog siamo fan assoluti di Nicolas Cage “il più grande attore vivente a livello statistico”. Lo amavamo quando recitava nei Blockbuster di Turtletaub, Bay, Vaughn, Scott, quando era conteso tra Scorsese, i Cohen, Jonze, Verbinski, Jewison. Lo amavamo quando “esportava” John Woo e lo amiamo oggi quando esporta Cosmatos, “ripesca dal passato” Stanley. Lo amavamo quando ha quasi fatto Superman per Burton e lo amiamo ora quando fa quello che vuole, tutte le parti che vuole, ficcandosi dentro a film tremendi quanto in quelli più sperimentali e interessanti, da vero “uomo libero”. C’è chi si spegne, come Bruce Willis. Chi si blocca nelle espressioni come Travolta. Chi non sembra più in grado di uscire da una maschera come Liam Neeson. Cage sa rinnovarsi, cambiare, sbagliare, riemergere e soprattutto, cosa rara, si diverte ancora a recitare. La vena di pazzia che percorre tutti i suoi personaggi, anche quelli oggettivamente più brutti, lo tiene vivo e ce lo fa amare e temere. Come  quell’assurdo cavaliere dell’apocalisse motorizzato di Cobb, pronto a rifiondarsi in sella e a sorprenderci di nuovo con una interpretazione da maestro. 

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