giovedì 15 luglio 2021

Black Widow - la nostra recensione del nuovo film Marvel/Disney


 

C’era una volta Natasha Romanoff (Scarlett Johannson), la “vedova nera”. Prima una super spia russa forgiata alle arti seduttive e belliche nella misteriosa “Stanza rossa”, poi membro di punta “sul campo di battaglia” dello S.H.I.E.L.D., poi comandante in capo degli Avengers durante il “pensionamento” di Iron Man. Senza possedere dei “superpoteri”, come  il sodale amico Occhio di falco, Natasha ha affrontato minacce di tutti i tipi, dagli alieni invasori alle divinità norrene, dai robot impazziti ai distruttori di universi. Una supereroina senza superpoteri, fino alla fine. Fino a quando (in Avengers: End Game) ha dato tutta se stessa per salvare il mondo in un estremo gesto di altruismo.

Come spettatori dei film Marvel/Disney conoscevamo la Vedova nera da quando era entrata in scena per la prima volta, nel secondo film di Iron Man. Sapevamo ancora poco del suo passato, se non per alcuni flashback in Avengers Age of Ultron, e non sapevamo di certo ancora nulla della strana “famiglia” in cui Natasha aveva passato alcuni degli anni più felici della sua infanzia. Così, per la prima volta, oggi in Black Widow la vediamo quando era piccola, quando era una ragazzina apparentemente spensierata dai capelli blu (interpretata da Ever Anderson). Una ragazzina che giocava nei pressi di un bosco all’imbrunire, nella provincia americana degli anni ‘90, insieme alla sorella Yelena (Violet McGraw), di qualche anno più piccola, imitando con braccia e gambe i movimenti dei ragni, muovendosi di schiena e a testa in giù. Le due sorelle avevano una mamma dolce e timida, Melina (Rachel Weisz), probabilmente di origine russa per via del suo strano accento. Melina parlava come una insegnante di scienze, ma metteva un po’ di magia nel  raccontare alle piccole la strana forma luminosa delle lucciole. Il padre, Alexei (David Harbour), forte come un toro e con la macchina piena di merendine strepitose, è pronto a travolgerle con una sorpresa, la promessa di straordinarie avventure in una casa nuova. La famiglia doveva fare spesso degli spostamenti per lavoro, ma era unita, felice. Fino a che quell’ultimo trasferimento è stato interrotto e la vita di questa famiglia si è scontrata con gli orrori della Stanza rossa. Il nuovo luogo in cui le ragazzine sarebbero state cresciute, con crudeltà militare, per diventare assassine prive di sentimenti. Creature private e prive per sempre di una famiglia, a partire dall'asportazione  forzata degli organi riproduttivi. 



Ci spostiamo più in là nel tempo, temporalmente siamo prima degli eventi di Avengers: Infinity War. Natasha, in fuga dopo essersi schierata con Captain America contro l’atto di registrazione dei supereroi (eventi raccontati in Captain America Civil War) finisce per essere coinvolta in una storia che riguarda proprio Yelena (da adulta interpretata da Florence Pugh) e il vecchio capo della Stanza Rossa (Rey Winston). Un ritorno al passato che potrebbe avere come chiave la visita di un vecchio “covo di spie”, situato a Budapest. Yelena si trova in un grande pasticcio. Potrebbe essere un’occasione per riunire la vecchia famiglia segreta, per salvare tutti insieme la sorellina più piccola, ma sulla strada di Natasha si frappone da subito il letale supersoldato conosciuto come Taskmaster.

Doveva uscire a maggio 2020, ma dopo la pandemia il primo film da solista della Vedova Nera, amatissimo personaggio del pantheon Marvel, giunge in sala solo dal 7 luglio 2021. È un film fresco, veloce. Uno spy Movie sulla scia dei migliori Mission Impossible, pieno di inseguimenti roboanti, combattimenti che sfidano le leggi di gravità, grandi intrighi e cospirazioni che operano nell’ombra. Ci sono i supereroi e i superpoteri, come è giusto e lecito che sia in un film Marvel, fatto per il quale tutto diventa più “grosso”, ipertrofico, in un processo esponenziale che parte fin dalla sequenza che apre ai titoli di testa. Ma tra super-salti, acrobazie da funamboli e scudi rotanti, “la famiglia” (per dirla alla Vin Diesel) è il vero superpotere della pellicola, diretto dalla (brava) australiana Cate Shortland e scritta da Ned Benson (La scomparsa di Eleanor Rigby) e Jacqueline Schaeffer (Captain Marvel, Wandavision). La Johansson da sempre, da Iron Man 2, ha compreso che per faci amare la Vedova Nera doveva infondere nel personaggio cuore e gentilezza, sensualità e umorismo. Natasha è ben più di una guerriera del KGB dai capelli rossi  armata di dardi esplosivi e tutine aderenti. Da ammiccante femme fatale a fumetti è subito diventava una donna complessa, dolce quanto matura. Una donna in grado di giocare con la sua sensualità senza tabù, come quando si finge debole e impaurita davanti a dei criminali “mezze tacche” che la “imprigionano” nel primo Avengers. Ma anche una donna in grado di commuoversi e innamorarsi dell’uomo dietro a Hulk (in Avengers Age of Ultron), una stratega riflessiva (In Avengers: Infinity War). È bello scorgere questa complessità emotiva anche nella nuova “famiglia” della Vedova Nera, dove tutti i componenti sono ugualmente ben scritti e interpretati. C’è un ottimo amalgama tra gli attori e subito la Weisz diventa una mamma da cui aspettarsi abbracci e di cui preoccuparsi quando non risponde al telefono. Harbour come super-padre sembra ruvido e distaccato, ma travolge con un solo abbraccio. La Pugh diventa una credibile “sorellina piccola”, che vuole fare tutto a “suo modo”, rimanere indipendente, non ascoltare critiche e tirare frecciatine alla sorella più grande, ma è pronta a intervenire nei momenti difficili. E poi ovviamente c’è la Johansson, che si riesce a calare in questa meccanica di gruppo in modo spontaneo, avvolgente, generoso, senza fare la prima donna. Dal mio punto di vista le scene famigliari di Black Widow, con i loro dialoghi quotidiani, le prese in giro del papà e le raccomandazioni materne, nascondono di fatto la più grande magia della pellicola. Si crea tutto un leggiadro balletto emotivo tra frasi non dette, tempi sospesi, gesti che valgono più di mille parole e tendono tutti ad autenticare e colmare l’inestinguibile bisogno di un pur piccolo, pur “surreale”, incontro emotivo tra i personaggi. Spie che interpretano un ruolo “da persone comuni”, per scopi bellici, finendo per innamorarsi di quella funzione e crederla autentica. Crederla reale. Poi se volete e preferite c’è tutta l’azione a rotta di collo e il film trasuda divertimento, diventa presto un ottovolante. Ma il lato emotivo dei personaggi è per me il pezzo forte. Adeguato per cattiveria il villain. Sfuggente, ambiguo, compiaciuto e inesorabile specchio di un potere assoluto e  cieco, che si spera seppellito con la guerra fredda, è un personaggio davvero glaciale. Taskmaster non è lo stesso personaggio “stralunato” dei fumetti, che sembrava un po’ in certe incarnazioni quasi un Deadpool depresso e autoironico (con la maschera sul volto sempre mobile e scheletrica, quasi un fratello buffo di Skeletor dei Masters of The Universe). Il nuovo Taskmaster è silenzioso come un Terminator, ma non rinuncia alla sua cifra “supereroistica” di riuscire a replicare ogni movimento e colpo segreto dei supereroi più noti. Vederlo in azione è uno spettacolo. Molto bello l’inseguimento sulle strade di Budapest, la sequenza della prigione e il vertiginoso confronto finale. 



Black Widow è un film divertente e ben recitato, ideale per una serata spensierata. L’amalgama che si crea tra gli attori è molto forte, al punto che sembrano davvero una famiglia credibile e unita. L’azione che si vede su schermo resta nella linea di uno spy movie ad alto budget, molto “fumettoso” ma bello adrenalinico. Non innoverà il genere ma Black Widow è una pellicola piacevolissima e gli Stunt sono realizzati ad arte. Poco incisivi i cattivi, ma funzionali.

I supereroi sono tornati al cinema. 

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