Sinossi
Nella Chicago dei giorni nostri è
diventata molto popolare una applicazione del cellulare chiamata Digi-Drop.
Funziona secondo criteri di geolocalizzazione simili a certe app per incontri:
permette a chi la usa di inviare messaggi, filmati o foto a tutti coloro che
l’hanno scaricata, a patto che l’invio avvenga entro un raggio di massimo 15
metri di distanza, anche in pieno anonimato. Viene usata per fare scherzi, ben
sapendo che “il burlone” si trova nei paraggi e può essere velocemente
individuato o tenuto lontano. Ovviamente la adorano i ragazzini. Ma è facile
che ogni tanto si verifichino situazioni spiacevoli come quella che dovrà
vivere la bionda Violet (Meghann Fahy), nel giorno del suo primo appuntamento
al buio con il misterioso Henry (Brandon Sklenar).
Lei ha un tragico passato alle spalle,
non si è arresa ma è diventata negli anni un po’ introversa. Tende a vestirsi
con abbinamenti orribili che la fanno sembrare un enorme lecca lecca e deve
quindi essere supportata nelle scelte dalla sua sorella e babysitter personale
Jen (Violette Beane). Aiuta professionalmente le donne vittime di abusi. Vive
con suo figlio di dieci anni, Toby (Jabob Robinson), che ama i cavalieri, i
popcorn e zia Jen: che lui chiama “zia spasso”. Arriva puntuale agli
appuntamenti.
Il suo uomo del mistero è timido e
sfiduciato dalle donne, dal mondo e dalla vita. Lavora come fotografo alle
dipendenze dell’ufficio del sindaco, tende a scusarsi molto e arrivare tardi.
Si sono incontrati virtualmente per
caso sui social e pur temendo di finire nelle fauci di un serial killer hanno
prenotato per la serata un tavolo nell’esclusivo ristorante Palate: una
bomboniera di marmo nero e oro illuminata da lampadari simili a bolle di
sapone, situato negli ultimi piani di un palazzo lussuoso.
Al centro della sala, il bar gestito
dalla ricciola Cara (Gabrielle Ryan) offre superalcolici, supporto psicologico e
possibili vie di fuga nel caso l’incontro prenda una brutta piega.
Il pianista Phil (Ed Weeks) è un
po’ sopra le righe e ci prova con tutte le clienti, ma sa il suo mestiere e può
suonare a richiesta la canzone-simbolo-ossessione di tutte le mamme single come
Violet: Baby Sharks.
Il giovane Matt (Jeffrey Self) è un
cameriere chiassosamente entusiasta e onnipresente, alla sua primissima serata
e un po’ timoroso di cosa ha previsto per lui quel giorno l’oroscopo, ma può
soddisfare ogni tipo di richiesta.
La responsabile di sala (Niamh McHenry)
ha un’aria professionale ma uno sguardo gelido e severo.
Agli altri tavoli si possono
incontrare comitive di uomini d’affari asiatici, uomini soli che osservano il
cellulare annegandosi nell’alcol (Travis Nelson), perfino un’altra coppia al
primo appuntamento come Violet e Henry: anche se questa decisamente “male
assortita”, per via di foto poco
veritiere usate nei profili prima dell’incontro.
Henry, puntualmente in ritardo,
appare dopo che Cara ha offerto il primo calice di vino rosso.
L’imbarazzo inizia a diradarsi, il tavolo prenotato gode di una finestra panoramica che domina tutto lo skyline, i grattacieli e la notte stellata. Il cellulare di Violet vibra e “deve vibrare”, perché in caso di qualsiasi necessità Toby e Jen possano raggiungerla, ma a mandare gli ultimi messaggi c’è un estraneo che utilizza Digi-Drop.
Violet non ha mai installato
Digi-Drop, ma possono averlo fatto Toby o Jen.
Un ragazzino forse poco più grande di
Toby, forse una “zia spasso” sotto mentite spoglie, inizia a mandare messaggi
in modo piuttosto pressante. I tentativi di privacy di Violet vengono
interrotti di continuo da meme, foto e frasi strane, progressivamente sempre
meno ironiche. Di colpo arrivano le minacce e un filmato terribile dalle
videocamere di sorveglianza della casa di Violet. Chi parla con lei tramite
chat non è una persona amichevole.
Non lo è nemmeno l’uomo incappucciato
e armato di coltello che ora si trova in cucina, a pochi metri da Jen e Toby.
Se Violet cercherà di parlarne con qualcuno, con Henry, lo staff o la polizia,
l’uomo nella chat dirà all’uomo incappucciato di agire. L’interlocutore
misterioso, per “evitare il peggio”, ha delle richieste specifiche per Violet
ed eventuali “punizioni” in caso di mancato adempimento. Qualcosa di terribile
e indicibile.
Forse Violet non ha scampo e per
salvare Toby e Jen non potrà che agire come un burattino nelle mani di uno
sconosciuto.
Ma Digi-Drop è una applicazione che
funziona solo a distanza di 15 metri e la sala del Palade è grossomodo di
quella dimensione. Lo sconosciuto ricattatore è per forza qualcuno che Violet ha
davanti ai suoi occhi al ristorante e forse, con un po’ di strategia, può fermare.
Il cinema di Christopher Landon: tra
spaventi e risate
Per la capacità di infondere nelle
sue opere toni horror e commedia, legandoli insieme tra i colori e le
suggestioni del cinema e della cultura pop, il regista, produttore e
sceneggiatore Christopher Landon è oggi uno dei nomi più originali e amati del
panorama horror moderno.
Dopo un paio di corti e la
sceneggiatura di un interessante thriller che veniva scelto nella famosa “black
list” (sceneggiature di nuovi autori) da Spielberg, Disturbia, dal 2007
al 2009 Landon assumeva il ruolo di consulente di produzione per la serie cult Dirty
Sexy Money. Nel 2010 scriveva e dirigeva il suo primo film: Burning
Palms, una pellicola a episodi carica di black humor, in cui le dinamiche e
le “coltellate”, proprie del cinema horror-slasher degli anni ‘80 e ‘90,
andavano puntualmente a fustigare un “American Way” che, tra buonismo e
ipocrisie, appariva sempre più distante e scollegato dalla realtà. Le “vittima
designate” erano più che altro i luoghi comuni in voga nella sorridente e
superficiale West Coast in cui Landon era nato.
In Italia la pellicola purtroppo non
sarebbe mai arrivata, ma era il primo segnale di uno stile personale che
sarebbe andato con il tempo sempre più a definirsi.
Nel 2011 Landon entrava invece nel
team di Paranormal Activity, come produttore e sceneggiatore fin dal
capitolo 2, arrivando nel 2014 a dirigerne lo spin-off Il Segnato.
Sceglieva per questo soluzioni narrative e visive peculiari, vicine al piccolo
cult “Chronicle” di Josh Trank, ma al contempo non troppo distanti dalle
“regole-base” della saga. Landon tratteneva un po’ la sua vena ironica, ma
riusciva bene nell’intento di espandere l’universo creato da Oran Peli in
direzioni del tutto nuove e sorprendenti.
Soprattutto, dopo Il segnato si
era di nuovo innamorato della macchina da presa.
Se, scegliendo uno stile che citava
gli antologici horror, in Burning Palms aveva messo alla berlina alcuni
stereotipi dell’America più altolocata e patinata, ora le nuove vittime di
Landon sarebbero state un altro simbolo molto forte di purezza e buoni
propositi: i boy-scout.
Manuale scout per l’apocalisse zombie, del 2015, fondeva insieme la
dilagante e inarrestabile “moda” degli zombie movie, con toni e personaggi che
sembravano usciti dalle pellicole comico/generazionali dell’infanzia di Landon.
Film con protagonisti il più giovane Bill Murray (Polpette, ma anche
qualcosa di Stripes- Un plotone di svitati), Belushi, la National
Lampoon. Il risultato era esilarante e il film si trova oggi negli store online
anche in italiano, in dvd, sebbene da noi uscì in sala del tutto in sordina.
Nel 2016 Landon tornò “all’horror
puro”, scrivendo il pandemico Viral, diretto da Joost e Schulman:
plumbeo, opprimente e che di fatto anticipò molti dei temi e paure che
sarebbero diventati più familiari nel corso del Covid-19 (si trova nel
catalogo di Midnight Factory).
Nel 2017 diresse quello che sarebbe
diventato il suo più grande successo, Auguri per la tua morte, scritto
da Scott Londell. L’idea, folle quanto geniale, tornava idealmente “al cinema
di Bill Murray” della sua infanzia: nello specifico a Il giorno della
marmotta - Ricomincio da capo. Solo
che questa volta era un Ricomincio da Capo fuso insieme allo slasher Scream
di Wes Craven, con alcuni spunti pure da Ritorno al Futuro di Zemekis.
Due film simbolo della cultura pop anni 89/90, innaffianti nelle atmosfere
dello slasher ad ambientazione scolastica più pop in assoluto, con una
protagonista fantastica, Jessica Rothe, “condannata a ripetere più volte”, gli
ultimi giorni prima della sua morte, fino a che non in grado di scoprire
l’identità di un assassino con una strana maschera. Il grande successo internazionale
generò all’istante un sequel, questa volta scritto da Londell insieme a Landon,
sempre per la regia di quest’ultimo.
Si vocifera vicina l’uscita di un
terzo capitolo, già attesissimo da legioni di fan, ma Landon nel frattempo ha
realizzato un altro film divertente e se vogliamo con una formula simile: Freaky.
Il riferimento è anche qui a una
classica commedia degli anni ‘70, Freaky Friday, conosciuta da noi come
“Tutto accade un venerdì”, con Jodie Foster e Barbara Harris.
Un film divertentissimo e ben
orchestrato, che generò un filone infinito di commedie similari (tra cui Viceversa),
nonché due suoi remake, uno con protagonista Jamie Lee Curtis (Quel pazzo
venerdì). La trama vedeva le vite di una madre e di una figlia adolescente
scambiarsi magicamente nell’arco di una notte, di fatto attraverso uno “scambio
dei corpi”. La “variazione sul tema” di Landon vedeva il corpo di una ragazza
adolescente scambiarsi con quello di un serial killer mascherato uscito dal
classico horror slasher, qui interpretato da un Vince Vaughn davvero
irresistibile.
Con Drop, Christopher Landon è
intenzionato a tornare a farci ridere e terrorizzare insieme, come nel suo
stile.
Un
White Lotus formato speed date.
Nel febbraio del 2024, dopo essere uscito con molto dispiacere dal progetto di Scream 7, Christopher Landon annunciava il suo coinvolgimento in un nuovo thriller per Blumhouse e Platinum Dunes. Protagonista assoluta la star di The White Lotus Meghann Fahy, candidata come miglior attrice non protagonista agli Emmy Awards del 2022, proprio per la sua performance durante la seconda stagione della serie tv antologica targata HBO. Trentaquattrenne, nata nella piccola cittadina di Longmeadow, in Massachusetts, la Fahy aveva deciso con Drop di partecipare a un classico “thriller old school”; ma se vogliamo l’intero progetto assomigliava già moltissimo, fin dall’inizio, a un “The white lotus in miniatura”.
Se la serie HBO raccontava di un
resort di lusso, il White Lotus, al cui interno, nell’arco di una
stagione vacanziera, si intrecciavano tra il thriller e il romantico le vite
dei turisti e dello staff, Drop di Blumhouse e Platinum Dunes
ci portava nel lussuoso ristorante Palate, dove nell’arco di un paio d’ore si
intrecciavano, tra passione ma soprattutto tantissimi spaventi, le vite di una
coppietta al suo primo appuntamento al buio, insieme alle vite degli altri
presenti nel locale.
Un White Lotus “formato speed date”,
in cui una tecnologia legata alle chat dei social fungeva da motore della
suspense. Un meccanismo tecnologico-narrativo che per molti versi poteva
apparire come una versione, aggiornata e “più sentimentale”, del thriller del
2014 Non-Stop, diretto da Jaume Collet-Serra. In quel caso i messaggi molesti/minacciosi/inquietanti
da parte di uno sconosciuto arrivavano a un Liam Neeson passeggero su un volo
di linea, forse anche lui diretto a un resort o a un appuntamento al buio… Ma
tra gli sceneggiatori c’era sempre, come del resto c’è in Drop, Chris
Roach. Un Chris Roach che aveva esordito
come autore delle “trame” della World Wrestling Entertainment, che
insieme a Jillian Jacobs, nel 2018, scriveva la sceneggiatura di uno dei più
grandi e inattesi successi della casa di produzione fondata da Jason Blum. Il thriller
che, sull’onda del successo dei film sulla tavola Ouija (prodotti da Platinum
Dunes), declinava all’horror il celebre “gioco della bottiglia” delle feste
del liceo: Obbligo o verità. A monte di giudizi della critica
“ondivaghi”, per il film diretto da Jeff Wadlow si parlava di un budget di 3,5
milioni trasformati con il passaparola in 82,9 milioni al botteghino.
Intascato quel successo, Roach, Jacobs
e il regista Wadlow vennero tutti imbarcati, sempre da Blumhouse, in un
progetto che se vogliamo, almeno sulla carta, poteva assomigliare già a The
white lotus: il remake cinematografico del 2020 della serie tv Fantasy
Island. A monte di un giudizio della
critica decisamente negativo, ma soprattutto a causa della chiusura delle sale
per il COVID-19, da un budget “raddoppiato” a 7 milioni, motivato anche dalle
riprese effettuate nelle isole Fiji, la pellicola macinò “solo” 47.3 milioni.
Dal 2020 al 2024, inizio della
produzione di Drop, Roach e Jacobs erano rimasti in stand-by. Il regista
Jeff Wadlow nel frattempo aveva invece realizzato il piuttosto controverso
“horror sull’orsetto” Imaginary.
Messa al centro della produzione una
attrice in ascesa come Meghann Fahy, attualmente nelle sale anche con Il
bambino di cristallo (ma reduce anche dalla serie di successo The
Perfect Couple del 2024 e già attesissima per la prossima serie tv Sirens,
al fianco di Julianne Moore), Landon, Roach e Jacobs, con un budget di 10
milioni di dollari, avevano l’opportunità di collaborare insieme e iniziare le
prime riprese in Irlanda, verso la fine di aprile 2024.
Molta importanza veniva data alla
“caratterizzazione” del Palate: a tutti gli effetti un ambiente che diventa
co-protagonista della vicenda. Per una fotografia in grado di valorizzare i
dettagli veniva scelto l’esperto Marc Spicer (Escape Room 1 e 2, Lights
Out). Per le scenografie, claustrofobiche e raffinate, è stata chiamata
Susie Cullen (Abigail). Per un montaggio e una colonna sonora in linea
con le opere “concitate e divertenti” di Lando, venivano richiamati suoi vecchi
collaboratori come Ben Baudhuin (Freaky, Viral, Auguri per la tua morte,
ma pure Oculus di Flanagan e il folle action in prima persona Hardcore!
di Ilya Naishuller) e Bear McCreary (Auguri per la tua morte, Freaky, ma anche
Demeter, La bambola assassina).
Come co-protagonista veniva scelto in
prima battuta Brandon Sklenar, attore delle serie tv Westworld e 1923.
Al cast si sono aggiunti poi Jeffery Self (nel ruolo del cameriere Matt),
Gabrielle Ryan Spring (la barista Cara), Violette Beane (la “zia spasso”).
In sala
Drop rientra a pieno titolo in quella
categoria di film in cui il protagonista si trova suo malgrado al telefono con “qualcuno
di pericoloso”. Ci sono film dall’animo più action-thriller come Cellular
di David R.Ellis, In linea con l’assassino di Schumacher, la saga di Die Hard di John McTiernan o la serie Taken
prodotta da Besson. Ci sono film dall’animo più horror come Scream di Wes
Craven o Quando chiama uno sconosciuto di Fred Walton. È un genere
sconfinato che potremmo espandere a trame in cui l’interlocutore è
soprannaturale (come in The Call, The Phone, The Ring, Black Phone),
trame in cui la comunicazione avviene tramite una app misteriosa (Bedevil,
Countdown, Nerve), trame che riguardano le video-chiamate (Smile,
Unfriended, Friend Request, Host).
Christopher B.Landon però sa
distinguersi all’interno dei film di genere: cavalcare i generi, destrutturarli
e rileggerli gioiosamente in un modo molto personale. Giocando con sarcastico e
black humor, senso dell’eccesso e sofisticato citazionismo. Spiazzando e
scompigliando le regole del gioco in modo rispettoso e al contempo anarchico, Landon
ama sorprendere e coccolare lo spettatore.
Tutte cose che si trovano felicemente
anche in questo Drop.
Una struttura narrativa da thriller
psicologico, crepuscolare e “pensoso”, ma che non disdegna l’idea di
“trasformarsi e sfogarsi” in un action movie anni ’80. Personaggi mai
unicamente decorativi, che sanno risultare, con poche riuscite battute, profondamente
e amabilmente sfaccettati: buffi, romantici e inquietanti.
Una regia attenta e un montaggio ben
ritmato sono in grado di rendere movimentato e carico di spunti originali un
racconto che è ben oliato, pur se di fatto si svolge quasi in un unico
(bellissimo) scenario.
La scrittura di Roach e Jacobs nelle
parti “da commedia” risulta fresca anche grazie all’ottima direzione data agli attori
e alla buona complicità che sembra essere nata tra gli interpreti sul set.
I momenti “thriller”, a contrasto dominati
per lo più dai silenzi o da flashback carichi di urla e caos, riescono di
contro a essere angoscianti e spiazzanti, caricando la storia di una tensione
sempre ben gestita, mai “posticcia”.
I momenti più propriamente “action”
sono mattissimi e fuori di testa.
Un plauso al modo in cui i “messaggi
dello sconosciuto” interagiscono sulla scena: quasi “prendendone possesso” con
caratteri grafici “enormi e freddi” che si dipingono sulle pareti del
ristorante. Frasi dal sapore distaccato, crudelmente neutro, che contribuiscono
a rendere ancora più alieno e inafferrabile lo “sconosciuto”: una creatura
senza forma e senza una voce che ne sveli umori o intenzioni.
Drop diverte e spaventa, anche se forse da un marchio come Blumhouse qualcuno può ricercare dei toni horror o splatter che qui sono poco marcati o quasi assenti. La tensione e l’ironia di Landon a ogni modo non mancano.
Finale
Drop è una pellicola godibilissima
che rilegge in modo originale e interessante il genere thriller, grazie a una
messa in scena sempre accattivante, personaggi interessanti e un mix di generi
cinematografici ben amalgamato. Bravi gli interpreti e tutto il cast tecnico.