domenica 15 novembre 2015

The martian - il sopravvissuto - la nostra recensione!





Che cosa fa un cane da solo nel deserto marziano? Bobby Solo su Marte. È dalla seconda asilo che volevo riciclare questa battutaccia che nei primi anni ottanta piaceva un casino a tutti i "cinquenni" ingrati e ignoranti della bella musica italiana. Quelli che si sparavano "bimbo mix" a manetta sul mangianastri. Lo faccio con sprezzo dell'idiozia cospargendomi di cenere perché la citazione ha senso, forse. Questo film parla di spazio e abbandono, di sopravvivenza e coraggio ma anche e parecchio di musica ed "emozioni" del passato. Musica anni settanta - ottanta e disco music, omaggiata con uno score da urlo. Vero, lo faceva anche I guardiani della Galassia, ma lì non c'era il deserto e la battutaccia non mi era venuta. E quindi per me doveroso, nel flusso dei ricordi, ora che sono cresciutello (pur rimanendo cretino per la battuta di cui sopra) inserire immodestamente e virtualmente in questa recensioncina brutta, nella track list stellare di The Martian, che annovera giganti come gli ABBA, David Bowie e Gloria Gaynor, anche il membro più carismatico dei "Robot". Così uno in futuro verrà a leggere questa recensione e ci troverà un link (che i miei discendenti si assicureranno sempre funzionante) a un video importante ma che non c'entra nulla con il film, inserito così perché mi andava, lo ritenevo giusto e ci stava bene.



E poi ditemi che non ci sta bene sulle dune di Marte!!

E ora che vi ho spinto all'unisono al "facepalm" direi che si può dire una parola o due su questa nuova pellicola di Ridley Scott.






Spazio, ultima frontiera. La missione Ares 3 della NASA punta dritta alla colonizzazione di Marte spedendo degli omini direttamente sul pianeta rosso. Tra di loro c'è Mark, un botanico, preso un po' di mira con il classico #nonserviauncazzo. L'approdo sul pianeta funziona, hanno il classico veicolo spaziale "rover", hanno l'astronavina di recupero, la base costruita, l'Ares 3 non manca di tutti gli accessori disponibili nei set spaziali della Playmobil.




Sembra la classica giornata d'estate marziana perfetta e ovviamente il casino e dietro l'angolo. Come sempre il colpevole delle nostre vacanze rovinate quanto dei viaggi spaziali è lui.






E dire che su Marte fa sempre bello!! Una tempesta di sabbia può capitare tipo una volta ogni cinque anni!! E infatti... Nel fuggi fuggi generale, tra l'ombrellone e l'aggeggio solare per l'abbronzatura lasciati per terra, tutti scappano sulla scialuppa di emergenza che rischia di cadere di lato per le raffiche di sabbia e poi "come cacchio facciamo a rimetterla dritta". "Ma io ho un'idea!", si sente dal fondo della fila degli astronauti in fuga. È la voce del saputello botanico. Tutti, un po' scazzati e innervositi, si girano ad ascoltare l'ennesima "nerdata" di quel fallito. E qui, apro parentesi,  ci sarebbe da dire che Matt Damon non sembra esattamente il "corpo" da abbinare al personaggio che interpreta. L'eroe del film, l'uomo che dovremmo vedere da solo gestire il 90% della pellicola dovrebbe essere più un soggetto di questo tipo...






Solo che passare due ore con Poindexter di Revenge of Nerds virtualmente doveva essere devastante per il botteghino. E quindi c'è Matt Damon, che è un po' la stessa cosa.


Chiusa parentesi "Matt Damon", torniamo al film, che oggi scriviamo davvero un casino a rilento.
Dicevamo, tutti fuggono ma il botanico nerd li blocca e dice: "Non potremmo legare l'astronave con l'antenna, con il domopack spaziale con.." SBEEMM. Manco finisce la frase che una parabola lo colpisce in faccia e lo butta lontano dal gruppo, mentre la tempesta diventa così fitta che tutto fa buio e nessuno riesce più a vederlo. Dopo un paio di svogliati tentativi di salvataggio, tutti vanno via e lasciano in botanico a morire su Marte. In fondo il viaggio verso casa è di un paio di anni, anche migliori da sopportare senza di lui. Se lo avessero salvato li avrebbe ammorbati con i suoi continui discorsi e si sarebbe lamentato tutto il tempo di come lo stavano per abbandonare su Marte, una palla. Cioè , ci rimangono male perché uno di loro è morto ma la vita continua, non piange "nessuno"... sarà l'addestramento spaziale...
Certo se fosse sopravvissuto sarebbe doveroso andarlo a salvare, perché è Matt Damon e già in Salvate il Soldato Ryan che in Interstellar Hollywood ne impone forzosamente il salvataggio come sviluppo narrativo tipico di un film, è roba collaudata.
E Matt-Mark-Poindexter, incredibilmente e come già ci dicono trailer e titolo italiano è sopravvissuto. Con qualche ammaccatura ma ce l'ha fatta. Ce lo immaginiamo esultare con quello che sarebbe il suo reale aspetto.


Non è l'immagine stessa della "gioia"? Dopo di che il nostro si ricompone e fa quello che appare più normale per uno che sta per morire nello spazio alla prossima tormenta di sabbia killer, si mette a fare dei video giornalieri che i posteri vorranno a tutti i costi caricargli sul suo canale di youtube. Ma non si limita a questo e noi spettatori ringraziamo caldamente. Sfregando il suo prodigioso testone il nostro eroe elabora un piano di lungo corso per sopravvivere degli anni su Marte. Sfruttando pannelli solari, lezioni di chimica e fisica e affidandosi a una razionalizzazione delle sue risorse, Mark è in grado di avere ossigeno, acqua e pure coltivare qualche patata. Ogni giorno una sfida, ogni giorno una vittoria o una sconfitta con cui fare i conti il giorno seguente. Fino a che, forse, qualcuno riuscirà a mettersi in contatto con lui.
Lo sceneggiatore ultra cool Drew Goddard, una grandissima penna e un ottimo regista con all'attivo Cabin in the Woods e un po' deluso dallo slittamento dei suoi Secret Six prende in mano un istant -Classic del web, il romanzo The Martian di Andy Weir e insieme al leggendario ma ultimamente delizioso regista "vintage" Ridley Scott porta sullo schermo una avventura spaziale che sta un po' dalle parti del Robinson Crusue di Daniel Defoe, un po' sulle coordinate dell'Apollo 13 vera e cinematografica di Ron Howard. Con un pizzico del nolaniano Interstellar, uno spruzzo del cuaronian Gravity e una punta del Castaway di Zemeckis.
E in più si conferma l'adagio, appunto da Guardiani della Galassia,  che se nello spazio nessuno può sentirti gridare, il silenzio cosmico è perfetto per inondare le casse di canzoni vintage. Se quindi The Martian almeno formalmente ricorda questo e ricorda quello, la sua spinta originale nasce tutta nel romanzo di Weir, con il suo nerd che affronta con pigio enigmistico ogni sfida, dimostrando che nulla è impossibile con l'impegno e l'entusiasmo, anche sopravvivere da soli nello spazio. Se il crociato Orlando Bloom in Kingdom of Heaven, sempre di Scott, riusciva a irrigare il deserto costruendo un corso d'acqua, qui Damon fa la stessa cosa; modifica l'ambiente che mano a mano diviene più amico dell'uomo, pur concedendosi qualche volta di deprimerlo un po'. Il romanzo come il film sono così "forti" nella tematica di "problem solving" unita alla matrice logorroica del nostro eroe che il film si permette di mettere in primo piano solo la sopravvivenza pratica su Marte. Poco o nulla sappiamo dei nostri personaggi al di là dei loro problemi pratici e più impellenti. Damon parla e straparla solo di cose tecniche o cose assurde, Gloria Gaynor canta per lui "i will survive". Il lato pratico di questo originale approccio è che si parla solo di roba tecnologica spaziale, cercando magari di non escludere troppo lo spettatore usando paroloni su paroloni e utilizzando infiniti esempi visivi. Ogni tre minuti Mark o i tizi alla NASA che cercano di recuperarlo si mettono a disegnare qualcosa sul muro o a spostare oggetti per descriverci manovre spaziali, distanze, quantitativi di cose. Si arriva alle repliche degli oggetti che Mark usa su Marte, ai modellini in scala. Presente il solito esempio con penna e foglio piegato e bucato che si utilizza da Punto di non ritorno a Interstellar  per descrivere i buchi neri? Tutta roba così che vorrebbe spiegarci qualcosa ma che alla fine non ci riesce a spiegare una sega di nulla. Almeno per spiegare la teoria della manovra a "fionda" potevano usare l'esempio di Star Trek rotta verso la terra... per una volta avrei capito. O forse no. In sostanza, tanti ma tanti termini tecnici e spiegazioni "illustrative". Grazie al cielo però alleggerite da un po' di humor, che ci rende l'esperienza più piacevole. Funziona tutto a meraviglia nel primo tempo, il nostro naufrago spaziale grazie a un Matt Damon in stato di grazia riesce a farsi voler bene anche quando si lancia in noiosetti e continui spot sulla NASA. Ma già nel secondo tempo, quando parte con una maxi Supercazzola ultra-nerd di tre minuti sul fatto che stia per compiere una azione da "pirata" (roba di acque territoriali e trattati spaziali) il pubblico preferirebbe vederlo morire o per lo meno che alzasse il volume di Waterloo degli ABBA e stesse zitto. Perché nel secondo tempo per me l'idillio si spezza un po'. I paesaggi marziali sono favolosi ma un po' tutti uguali ed è un'ora buona che li abbiamo visti. Il coinvolgimento emotivo per il nostro eroe c'è inversamente a quanto incominciamo progressivamente a odiarlo. La vicenda stessa che è raccontata nella seconda parte perde di mordente e si fa piuttosto lineare, pur soddisfacendo un numero sindacale di colpetti di scena. E allora si sente di più la distanza tra Mark e lo spettatore, vorremmo sapere davvero un po' di cazzi suoi, sulla sua famiglia e amici, sogni e progetti, qualcosa che va oltre alla missione spaziale. La Bullock in Gravity viveva una tensione tra terra e spazio che si rifletteva sulla sua famiglia, sul rapporto con la figlia. Interstellar era un film sull'eredità, padri e figli, Tom Hanks in Apollo 13 aveva qualcuno da aspettare a casa e lo stesso valeva per Sigurney Weaver, sempre diretta da Scott, nel primo Alien. Con Matt Damon ho fatto fatica a empatizzare al di là del suo umorismo, di un decadimento fisico volto a manifestare progressivamente la sua malnutrizione e del suo malcelato odio per la musica dance anni ottanta, che pur si ostina ad ascoltare per placare le urla del silenzio cosmico. Quello che è l'approccio originale della pellicola diviene con il minutaggio che si ingrossa forse un suo limite. Un limite che si somma a una sequenza interminabile di situazioni "a tematica spaziale" già viste nei film citati sopra e nei film di fantascienza in genere.
Ottimi effetti speciali, una recitazione buona per Matt Damon e abbastanza nella media per il resto del cast coinvolto, una bella colonna sonora e una splendida fotografia. Uno sforzo serio per rendere tutti gli aspetti scientifici plausibili il più possibile, una sceneggiatura che sa giocare con lo humor, il miglior biglietto da visita per la NASA e un ritrovato entusiasmo per le generazioni future che andranno forse davvero nello spazio. La dimostrazione, in un momento di crisi generazionale come il nostro, che il muscolo più potente dell'uomo è il cervello, che lo studio è importante e che il futuro anche più cupo può essere battuto se si riesce a credere in se stessi. Tuttavia una pellicola che arriva al finale col fiato corto, che non ha abbastanza mordente per desiderare di vederla una seconda o terza volta. Un film carino ma che non riesce in nessun caso a essere memorabile, soprattutto per limiti concettuali già presenti nel romanzo che qui si amplificano. 

Forse se il protagonista avesse avuto davvero l'aspetto di Poindexter, i suoi tic nervosi e la sua pettinatura, la pellicola poteva avere una spinta in più. Il parlare del protagonista solo della missione poteva contornarsi di prospettive mattoidi, ossessive. Potevamo avere uno Spider di Cronenberg ambientato nello spazio. Sarebbe stato più gustoso ma la pellicola avrebbe fallito sul piano dello spot americano al programma spaziale, che era sicuramente uno dei goal cui puntava la produzione. Insomma Poindexter non ci può andare davvero nello spazio in un film così.
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