domenica 21 aprile 2019

Captive State: la nostra recensione del nuovo film di fantascienza di Rupert Wyatt, regista de L'alba del pianeta delle scimmie




In un futuro prossimo, o in una distopia abbastanza coerente ai nostri giorni, gli alieni ci hanno invaso e hanno vinto. Gli omini verdi sono i nuovi padroni del mondo e ci hanno accettato come sudditi a patto di uno strettissimo sistema di sorveglianza da gps ficcatoci in corpo (stile il mitico L'implacabile di Glaser), telecamere ovunque (stile Ready Player One di Spielberg) e una polizia militare stile Germania dell'Est (e qui la mente torna al grande Le vite degli altri di Von Donnersmarck). Una resistenza comunque ha cercato di formarsi, e punta tutto su azioni disperate e suicide. Chi nella polizia "lavora per gli alieni", come il personaggio di John Goodman, William, si sente sempre un po' un traditore ma al contempo la leva giusta per mantenere lo stato delle cose. Gabriel (Ashton Sanders) è un ragazzo sveglio ma un po' problematico che vuole percorrere la strada "rivoluzionaria" intrapresa dal fratello Rafe (Jonathan Majors, spesso ritratto sui palazzi con un appeal da Che Guevara). Gabriel è però anche un protetto di William, che cercherà in ogni modo di tenerlo lontano dai guai. 
Si respira un'aria di tensione costante, in Captive State, con momenti di interessante malinconia da detective story e un pizzico di Casablanca, tutti aggraziatamente sottolineati dalla presenza del misterioso personaggio della sempre bellissima Vera Farmiga. Gli alieni sono misteriosi, sempre per lo più nascosti allo spettatore. Sembra perseguano obiettivi e abbiano costumi non codificabili per l'uomo, a parte la "conquista di potere e risorse". Vivono nel sottosuolo, dove l'aria per gli umani è così rarefatta da necessitare di respiratori specifici. Hanno robot e mezzi da guerra che presidiano la superficie, ma in pochi li hanno davvero visti, sembra che si muovano rotolandosi, dalle storie che si raccontano e per alcune testimonianze dirette, probabilmente si accoppiano e nutrono in modi disgustosi, spesso alla presenza dei sudditi umani.
Sono "diversi", criptici, predatorii, ma al contempo la perfetta metafora di uno stato forte ed oppressore, contro il quale si può agire solo con "la guerriglia e le armi dei poveri", se non accettando la sottomissione. Un messaggio importante, di fantascienza "sociale" (come lo era d fatto la saga del Pianeta delle Scimmie), che fa mettere lo spettatore, americano in primis, nei "panni" di chi, per lo più inerme, combatte per sopravvivere a un paese fortemente capitalista e tecnologicamente evoluto come il loro. Una riflessione che si espande alla filosofia dell'arte della guerra, coinvolgendo nel discorso semantico (la parte più gustosa del film) anche i poemi omerici. Ci sono un paio di ottimi colpi di scena, compreso un finale che se forse non del tutto inaspettato è da standing ovation per "coolness". L'atmosfera è quella giusta, le scene d'azione sono ben gestire, la tensione è palpabile e gli attori, Farmiga e Goodman su tutti, giganteggiano ogni volta che possono, "mangiandosi" letteralmente tutte le loro scene, elevandole a piccoli capolavori di stile e recitazione. 
Manca però qualcosa all'insieme, qualcosa che si può sospettare sia stato tatticamente lasciato da parte per sviluppare il film come una saga, farne un brand prima del tempo. La natura low budget del progetto non aiuta molto poi in termini di spettacolarità, e questo per alcuni fan degli effetti speciali può essere un problema, così come la scelta di alcuni personaggi un po' sotto le righe (quello di Ashton Sanders su tutti) rende alcune parti della pellicola meno appassionati. Captive State sarebbe uno straordinario episodio pilota di una serie TV di lusso. Vorremmo vederne di più, anche con la consapevolezza che molto del fascino del film risiede nella nostra personale interpretazione dei misteri legati alla trama. 
Talk0

P.S: vi consiglio comunque di recuperare anche Moonlight, per vedere un Sanders davvero in forma.

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