Fenomenale. Ecco
cosa significa la vera magia del cinema. Effetti, scenari e mezzi
storici ricostruiti da capo a piedi, fotografia (di Bazelli, come in "The ring" collaboratore di Verbinski), sonoro (di Hans Zimmer), stunt,
cut, recitazione tutto al top senza compromessi e tutto sparato nel
cervello dello spettatore come un big bang sonico all'interno della
sala più fica con l'audio che spacca di più di tutto il creato.
Un'esperienza trascendente la cui proiezione su un cartellone
pubblicitario creerebbe più ingorghi della gigantografia di Belen
Rodriguez unicamente coperta da un orsetto di peluche grande quanto
un portachiavi. Gli ultimi trenta minuti di The Lone Ranger di Gore
Verbinski sono così. Una lezione di cinema da incorniciare e
studiare sequenza per sequenza alla prima lezione di un corso per
registi. Orgasmo puro.
Poi c'è il resto del film, un po' troppo
lungo, un po' sonnecchioso, calcato a forza sulle sole-solide spalle
di Johnny Depp coadiuvato unicamente da un co-protagonista, che
annaspa tra il simpatico e l'insignificante, interpretato da Armie
Hammer, e da un cavallo (sì, ho scritto “un cavallo”), Silver,
che letteralmente riesce a rubare la scena a tutto e tutti. L'impresa
era far tornare il grade pubblico a vedere western. Il rischio era
grande, ma Verbinski è uno che ama il rischio e che già è riuscito
con successo a far tornare il pubblico a vedere film sui pirati. La
fedeltà e l'amore del regista per il genere è materia già
acclarata per chiunque abbia posato gli occhi su quella perla
d'animazione che è Rango (non a caso sempre Depp come
attore-mattatore), mettergli nelle mani un mito americano come il
ranger solitario è di contro un gesto d'amore quanto una cassa
contenente nitroglicerina. Armeggiare con cura. Perché è sì un
personaggio leggendario, ma è anche un'icona considerata retrò,
superata come tutto il terroso e muffoso genere della frontiera, che
vive ormai di poche grandi uscite che in un decennio non contano
nemmeno tutte le dita di una mano. Un eroe vecchio, ma così vecchio
che è difficile trovarne oggi fascinazione. Se lo lasci inalterato
non te lo cagherà nessuno, se cerchi di innovarlo ti daranno del
bastardo perché il tuo gesto equivarrebbe a lesa della costituzione
americana. Tutti questo mi ricorda in qualche modo The Spirit. Non
troppo tempo fa il grande Frank Miller decise di portare sullo
schermo The Spirit di Eisner. Da autore Miller prese la materia, la
fece sua reimpastando le carte e servì con classe. The Spirit è
esattamente incamerato nel pantheon Milleriano, racconta del suo
amore-odio simbiontico tra l'uomo e la città (già descritti nei
suoi Daredevil e Batman), fa uso del grandangolo grottesco (del suo
Sin City), abbonda delle architetture folli e del sangue dei suoi
personaggi più amati (Elektra), incarna il mito del perdente
vincitore (300, Sin City).
Lo Spirit di Eisner è più positivo e
meno cupo (e dire che Miller fa di tutto per non essere cupo in The
Spirit!), la pellicola è derivativa di Sin City dicono (che sarebbe
come dire che E.T. è derivativo di Incontri ravvicinati del terzo
tipo), il pubblico vede il personaggio “tradito” e defeca sulla
pellicola di Miller. Chi non conosce The Spirit prende per buona la
critica americana e fa altrettanto. La scelta di gestione del Lone
Ranger di Verbinski fa tesoro dell'increscioso flop di The Spirit
(film da rivalutare, ma che ai più sembra scolpito indelebile quale
la merda delle merde, ulteriore frutto sgraziato di quel fascistone
di Miller). Verbinski non sposta di un centimetro il Ranger solitario
dalla sua icona, dalla sua interpretazione vintage o originale che
dir si voglia, ma concentra tutti gli sforzi innovatori su Tonto, la
spalla dell'eroe, spostando su di lui il baricentro della storia. E
fa centro. Tonto è un personaggio complesso e tormentato, nonché
assolutamente pazzo, cui Depp infonde una insperata luce di
credibilità senza dimenticare di trattare anche il registro più
leggero, in virtù della mission dichiarata della produzione: è una
pellicola per tutta la famiglia. Ma come far interagire un'icona con
un personaggio reale, come appunto si presenta Tonto. Ecco che
Verbinski trova un ingegnoso stratagemma. Tutta la trama è di fatto
una narrazione degli eventi che un vecchio Tonto elargisce a un
piccolo fan del Ranger Solitario che negli anni '30 incontra in un'attrazione a tema “cowboy e indiani” di un parco giochi. Geniale,
con un solo lazzo Verbinski cattura l'attenzione dei più piccini
spettatori in sala ed evita di intaccare il mito di troppe
implicazioni drammatiche e di difficile assimilazione. In fondo il
ranger solitario è un tipo sorridente che per anni compare a cavallo
con in sottofondo una marcetta, fa fuori i cattivi e scompare
all'orizzonte. Come Fantaman. Non è che Fantaman quando entrava in
azione diceva cosa faceva, chi era, perché era lì: rideva
satanicamente, affrontava il Dr.Zero e i suoi mostri e con una risata
se ne andava lasciandoci in balia dei noiosissimi piccoli cagosi
personaggi di contorno. Ora mi rendo conto che non tutti si ricordano
di chi cacchio sia Fantaman. Quindi eccovi un trailer che a molti
comunque continuerà a non dire una fava.
Dalla regia mi
dicono che in estrema sintesi il Ranger Solitario è paragonabile ad
un pokemon: quando entra in azione dice “Picaciu!”, fa fuori il
team Rocket e torna nella palla colorata. Che gli dei abbiano pietà
di me per aver fatto tale paragone...
Pertanto Armie
Hammer ha un compito al contempo più facile, perché la maggior parte
del lavoro sporco la fa Depp, ma anche più difficile, in quanto deve
recitare come uno stereotipo retrò anni '30. Per una assurda serie di
circostanze (ma se vogliamo possiamo anche qui parlare di genio della
regia) il fatto di essere un attore bolso e imbalsamato gioca a suo
favore nelle scene più iconiche-action, ma mostra ovviamente tutti i
suoi limiti nelle parti più narrative e drammatiche. Pertanto tutta
la parte introduttiva risulta un po' debole. Anche le connotazioni più
dark del personaggio vengono smussate, forse per non renderlo troppo
cupo ai bambini (ma sarà poi una strada giusta? Io mi ricordo
perfettamente di mio cugino ultra esaltato e per nulla terrorizzato
nella scena in cui Nick Cage diventa Ghost Rider...). Il Lone Ranger è
di fatto un “Dead man” quanto lo sono il Corvo, il Punitore,
Gungrave e appunto Spirit e Fantaman. In sostanza uno spirito
vendicativo e inesorabile che non si può uccidere, in quanto
interiormente (come il Punitore) o fisicamente (come tutti gli altri)
è già morto.
Nello specifico i poteri soprannaturali del Ranger
derivano dall'argento, metallo “maledetto” che fa da filo
conduttore di tutte le vicende, ma lo spunto rimane abbozzato ed è
un peccato, perché il personaggio di Hammer appare al pubblico come
un simpatico e fortunatissimo pistola (giusto per stare in tema
“western”) e nulla più. Alla lunga crepe derivano anche dalla
narrazione Tonto-Bambino, incapace di scavare a fondo dove la trama
si fa giusto un pelo complicata. Ma sono peccati veniali di una
pelllicola decisamente meritevole, peraltro benedetta da un cast di
comprimari di prim'ordine. Su tutti svetta la simpatica Helena Bonham
Carter, in un ruolo cucito su misura per lei, ma fanno il loro lavoro
alla grande anche Tom Wilkinson, un cinico Barry Pepper e un
bravissimo e quasi irriconoscibile per il trucco William Fichtner.
Tirando le
conclusioni eccoci davanti a un film difficile da gestire sulla
carta, sapientemente e originalmente gestito nei frangenti più
complessi, con tutti i comparti tecnico-artistici al top cui ad
alcuni passaggi poco movimentati e noiosetti si contrappongono scene
maestose, grande simpatia dei personaggi e una delle mezzore finali
più avvincenti ed esaltanti della storia del cinema. Decisamente
vale il biglietto. Ma riuscirà il Lone Ranger ad attirare a sé
nuovi fan e diventare come i Pirati dei Caraibi un brand? Riuscirà il bluray a portare gli incassi non eccezionali ottenuti al botteghino a un livello sufficiente per ispirare almeno un seguito? E chi lo sa!
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