Una nota preliminare: Per raccontare i concitati e spettacolari eventi
che avrebbero portato al finale della storia (successivi al colpo di scena
dell’episodio 87, rilasciato nel marzo nel 2022), Yuichiro Hayashi, il regista
generale della stagione quattro dell’anime (detta anche Final Season), realizzata
dallo studio MAPPA, ha deciso di optare per una produzione unica, di stampo
cinematografico, che lo avrebbe visto nei successivi mesi anche nel ruolo di
supervisore degli storyboad.
Il girato è stato inizialmente diviso in due special televisivi
(denominati parte 3 e 4 della Final Season): il primo uscito nel marzo del 2023
della durata di un’ora, il secondo, uscito nel novembre dello stesso anno, di un’ora
e mezza (speciali giunti in Italia in streaming su Crunchyroll e Prime Video,
poi raccolti in Home Video da Dynit nel Box 3 della Final Season). Tra il 5 e
il 19 novembre 2023 il materiale è stato rilasciato rimontato, con sigle di
apertura e chiusura inedite, in sette episodi usciti in streaming in Giappone,
che hanno ripreso la numerazione originale della serie tv come gli episodi
dall’88 al 94.
Il film The Last Attack, uscito nelle sale in Giappone a novembre 2024 e che
in Italia arriva ora al cinema, come evento speciale del 3, 4 e 5 Marzo 2025
presentato da Sony e Crunchyroll, è quindi da intendersi come la versione
originariamente pensata dal regista Hayashi, più che un semplice film di
montaggio. Una versione che include anche brevi scene finora inedite.
Un accenno alla storia passata, a uso di chi non conosca la saga
C’è stato un tempo in cui tutto era più “semplice”, anche se crudele. Esisteva solo un territorio boschivo, collinare e lussureggiante chiamato
Paradis, all’interno del quale, in un’area estesa circolare (si stima sui 480
km di diametro), cinta e protetta da tre enormi schiere di mura concentriche alte
più di 50 metri, viveva il popolo degli Eldiani.
Dentro le mura c’erano un’ampia campagna con selvaggina e alberi da
frutto, alcune montagne e miniere, corsi d’acqua e campi coltivati, piccole
città e città sempre più “grandi e ricche” procedendo verso l’entroterra. Al
centro, un castello e una corte reale la cui origine si perdeva nel passato.
In un periodo che per tecnologia e cultura potremmo assimilare a un
imbarbarito diciannovesimo secolo europeo (ma con ampie derive steampunk),
nessuno degli Eldiani, se non attraverso libri antichi, conosceva molti dettagli
sul passato, quanto sul mondo al di fuori delle mura.
Ma tutti erano certi, perché li avevano visti in sporadiche incursioni,
che oltre quel confine ci fossero i giganti. Creature che di piccola taglia erano alte almeno tre metri, ma che in
alcuni casi raggiungevano i trenta.
Nell’aspetto simili a esseri umani, ma con parti del corpo grottescamente
rigonfiate, quasi “lievitate dall’interno” come un impasto nel forno. Muscoli e ossa apparivano di conseguenza
allungati o contratti, in modo scomposto e peculiare per ogni gigante, con
conseguente instabilità in movimenti che apparivano eccessivamente lenti o troppo
scattosi.
La loro testa era tre o quattro volte quella di un essere umano.
Presentava tratti somatici quasi caricaturali, occhi dall’aria assente, una
bocca sempre enorme e piena di denti aguzzi in grado di favorire forse l’unico
vero interesse di queste creature: masticare la carne ancora fresca e viva
degli esseri umani che cercavano di sfuggirgli.
L’espressività faceva dei giganti delle creature involute, placide e
sorridenti anche nell’atto di loro fare a pezzi uomini, donne e bambini. Senza distinzioni,
in un modo spontaneo, crudele quanto ingenuo.
Forse all’apparenza sembravano “goffi”, quasi “vulnerabili” nel loro
presentarsi completamente nudi, con una pelle rosa pallido smunta, molte volte
flaccida. Ma erano esseri quasi immortali, in grado di rigenerarsi in breve tempo anche
dopo essere state fatte a pezzi da una cannonata. Potevano essere uccisi solo con un taglio netto, in un esatto punto a
livello del collo. Un’operazione che richiedeva velocità estrema e precisione
chirurgica: chi si avvicinava troppo alle loro mani e bocche piene di denti
affilati non sopravviveva.
Troppi eroi erano stati decimati nell’impresa.
Sul confine delle mura c’erano sempre troppi giganti e sembravano
continuare ad arrivare. Mura sempre più alte, solide e protette da cannoni e fucili, erano state
erette negli anni proprio per “contenerli”.
Il più recente sviluppo verticale delle mura aveva portato a un relativo
periodo di pace e alla circostanza che la popolazione si sentisse quasi
gratificata a vivere “reclusa”.
Imprigionati da così tanto tempo, gli Eldiani adulti “non ci facevano più
caso”, i soldati di guardia avevano ormai smesso di affrontare con impegno le
ronde. Anche se i cittadini più ricchi e nobili rimanevano per precauzione
insediati nelle fasce di mura più interne, quelle mura ormai erano diventate
loro “amiche”.
Tuttavia, gli Eldiani più giovani avevano ancora qualcuno in grado di
motivarli a cambiare le cose. Si trattava di un piccolo gruppo dell’esercito locale, eroico quanto “folle”,
ormai deriso se non disprezzato: “l’Armata Ricognitiva”.
Saltuariamente partivano a cavallo in spedizioni di ricerca e mappatura
oltre quel confine.
Con una tecnologia mista di cavi uncinati retrattili, combinati con un
propulsore a gas facile al surriscaldamento, erano in grado letteralmente di volare
veloci tra gli alberi con estrema agilità. Attraverso questi strumenti e spade
temperate sottili, avevano sviluppato uno stile di combattimento in grado di tagliare
di netto il collo di un gigante, vincente in un’alta percentuale di casi: lo
chiavano la “manovra tridimensionale”.
Partivano e tornavano dalle loro
missioni spesso dimezzati, alimentando lo scontento per il loro poco utile operato,
ma erano gli unici a sentirsi davvero “liberi”. Così i giovani Eren, Armin e Mikasa, sognando anche loro un giorno di
varcare quel confine, si trovarono anzitempo in guerra.
Avvenne quando un gigante di oltre 60 metri, comparso dal nulla insieme a
un gigante corazzato del tutto immune ai cannoni, riuscì con la forza esplosiva
dei suoi pugni ad abbattere le mura più
esterne, quelle del loro villaggio.
I giovani si addestrarono e unirono all’Armata Ricognitiva.
Scoprirono con il tempo e dopo la soluzione di molti intrighi che esisteva
la possibilità di trasformarsi momentaneamente in “giganti coscienti”, accedendo
ai poteri dei “mutaforma”: in ragione di un “rito” tremendo, a cui seguiva
anche una specie di “maledizione”. Se prima l’Armata Ricognitiva combatteva i giganti come “Davide contro
Golia”, usando solo la tattica e il coraggio, ora potevano essere alla pari
anche nella forza bruta: “Golia contro Golia”.
Il gruppo di Eren arrivò a scoprire che oltre le mura si arrivava a
quella distesa d’acqua infinita che nei libri che leggeva Armin veniva chiamata
“mare”.
Paradis era solo un’isola.
Scoprirono che oltre il mare, da anni, la più evoluta nazione di Marley,
paragonabile per cultura e tecnologia già alla Germania nazista, inviava contro
Paradis i giganti. Scoprirono con dolore come venivano “creati” i giganti.
Oltre le mura di Paradis esisteva un mondo complesso, diviso in più
nazioni in lotta per il territorio e l’accaparramento di risorse rare. Un mondo
pieno di chiaroscuri le cui radici erano state ben nascoste rispetto alla
storia passata, dalla propaganda e dalla manipolazione di chi deteneva il
potere.
Un mondo di “falchi”, ma anche di milioni di persone innocenti o
inconsapevoli, che per secoli aveva definito la stirpe degli Eldiani “demoni”. Non c’era più nulla di “semplice” in questo mondo.
Eren, un tempo il più puro e altruista combattente del gruppo, decise di
farla pagare a tutti e indistintamente: scatenando una guerra contro Marley che
poi si sarebbe estesa contro tutto il mondo, risvegliando i più antichi e
devastanti poteri dei giganti. Poteri che lui da solo non sarebbe stato mai in grado di controllare, ma
che gli assicuravano la più tremenda vendetta concepibile.
Se Paradis era stata “una gabbia”, pur per qualcuno “dorata”, tutto il mondo
sarebbe stato ora ingabbiato nel caos. Il timido e intelligente Armin e la
silenziosa e combattiva Mikasa avrebbero invece fatto di tutto per fermare la
pazzia del loro vecchio amico.
A questo punto della storia, chi sarebbe stato davvero l’eroe?
Sinossi
È infine giunta la notte più buia, quella in cui il mondo sarebbe
precipitato nell’inferno.
Il temuto “boato della terra” ha iniziato a risuonare in ogni parte del
mondo. L’80% della popolazione mondiale sta per essere brutalmente schiacciata
da giganti di 60 metri di altezza, che irradiano dal loro corpo vapori
ustionanti.
A guidarli, alta oltre mille metri per una lunghezza ipotetica di tremila,
c’è una enorme, mostruosa e contorta montagna di ossa e aculei in movimento: il
“gigante della fine”. Una creatura ciclopica, nata dalla fusione oscena del gigante
fondatore con il gigante d’attacco, il gigante bestia e il gigante martello.
Una sorta di dio pagano, in cui sembra sopita la volontà di quello che una
volta fu Eren Jeager.
La marcia è lenta, scappare senza finire tritati, dalla folla impazzita o
da quei mostri, è impossibile. Intere città crollano come castelli di sabbia.
Quello che rimarrà della civiltà umana, dopo il passaggio delle centinaia
di giganti delle mura che circondano Eren, saranno solo impronte di sangue e
detriti, su un terreno diventato quasi lavico.
Ma forse qualcosa si può ancora fare: grazie a una insperata alleanza tra
gli Eldiani dell’Armata di Ricerca e L’Unità Combattente Marleyana. Anche se è una missione che puzza parecchio di suicidio.
La città di Liberio è ormai caduta, ma c’è ancora un piccolo un hangar,
di proprietà dei ricchi Azumabito, nella vicina Odiha. Da lì si potrebbe prendere un idrovolante e cercare di farlo atterrare
sulla testa del gigante della fine, di fatto l’unico comandante della marcia.
Usando i poteri dei “Mutaforma”, abbinati agli strumenti e armi per la
manovra tridimensionale, un gruppo di combattenti, già allo stremo delle forze,
dovrebbe farsi largo tra le centinaia di difese biologiche dello scheletro
semovente. Fino a “scomporlo”, renderlo inerme con lame ed esplosivi, infine
decapitarlo per fermare tutto.
Prima che la marcia raggiunga l’ultima piccola fortezza posta sulla
montagna: dove uno sparuto contingente marleyano e alcuni profughi, con cannoni
e Zeppelin armati di bombe incendiarie, sta organizzando la loro ultima estrema
difesa.
Da Odiha potrebbe anche prendere il largo verso i più sicuri mari del sud
una piccola nave, con a bordo i superstiti più giovani del gruppo: per
ricostruire una sorta di “futuro”, sperando che prima o poi i giganti si
fermino. Il tempo è tiranno e i giganti delle mura sono quasi arrivati all’hangar,
ancor prima che tutti i preparativi per il decollo siano ultimati.
Armata di Lance Tonanti e con un dispositivo non in ottime condizioni, il
comandante Hange (con la voce in originale della amatissima Romy Park, già voce
di Edward Elric in Full Metal Alchemist) si getta da sola contro centinaia di
giganti delle mura. Cerca di abbatterne il più possibile e riesce a rallentarli
colpendone molti agli arti inferiori, generando cadute con effetti domino.
In volo, il gruppo per un attimo viene trascinato dalla volontà di Eren
all’interno del “sentiero”: il luogo metafisico dove tra passato, presente e
futuro si incontrano le volontà di tutti i giganti della stirpe nata da Ymir.
Tra le sabbie blu di quel deserto illuminato di stelle, all’ombra dell’albero
di luce che forse rappresenta l’origine e la fine di tutto, Eren promette che
non si opporrà alla volontà di fermarlo dei suoi amici. Promette che li lascerà
liberi di costruire il loro futuro in modo indipendente dalle sue azioni.
Sempre che riescano a “raggiungerlo” e fermare la sua avanzata.
Ma una volta raggiunto l’enorme colonna vertebrale sulla schiena del
gigante della fine il gruppo scoprirà che la volontà di quella montagna non
dipende più solo dal loro vecchio amico. Ad opporsi al loro ultimo attacco
troveranno un’entità ancestrale e imprevedibile, rabbiosa e umorale, disposta a
tutto, pur di sterminare tutta la razza umana.
Riuscirà Mikasa a usare le sue spade temperate per fermare l’avanzata del
ragazzo che amava fin da quando era una bambina?
Una versione moderna di “Davide contro Golia”, in cui i ruoli a metà
della storia si invertono
Sony e Crunchyroll portano nelle sale italiane il film dello studio MAPPA
che racconta il finale di Attack on Titan: dal momento del “boato della terra”
fino all’epilogo della vicenda e forse “oltre”.
È una pellicola che ha comportato un enorme sforzo produttivo in termini
tecnici e artistici, che ha quasi spremuto fino all’ultimo le forze dello
studio di animazione coinvolto, ma che consegna a tutti i fan dell’opera di
Isayama la migliore conclusione possibile della sua amatissima saga.
The Last Attack chiude tutti i fili narrativi, riesce a congedarci da
tutti i personaggi presenti e passati che abbiamo incontrato durate la
narrazione, porta in scena gli scontri più complessi e spettacolari di tutta
l’opera.
Ma soprattutto è un film che riesce a esprimere fino in fondo
l’articolata e originale filosofia alla base dell’opera di Isayama.
Torniamo quindi per un istante dal gigante della fine all’origine di
tutto.
Prima di quel 2009 in cui avrebbe esordito sulla rivista di Kodansha
“Bessatsu Shonen Magazine” il primo capitolo di Attack on Titan, la serie che
con il titolo L’attacco dei giganti sarebbe giunta in volume anche in Italia
nel 2013.
Come spesso accade, tutto era partito ancora prima, da un racconto breve:
una storia di 65 pagine presentata nel 2006 a Weekly Shonen Jump, ispirata a un
episodio direttamene vissuto dallo stesso autore. Un episodio che ha raccontato
in una intervista a NHK nel 2007.
Isayama era nato e viveva a Hita: un paesino così isolato da essere
letteralmente circondato da alte montagne, che si ergevano quasi come mura per
separarlo dal resto del mondo. Una situazione che da giovane trovava
soffocante. Una sera, mentre stava lavorando in un internet cafè, Isayama ebbe un
incontro ravvicinato con “un gigante”, o almeno con qualcosa di molto simile:
un cliente enorme, lento quanto scomposto nei movimenti. Un gigante ubriaco.
Gli si era avvicinato e lo aveva di colpo afferrato al collo. Forse per mangiarselo. Lui si era sentito impotente: schiacciato dalla brutalità della situazione. Oltre alla possibilità surreale di essere mangiato, la frustrazione
maggiore sperimentata da Isayama, che presto trasformò l’impotenza in rabbia, nasceva
soprattutto dalla impossibilità di riuscire per lo meno a fermare quell’uomo
con le parole.
Il suo aggressore non era nelle condizioni di poter comunicare con lui. L’uomo non lo ascoltava, anche perché in quello stato non era abbastanza
lucido per farlo. Continuava ad avanzare
verso Isayama, in modo indifferente quanto minaccioso, come se fosse l’unica
opzione possibile.
Non sappiamo dall’ intervista come l’autore sia uscito da quella
situazione, ma Isayama da quell’evento disse di voler scrivere un racconto:
qualcosa che sapesse parlare della rabbia di chi, come lui, si è trovato a
essere vittima di una situazione ingiusta. Una rabbia in grado di farsi largo
anche nelle persone più miti, fino a condurle all’aggressività.
I giganti, creature molli quanto indifferenti nel loro essere crudeli, ispirate
graficamente proprio a quell’ubriaco incontrato all’internet caffè, sarebbero
stati nella storia di debutto dell’autore il “fattore scatenante” della rabbia
del protagonista. Una rabbia che avrebbe spinto l’eroe a combattere ad armi
impari, come Davide contro Golia, usando la tecnologia e la tattica contro la
forza bruta. Fino a che la rabbia non fosse riuscita a trasfigurare del tutto
l’eroe, trasformandolo in un gigante. Forse in questo rendendo anche lui “un
po’ ubriaco”.
La storia breve piacque al redattore, fu pubblicata (oggi è rarissima e
costa una follia) e Isayama decise nella successiva serie di lavorare esplorando
ulteriormente il tema della rabbia: legandola ancora al “senso di oppressione”
causato da un potere ingiusto, ma anche al “senso del dovere” nel costruire o
ricercare un mondo migliore “a tutti i costi”. L’opera dell’autore “montava” e iniziavano
così a svilupparsi tematiche anche dal sapore politico e sociale: arrivando
alla costruzione di un mondo sfaccettato quanto colto, debitore della
letteratura fantasy, ma anche di una rilettura non banale degli eventi della Seconda
guerra mondiale.
Anche i giganti erano diventati più complessi e definiti rispetto al “bevone”
del racconto breve. Per dargli forma, Isayama aveva preso ispirazione da celebri modelli
anatomici creati per gli studi scientifici. Il gigante di aspetto più comune era debitore dei modelli dell’Homunculus
Sensitivo e dell’Homunculus Motorio, così come esposti al Museo di Storia
Naturale di Londra, basati sugli homunculus corticali mappati da Wilder Penfield.
Il gigante colossale e i giganti delle mura sembravano invece riferirsi a
uno dei più comuni modelli di anatomia descrittiva: la riproduzione della
struttura muscolare umana al di sotto della pelle, presente in varie forme (cadaveri
mummificati compresi) nelle università fin dal 1500.
Anche il Gigante della Fine e il “verme luminescente”, che appaiono
proprio in questo film, con tutte le sue “zampe artigliate” sul davanti come
sul dorso, prendevano ispirazione dai più recenti libri archeologici. Nello
specifico da una misteriosa creatura marina del periodo Cambriano (circa 500
milioni di anni fa), chiamata “Hallucigenia”. Scoperta negli anni ’70 e ancora
oggi in grado di suscitare accesi dibattiti sulla sua forma e implicazioni
genetiche.
Per qualcuno, Isayama avrebbe pure studiato il fenomeno “Uncanny Valley”,
per rendere ancora più disturbanti e terribili i volti dei suoi mostri.
Ma di fatto il tratto dell’autore rispetto al racconto breve era stato radicalmente
rivoluzionato e reso unico in Attack on Titan, quasi “espressionista”: anche
attirando le critiche di chi oggi ricerca dai manga una estrema pulizia e
precisione nel disegno.
Prospettive vertiginose e vibranti, di paesaggi come di oggetti di uso
comune, sembrano ispirarsi all’arte di Van Gogh dell’ultimo periodo.
Figure umane spesso emaciate, oblunghe e disperate, sembrano volerci costantemente
proiettare ne L’Urlo del norvegese Edvard Munch.
Un intero mondo di ispirazione scientifica, storica e pittorica, veniva
così “plasmato”: un mondo programmato per esasperare chirurgicamente le
sensazioni di rabbia e angoscia, che forse sono alla base (per Isayama) della
stessa natura umana.
Pur con riferimenti visivi e tematici ai lavori di Go Nagai, di Tomino
come di Anno, Isayama ha saputo, nell’arco dei 34 volumi totali dell’opera,
qualcosa di estremamente nuovo e personale. Qualcosa che non a caso è diventato
uno dei più grandi fenomeni del fumetto contemporaneo.
Era molto difficile tradurre in animazione la poetica di Isayama, ma due
studi di grande talento come Wit Studio e MAPPA hanno infine realizzato
qualcosa che è andato ben oltre le più rosee aspettative, di fatto sfruttando
al meglio un “cambiamento di prospettiva” che diventa fondamentale in un
momento-chiave del manga.
Wit Studio, nato da una costola di Production I.G. a fine 2012, specializzato
in un'animazione di stampo tradizionale, ha esordito proprio con Attack on
Titan nel 2013, curando l’adattamento dell’opera fino alla terza serie, uscita
nel 2019.
MAPPA, studio fondato nel 2011 dal produttore di Madhouse Masao Maruyama,
specializzato in un'animazione mista tra tradizionale e tridimensionale, ha
curato l’adattamento della quarta e ultima stagione, dal 2020 fino a oggi.
Wit Studio ha raccontato di un
giovane Eren che a Paradis combatteva contro i giganti, in uno scenario quasi
dark fantasy in cui lui era decisamente l’eroe.
MAPPA ci racconta le avventure della giovane Gabi e dei Marleyani, quando
un Eren ormai adulto in forma di gigante era andato a distruggere la loro nazione,
di fatto diventando “il cattivo”. Uno scenario dal sapore steampunk, con
tantissimi parallelismi alla Seconda guerra mondiale ma anche all’attualità.
Sono quasi due storie differenti. Sul piano visivo, per l’ovvio e diverso
approccio all’animazione dei due studi incaricati. Sul piano narrativo, soprattutto
per il “ruolo invertito” tra buoni e cattivi.
Ma sono due stili di narrazione che sanno essere così “speculari” da
farci effettivamente “riflettere” (il gioco di parole aiuta) sul grande corto-circuito
alla base di tutta l’opera: sul fatto che anche Davide, se si incazza, può
diventare Golia. Ma con la conseguenza che se sei Golia non puoi più essere
Davide.
Ma c’è di più! Dopo aver seguito per anni le avventure di Eren come eroe,
perché di fatto Isayama ce lo ha “propagandato come tale”, pur in buona fede, per 60 e più episodi, al cambio di prospettiva
gran parte del pubblico ha continuato a tifare per quelli che ora erano
diventati i cattivi!
Di colpo è saltata tutta la “rabbia della vittima”, nata dalla
frustrazione di sentirsi prigionieri davanti a un male che riteniamo ingiusto,
in virtù di un desiderio di essere liberi e felici negato. Tutto è saltato, in
modo geniale, raccontandoci la stessa e identica scena che dà il via alla
storia, ma da una prospettiva diversa.
Perché Isayama, Wit e MAPPA vogliono spingerci verso una riflessione più
profonda. Verso quello che avviene proprio sul finale, bellissimo quanto amaro di
questo film. Il momento in cui la rabbia
finisce e si arriva magari a qualcosa di diverso, proprio in virtù di essere
stati in grado di comunicare con gli altri e anche con il “gigante interiore”,
sempre belligerante, che si nasconde nel cuore di ognuno.
Finale: Attack on Titan: The Last Attack è la degna conclusione di un
viaggio iniziato nel 2009, che ci ha portato a conoscere un mondo complesso
quanto affascinante. Un mondo molto più vicino alla realtà in cui viviamo di
quanto forse vorremmo immaginare. Un mondo che Jung avrebbe approvato come una
solida base per l’auto-analisi sul concetto di “ombra”.
La pellicola può essere descritta come un’unica, lunga, “immensa”
sequenza di battaglia. Un'azione a rotta di collo di 145 minuti, carica di
scontri concitati quanto di riflessioni sull’animo umano non banali, in grado
di coinvolge in vari ruoli tutti gli eroi e anti-eroi che negli anni abbiamo
imparato a conoscere: in modi diretti, indiretti e pure “onirici”. Veniamo
proiettati verso un finale unico: che sa esaurire tutte le questioni in sospeso
e addirittura proiettarci nel futuro del mondo ideato da Isayama.
In quella che a tutti gli effetti si presenta come una narrazione corale,
riescono a emergere soprattutto i caratteri di Mikasa, Armin e Eren: da sempre
il cuore pulsante dell’opera e anche qui con dei ruoli centralissimi
all’economia del racconto, struggenti quanto complessi. Levi di contro risulta confinato
un po’ nelle retrovie. Reiner come sempre è silenzioso ma decisamente potente,
“titanico”. Hange si ritaglia la scena più eroica. Ma L’opera va intesa
soprattutto come la roboante parte finale di una grande storia, che da tanti
anni ha appassionato migliaia di lettori e che ha ancora qualcosa da dire ai
lettori più giovani.
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