giovedì 13 giugno 2019

Polaroid - la nostra recensione!



È interessante come di nuovo sia un corto cinematografico a dare il là a un film che ne estenda la trama e personaggi. Di recente lo abbiamo visto con Mama, lo abbiamo visto con Lights Out, lo abbiamo visto con Turbo Kid e ce ne sono un sacco! Io tipo punto che prima o poi mi diventi un film lungo questo corto qui sotto


Vai Jester che ce la fai!! Già ti vedo i pupazzetti e le comparsate in Mortal Kombat, ma torniamo in tema, torniamo a Polaroid. Nel nostro caso il corto era questo:


Non è che sia tutto questo manifesto dell'innovazione. Tra i miei lettori chi da detto "il foto-cane" di Quattro dopo mezzanotte di King, o Project Zero o Shutter? O Ring? O altre sessanta pellicole, game e libri diversi con macchine fotografiche possedute? Ma il punto non è questo, quanto la natura più sorprendente e sexy dei corti cinematografici horror. Sai che in tre minuti o poco più ti vogliono spaventare, tu stai al gioco ma un po' stai "vigile", alla fine salti sulla sedia e se funziona bene hai il tuo brividino. E Polaroid, di un regista dal lontano nord Europa, Lars Klevberg, funziona. Ha i tempi giusti, spaventa. Spaventa così bene che Klevberg ne ha diretto una versione lunga e tipo "dopodomani" lo troverete ancora al cinema perché ha già avuto luce verde per un progetto più ambizioso, il remake di Bambola Assassina. Un'altra bella storia?
Insomma.
Partiamo dalla trama "espansa". Una ragazzina, con un brutto trascorso passato alle spalle, vive serena nel suo contesto scolastico nel freddo paesino nord Americano in cui abita. È appassionata di fotografia e si imbatte in un modello storico di Polaroid mentre lavora all'antiquario locale. La macchina è ovviamente maledetta e chi viene fotografato è destinato a morire male. Prima appare sulla stampa alle sue spalle un'ombra minacciosa, poi nelle ore successive 'sto sfigato incontra un brutto mostro in bermuda, fisico bruciacchiato e mani con coltello retrattile. Ovviamente finirà male. La nostra protagonista porta a una festa questa macchina vintage, con cui tutti si fanno dei selfie vintage, per poi finire tutti in una spirale di morte per le mani-coltello di un mostro vintage pure lui. Perché è un mostro molto anni ottanta, calato perfettamente in uno slasher movie pure lui fortemente anni '80. È tutto un vintage quindi. Un plauso al momento della "creazione del mostro", una roba che Andy Kauffman della Troma avrebbe applaudito, tra fulmini, fuochi, pallottole e tanto lattice prostetico. Forse pure a Tsukamoto con le sue fusioni/ossessioni uomo-macchina potrebbe apprezzare questa variante in mutandoni e meno verve di Krueger/Sadako. 'Sto mostro risponde a sue regole ultraterrene poco chiare, ha naturalmente un passato "umano" che il gruppo dei protagonisti-vittime deve indagare, ha il compito di mettere un po' di verve a una pellicola che è davvero troppo, troppo derivativa. Le giovani vittime sono il classico cast da teen- horror e rispondono al 100% alla ritualità che questo genere comporta, in un modo che direi piuttosto "onesto". Gli scenari sono quelli rituali, tra la scuola, la stazione di polizia e la biblioteca di ogni paesino standard degli slasher anni '80. Allo stesso modo i colpi di scena arrivano con una certa prevedibilità, ma non è nemmeno questo il punto, questo genere non ha mai brillato per inventiva. Ciò che non va è lo "Slash", ed è piuttosto grave. Lo Slash è "l'omicidio" e in qualche modo diventa la firma del mostro. La vittima viene fotografata, la Polaroid fa il suo particolare rumore di ingranaggi prima di lasciare la stampa, che subito viene sventolata, con il suo rumore di plastica caratteristico, per asciugare l'immagine. Chi conosce le Polaroid può pure immaginare / ricordare l'odore della foto. E poi appare il mostro la prima volta, alle spalle di chi è fotografato. È un rituale semplice e veloce, inesorabile, quanto un corto cinematografico horror. Solo che il mostro, che in qualche modo è il "proiettile" di questa "inconsapevole pistola" non è altrettanto bravo. Si sente il suo respiro, in genere mentre la vittima si aggira per scenari bui, e poi l'azione finisce in un attimo senza che si abbia il tempo di capire dinamica e senso. Forse perché un ibrido Kruger/Sadako non lo puoi concettualmente fare. È questo il grosso limite della pellicola, che spegne gli entusiasmi per un prodotto tutto sommato discreto, adeguatamente presentato e diretto, benché chiaramente diretto a una platea amante del genere. Il mostro, che pure può essere buffo quanto interessante visivamente, ha poca personalità. Non ha l'incredibile presenza scenica e l'occhio vitreo e giudicante di Sadako, non ha la verve dialettica quanto la teatralità di Kruger. Si presenta in azione per lo più in ragione delle sue mani allungate e bruciate che si avvolgono al collo della vittima e poco altro. Sembra una "cosa", un essere troppo veicolato dalle regole che ne spiegano le azioni al punto che le "morti e il modo di evitarle" sembrano più seguire logiche da Final Destination. È un orco deludente e monocromatico. Non ha nemmeno un'imponenza tale da permettergli di essere un convincente bruto come Jason, Micheal o Faccia di Cuoio. Un vero peccato che poi la trama non cerchi in nessun caso di bypassare questo suo status, magari dandogli qualche battuta o un background più interessante. E quindi tutto lo spettacolo si riduce al solito "banchetto di adolescenti" dello slasher anni ottanta, alimentato come tratto sociologico dalla nuova ondata edonista del popolo dei selfie (e l'edonismo anni '80 è stato di fatto un importante precedente). Troppo poco. Può essere comunque divertente per un'ora e mezza e tanti pop corn. La cornice è quella giusta, per farcelo piacere dovrete magari attingere dalla vostra memoria storica di qualche notte Horror su Italia 1. 


Temibile mostro in bermuda, più bello però dell'Uomo senza sonno di Bale.

Scena standard di agguato del mostro. Buio. Due mani da mostro di gomma. Urla. FIne. Total: 2,37 secondi di agguato in media

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2 commenti:

  1. Il corto era molto carino. Infatti bastava che il film finisse dopo il prologo per beccarsi un 7. Così siamo voluti scendere fino al 5, una noia infinita, porca miseria.

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