Una Londra dei giorni nostri è sempre la casa degli 007 e dell’MI6 (il cui capo ha qui il volto, non a caso, di Pierce Brossnan).
Gli agenti segreti vivono costantemente tra bugie e negazioni, in ragione della difesa di un superiore “bene comune” in virtù del quale si può dire e fare di tutto, invocando a giustificazione anche delle cose più turpi il termine “Black Bag”. Questo zelo verso l’onestà assume la forma di una specie di “malattia professionale”, in seguito alla quale gli agenti diventerebbero persone sempre più incapaci di resistere all’interno di una qualsiasi relazione basata sulla fiducia reciproca. Una eccessiva fedeltà verso il partner viene di conseguenza considerata in questo mondo distorto un “vulnus”, un punto debole di cui il nemico può facilmente fare uso. In questo clima, anche solo realizzare “una sera a casa di amici” non può che essere una situazione con ovvi secondi fini contro-spionistici.
Una “serata di divertimento e giochi”, in compagnia della coppia formata dall’austero specialista degli interrogatori al poligrafo George (Michael Fassbender) e dalla lunare dirigente di alto livello Kathryn (Cate Blanchett). Una cena a sei, a casa di George.
Questa è la singolare “proposta dell’ultimo minuto” a cui devono far fronte due coppie di agenti più giovani. Una coppia è formata dalla irritabile e umorale specialista al controllo satellitare Clarisse (Marisa Abela) e dal narcisista e cinico agente Freddie (Tom Burke). L’altra è formata dall’infantile e rancoroso agente operativo James (Rege’-Jean Page) e dalla infelice e gelida psicologa Zoe (Naomie Harris).
Tutto il ricco menù è opera delle mani esperte di George: con una pietanza in particolare piena di una droga simile al siero della verità che toglie inibizioni e aumenta l’aggressività.
George con i suoi manicaretti sta guidando a quel tavolo di un bellissimo soggiorno signorile, una delicatissima e pericolosa “caccia alla talpa” dalla quale dipende tutta la geopolitica futura. Le persone sedute accanto a lui, compresa sua moglie, sono tutte finite su una lista che le ritiene possibili traditrici del loro paese. Uno di loro nello specifico avrebbe venduto a dei dissidenti russi una arma di nome “Severus”: un virus informatico in grado di far esplosioni a distanza il nucleo di una centrale nucleare, forse vicino al Cremlino, forse dando inizio così alla Terza Guerra Mondiale.
George è un uomo così composto e calcolatore da sembrare quasi una macchina. Scruta ogni dettaglio, detesta chi mente quanto trovare le più piccole macchie che rendono un vestito da sartoria sporco. Il suo metodo investigativo è simile al suo modo di pescare all’alba sul lago. Per attirare le sue prede ama creare “stimoli emotivi” come preparare ogni singola azione. Lancia l’amo lontano per poi lentamente avvicinarlo: come riavvolge il mulinello “rielabora” nella sua mente ogni risposta incerta, distratta e forse colpevole di chi inevitabilmente verrà pescato in fallo.
Per dare brio quanto stimolare risposte violente, per la serata ha preparato un gioco di gruppo: ognuno dei commensali dovrà esprime “cosa si augura” per la persona che siede alla propria destra del tavolo.
Le droghe hanno subito effetto e rivelano segreti fin troppo intimi, anche per le spie. I sorrisi si fanno in pochi minuti tirati, gli occhi e le frasi sempre più cattive. Emergono insoddisfazioni sul piano sessuale, tradimenti malcelati e discriminazioni per l’età o il carattere “troppo debole” del proprio partner. Il gioco e la serata terminano con qualcuno che si prende una coltellata nell’ego e pure al centro della mano. Ferite superficiali che arrivano forse “troppo presto”, ma da cui George ha capito qualcosa di importante sulle fragili dinamiche di ogni coppia. Può da qui iniziare a intessere nuove trappole e strategie, di sorveglianza e ricatto, per mettere nuovamente alla prova tutti i presenti.
George saprà farsi prestare i super tecnologici “occhi satellitari” e arrivare fino ai più classificati contatti del MI6. Fino a che l’agente, spinto verso più vicoli ciechi, inizierà a dubitare anche delle più piccole certezze che da sempre lo hanno guidato, nella vita e nel lavoro. E dire che in passato, nel nome della lealtà e della patria, non si era fatto problemi neppure a rovinare la vita e carriera di suo padre. Facendo emergere un suo scandalo sessuale nel mezzo di una festa di compleanno: foto di amplessi proiettate nel filmino del taglio della torta.
Kathryn inizierà allo stesso tempo a preoccuparsi per per il suo uomo: la numero 2 dell’MI6, con tutto il suo potere e influenza, pari intensità e ossessione, dimostrerà forse come il “vero amore tra agenti”, ai tempi delle Black Bag, abbia per fondamento inevitabile una cappa di infinite suggestioni paranoidi atte a preservare il rapporto.
Riuscirà George a fidarsi di Kat al punto di essere disposto, come chiede di prometterle, anche “ad uccidere per lei”? La “tenuta” delle altre due coppie sarà più funzionale agli interessi del partner o al bene del proprio paese?
Lo sceneggiatore David Koepp è una autentica leggenda di Hollywood. Per Spielberg ha adattato il Jurassic Park di Crichton, scritto i più recenti Indiana Jones e La guerra dei mondi. Per De Palma ha lavorato su Carlito’s Way, il primo Mission: Impossibile e Omicidio in diretta. Per Howard ha adattato i romanzi di Dan Brown: Angeli e Demoni e Inferno. Ha dato vita a una nuova versione del Jack Ryan di Tom Clancy per Branagh, per Zemeckis ha scritto La morte ti fa bella e ha adattato anche opere tratte da Stephen King. Per i fan degli action anni ‘80 ha scritto pure il piccolo (s)cult Arma non convenzionale.
Nel 2024 lavora con Stephen Soderbergh a Black Bag e in contemporanea al thriller soprannaturale Presence, tra poco nelle sale.
Con Black Bag Stephen Soderbergh sembra quasi tornato ai temi del suo esordio con Sesso, bugie e videotape del 1989. Dinamiche di coppia funzionali e disfunzionali, intriganti, qui “ricoperte” di un grande fascino da spy movie e “rese preziose” da una messa in scena divertente, ricca di un suggestivo “senso tragico”. C’è l’azione, i “giochi di prestigio” degli spy movie, ma Soderbergh vuole inchiodarci a quel tavolo, come fosse un fulcro dell’universo.
Il regista che più di tutti ha fatto del ritmo e del montaggio incrociato una delle sue principali cifre stilistiche, ormai da anni sta infatti cercando, da vero iconoclasta, di smarcarsi da una definizione/etichetta che sente per lui troppo “opprimente”. Black Bag, per il modo in cui “inchioda sulla scena” e sempre al centro dell’azione i personaggi, non sfigurerebbe a teatro. La telecamera quasi non si muove, se non con piccolo “voyerismo”. I caratteri si rivelano attraverso un ricco linguaggio non verbale e dialoghi particolarmente brillanti. Ogni spettatore diventa a suo modo un detective e rimane afferrato al racconto dall’inizio alla fine. È sempre un film di spie, anche se i duelli con le armi da fuoco fanno forse meno male di velenosissime e non meno “mortali” invettive. Ogni dialogo, dal più ingenuo al più tecnico/tecnologico, dal più sarcastico al più psicanalitico, sa trasformarsi in una vera e propria “arma”. Qualche volta sembra di assistere a una variante da 007 di Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese e il gioco funziona bene soprattutto in quei frangenti.
Ottimi tutti gli interpreti, che qui felicemente e con autoironia, in un modo gioiosamente meta-cinematografico, sembrano portare sul set qualcosa dei loro ruoli del passato.
Fassbender, che forse non riesce ancora a “togliersi la maschera” del gelido robot David di Alien Covenant, regala al suo George un sincero e profondo, quasi goffo, “smarrimento”.
Blanchett con la sua Kat prova a essere “intima e sensuale”: gioca con sguardi intensi, ma sembra non riuscire a togliersi quella “avvenenza maestosa ma fredda”, che la ha pluri-celebrata negli anni come regina degli elfi (Il signore degli anelli), poi regina di Inghilterra (Elizabeth), donna forte al comando (Tar), dea norrena (Thor Ragnarok), addirittura “reincarnazione spirituale” di Katarine Hepburn (The Aviator) e pure “il femminile” di Bob Dylan (Io non sono qui).
Fassbender e la Blanchett in questo gioco di rimandi, vizi e difetti sanno trasmettere a pieno ogni emozione, sfumatura e sfuriata delle loro complesse e complessate spie. Creature machiavelliche e manipolatorie, “glaciali” per natura (lui) o anche sono per estetica (lei), ma in fondo umanissime e umanamente adorabili in quanto legate tra loro da un sentimento autentico. Un sentimento che, goffamente, non riescono a dichiararsi senza “esternazioni inquietanti” che sotto l’occhio divertito di Soderbergh e la penna precisa e irriverente di Koepp ci paiono degne di Gomez e Morticia Addams. Personaggi che le costumiste Sarah Bosshard ed Ellen Mirojnick, giocando con i noti cliché degli spy movie, rendono quasi bartoniani, quasi a livello del Gru di Cattivissimo Me: ci si affeziona, nonostante, tutti i terribili intrighi, doppi giochi e complotti internazionali in cui finiscono dentro durante tutta la vicenda. Li adoriamo anche quando snocciolano un ricchissimo gergo spionistico così soverchiante di sigle e tecnicismi da risultare “esagerato”, ma che lo sceneggiatore Koepp sa rendere sempre giocosamente credibile. Dettagli infiniti uniti a una ottima prova di tutto il cast che rendono Black Bag originale quanto stimolante per più visioni future.
Black Bag mette in scena il modo in cui una crisi di coppia sia in grado di trasformarsi in crisi internazionale.
La nuova impostazione “teatrale” di Soderbergh diverte e conquista, forse strizzando felicemente l’occhio ai Perfetti Sconosciuti di Genovese.
Ottima la messa in scena, brillanti e sempre ricercati e ammiccati i dialoghi, bravissimi tutti gli interpreti coinvolti.
Soderbergh firma un altro piccolo capolavoro.
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